La corte d’appello di Roma, con decreto del 30 marzo 2005, ha condannato il Ministero della giustizia al pagamento di Euro 200,00, oltre agli interessi al tasso legale dalla data della, decisione, a titolo di equa riparazione per il danno non patrimoniale derivante dall’irragionevole durata di un processo (avente ad oggetto la richiesta di pagamento dell’aggiornamento ISTAT sull’indennità di mobilità) introdotto da G.A. innanzi al giudice del lavoro di Nola con ricorso del 23 luglio 1998, definito con sentenza di rigetto della domanda in data 22 ottobre 2002 avverso la quale è stato proposto appello ancora pendente. La corte territoriale ha affermato che, tenendo presente la complessità del caso, la durata ragionevole del giudizio di primo doveva essere determinata in tre anni e quella del giudizio d’appello in due anni. Pertanto la durata irragionevole, imputabile alle notorie carenze del sistema giudiziario e non al comportamento delle parti, doveva essere determinata in circa un anno. Ai fini della liquidazione dell’equa riparazione doveva tenersi conto della scarsa entità economica della "posta in gioco" e della non eccessiva ampiezza del periodo di durata irragionevole. Ai fini del calcolo era rilevante, inoltre, soltanto il periodo eccedente il termine ragionevole.
La corte territoriale ha compensato le spese del giudizio in considerazione dell’estrema modestia della controversia.
Avverso la decisione della corte d’appello di Roma l’Arcangelo ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a sei motivi. Il Ministero non ha svolto attività difensiva.
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Deducendo diversi profili di violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’ art. 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, così come interpretata dalla giurisprudenza della corte di Strasburgo, nonchè vizi di motivazione, il ricorrente lamenta che la corte territoriale:
1) ha determinato l’equa riparazione del danno non patrimoniale, la prova del quale è in re ipsa, in misura insufficiente, discostandosi dal parametro utilizzato normalmente dalla corte di Strasburgo (da Euro 1000,00 a 1.500,00 per anno di durata della causa e non per il solo periodo eccedente la durata ragionevole) senza adeguata motivazione, essendo all’uopo insufficiente il riferimento alla modesta entità economica della pretesa, senza tenere in considerazione la natura previdenziale del credito e le condizioni economiche della parte e senza liquidare il "bonus" di Euro 2.000,00 per la suddetta natura del credito vantato;
2) non ha precisato la durata ragionevole del processo, che dovrebbe invece essere determinata, tenendo presente la disciplina delle controversie previdenziali, in sei mesi dal deposito del ricorso;
3) ha compensato le spese di giudizio pur avendo accolto la domanda;
4) ha liquidato le spese di giudizio non sulla base dei criteri previsti dalle norme che disciplinano i procedimenti davanti alla corte di Strasburgo, ma di quelli previsti dalla norme interne, peraltro applicate in modo incongruo.
2. Il motivo con il quale si censura la liquidazione dell’equa riparazione è solo in parte fondato.
2.a. Sulla base dei principi affermati con le sentenze delle sezioni unite del 26 gennaio 2004, n. 1338, 1339, 1340 e 1341 si è ribadito che il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e, pertanto, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa, automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione, il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, secondo le norme della L. n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale salvo che non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente. Ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, l’ambito della valutazione equitativa affidata al giudice del merito, è segnato dal rispetto della convenzione europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni da parte della corte europea dei diritti dell’uomo di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, di tal che è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla corte europea, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purchè in misura ragionevole, dalle liquidazioni effettuate con decisioni recentemente adottate a carico dell’Italia che hanno individuato nell’importo compreso fra Euro mille ed Euro millecinquecento per anno la base di partenza per la quantificazione di tale indennizzo (Cass. n. 8714/2006, 8852, 8600 e 15093 del 2005).
Ora, non appare sufficiente la motivazione con la 1 quale la corte territoriale si è discostata in modo sensibile dai parametri indicati, limitandosi a fare riferimento alla modesta entità della "posta in gioco", non accompagnando questo elemento anche con la necessaria valutazione delle condizioni economiche della parte (che risulta essere stata priva di occupazione lavorativa) e alla natura (previdenziale) del credito azionato. Pertanto, lo scostamento dai suddetti parametri appare irragionevole.
2.b. E’ infondata la censura relativa al criterio di calcolo dell’equo indennizzo utilizzato dal giudice del merito.
