Con decreto depositato in data 16.2.2004 la Corte d’Appello di Salerno – pronunciando sulla domanda d’indennizzo ex Lege n. 89 del 2001, in relazione al giudizio civile di risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione stradale introdotto avanti al Pretore di Spezzano Albanese con atto notificato il 9.9.1970 da F. A. nei confronti di M.P., quale titolare della impresa individuale Ing. L.F., e di L.N.R. e definito dal Tribunale di Castrovillari con sentenza depositata il 13.12.2001 in grado di appello ove si era costituita la società Impresa Ing. La Falce s.p.a. nella quale la ditta individuale era confluita – determinava la durata ragionevole in anni sei dopo aver individuato il "dies a quo" nell’1.8.1973 (giorno dal quale aveva acquistato efficacia il riconoscimento da parte dell’Italia del diritto al ricorso individuale), escludeva dal computo anni dodici e mesi quattro riguardanti ritardi che riteneva imputabili alle parti e determinava quindi la durata non ragionevole in anni dieci, liquidando la complessiva somma di Euro 2.000,00 a titolo di danno non patrimoniale a favore del M. mentre escludeva in linea di principio dall’indennizzo la società Impresa Ing. La Falce s.p.a.
sul rilievo che per sua natura non poteva subire dolori o turbamenti.
Avverso tale decreto propongono ricorso per cassazione il M. e la Soc. Impresa Ing. La Falce s.p.a., deducendo tre motivi di censura.
Il Ministero della Giustizia non ha svolto alcuna attività difensiva.
Il Procuratore Generale ha depositato il suo parere, chiedendo l’accoglimento del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 paragrafo 1 della Convenzione nonchè vizio di motivazione. Lamentano che la Corte d’Appello abbia detratto ben 15 anni dal computo, ritenendoli non ascrivibili all’Amministrazione della Giustizia in quanto frutto di rinvii richiesti dalle parti, senza considerare che il giudice che dirige e conduce il procedimento non può consentire differimenti dilatori ed ingiustificati.
La censura è fondata.
In linea di principio deve osservarsi in primo luogo che la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali firmata in Roma il 4.11.1950 e ratificata in Italia il 26.10.1955 prevedeva infatti all’ art. 25, paragrafo 1, che la presentazione del ricorso individuale fosse condizionata al riconoscimento delle competenze in materia da parte dell’Alta Parte contraente chiamata in causa. Tale dichiarazione è stata resa dall’Italia solo il 31.7.1973, con la conseguenza che solo i fatti successivi a tale data possono essere contestati allo Stato italiano.
In tal senso si sono pronunciate sia la Corte di Strasburgo (Br. c. Italia 19.12.1991; Ba. C. Italia 25.6.1987) e sia, recentemente, questa Corte (Cass. 14286/06).
Correttamente pertanto la Corte d’Appello ha iniziato a computare dal 1.8.1973 la durata complessiva del procedimento iniziato in realtà nel 1970 e definito con sentenza d’appello del Tribunale depositata il 13.12.2001, ma nell’ambito di un periodo complessivo di anni 28 e mesi 4 (1.12.1973-13.12.2001) che è stato oggetto di valutazione, ha imputato ben 12 anni e 4 mesi al comportamento processuale delle parti, riconoscendo così ai fini in esame una durata non ragionevole di anni 16 attribuibile all’Amministrazione giudiziaria. In altri termini gli intervalli temporali fra un’udienza e l’altra conseguenti ai rinvii richiesti dalle parti sono stati integralmente esclusi dal computo della durata non ragionevole.
Una tale conclusione, però, non può, in linea di principio, essere condivisa.
In primo luogo deve essere però sgombrato il campo da un equivoco insito nel ricorso il quale, senza operare alcun riferimento espresso alla circostanza, pur motivata (vedi pag. 7 del decreto) dell’inizio del computo dal 1973 anzichè dalla proposizione della domanda (9.9.1970), considera erroneamente ai fini in esame una durata complessiva di anni 31 anzichè di anni 28 e mesi 4.
Venendo ora all’esame delle richieste di rinvio avanzate dalle parti il problema non può che inserirsi nell’ambito della disciplina che attribuisce al giudice il potere di assicurare "il più sollecito e leale svolgimento del processo" e di fissare le udienze successive, come prevede l’art. 175 c.p.c., commi 1 e 2.
Pertanto, se è pur vero che i rinvii eccedenti il termine ordinatorio di 15 giorni di cui all’art. 81 disp. att. c.p.c., non determinano automaticamente l’inserimento dei relativi periodi nell’ambito indennizzabile, postulando pur sempre la norma il superamento del limite ragionevole, è anche vero che essi non possono non essere valutati ai fini in esame allorchè detto superamento abbiano prodotto, secondo i parametri fissati dalla Corte di Strasburgo ai quali il giudice nazionale deve tendenzialmente adeguarsi, ferme restando le particolari circostanze del caso concreto che ben possono giustificare una durata ragionevole maggiore o minore.
A tale principio dovrà pertanto adeguarsi il giudice di rinvio il quale, indipendentemente dal fatto che detti rinvii siano stati chiesti dalle stesse parti, dovrà tener conto dei relativi intervalli nella misura in cui, a seguito di una salutazione di merito, ritenga che abbiano influito nel superamento della durata ragionevole (Cass. 4298/05).
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1 e 3 e dell’ art. 6 paragrafo 1 della Convenzione nonchè vizio di motivazione.
Lamentano che la Corte d’Appello non abbia riconosciuto l’indennizzo alla persona giuridica, disattendendo in tal modo il diverso indirizzo della giurisprudenza.
Anche tale censura è fondata.
Questa Corte, sin dal 2004 con due pronunce (la 13163/04 e la 13504/04), ha affermato il principio, in adesione anche