Infatti, come è stato più volte affermato, il principio del dovere del giudice nazionale di rispettare le norme della convenzione europea dei diritti dell’uomo, in particolare tenendo conto dei criteri di determinazione della riparazione utilizzati, trova un limite nel dovere di applicare la norma di cui L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale può essere indennizzato solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole. Nè tale criterio di calcolo, divergente da quello utilizzato dalla corte europea che prende in considerazione il danno relativo all’intera durata del processo influisce sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, e, dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della convenzione europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’ art. 6, par. 1, della convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla L. cost. 23 novembre 1999 n. 2) (Corte europea dei diritti dell’uomo, 2 dicembre 2004, Provvedi; cass. n. 8714/2006; 8658 e 8603 del 2005).
2. c. Quanto alla domanda di attribuzione di una somma forfettaria di Euro 2.000 in relazione alla natura previdenziale della controversia, non appare decisivo il richiamo alla sentenza della corte europea dei diritti dell’uomo 10 novembre 2004, Zullo, perchè se la decisione richiamata ha ritenuto di riconoscere tale somma in caso di violazione del termine di durata ragionevole nei giudizi aventi particolare importanza, tra i quali ha annoverato le cause previdenziali, non ne deriva automaticamente che tutte le cause previdenziali debbano essere considerate di particolare importanza.
Spetta infatti al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, tale da giustificare l’attribuzione del bonus. Tale valutazione discrezionale non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, in caso di diniego di detta attribuzione, una motivazione implicita.
3. E’ infondato il motivo con il quale si lamenta che la corte territoriale non abbia determinato la durata ragionevole del processo de quo risultando dal provvedimento impugnato che tale durata è stata accertata, sulla base della valutazione della complessità del procedimento, in tre anni per il primo grado e due per il grado d’appello. D’altra parte il ricorrente non ha formulato specifiche censure alla motivazione sulla quale si basa la determinazione della durata ragionevole effettuata dal giudice del merito.
Nè vale il richiamo operato dal ricorrente all’astratta scansione temporale del processo previdenziale, che dovrebbe giustificare una durata inferiore, perchè la valutazione rimessa al giudice del merito deve essere fatta in concreto.
4. Nel censurare la compensazione delle spese il ricorrente, oltre a formulare generiche critiche di iniquità della decisione, denuncia soltanto la pretesa contraddizione con l’accoglimento della domanda.
Ora, a parte che le domande del ricorrente sono state accolte solo parzialmente, la censura è inammissibile perchè non prospetta alcun vizio suscettibile di sindacato in questa sede. Infatti, come è noto, il sindacato della corte con riferimento alla compensazione delle spese giudiziali, è limitato all’accertamento della violazione del principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa ovvero alla illogicità o contraddittorietà della motivazione. Nella specie nessuno di tali vizi risulta essere stato dedotto.
E’ poi palesemente inconferente la censura rivolta all’utilizzazione dei criteri di liquidazione delle spese.
5. Accolto il ricorso, nei sensi di cui in motivazione può procedersi alla decisione nel merito del ricorso ai sensi dell’art. 384 c.p.c., nessun accertamento di fatto essendo richiesto. Infatti, la liquidazione dell’equa riparazione può essere effettuata sulla base dello standard minimo di Euro 1.000,00 per anno di ritardo applicato dalla corte europea, in quanto nessun argomento del ricorso impone di derogare in melius, e, pertanto, si deve riconoscere all’istante un indennizzo complessivo pari a Euro 1.000,00.
Quanto alle spese dell’intero giudizio, attesa la parziale soccombenza, possono compensarsi sino alla metà, liquidandosi per la restante metà come in dispositivo.
 
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., condanna il Ministero della giustizia a corrispondere al ricorrente la somma di Euro 1.000,00 a titolo di equo indennizzo, oltre agli interessi dalla data del decreto impugnato; condanna il Ministero al pagamento della metà delle spese dell’intero giudizio, che compensa per parte restante, liquidandole in tale ridotta misura, per il giudizio di merito, in Euro 540,00 (di cui Euro 40,00 per esborsi e Euro 200,00 per diritti ed Euro 300,00 per onorari) e per il giudizio di cassazione in Euro 450,00 (di cui Euro 50,00 per esborsi), oltre a spese generali ed accessori di legge per entrambi i gradi. Dispone la distrazione delle spese in favore dell’avv. Mariano Ferrante che si dichiara antistatario.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 22 novembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2008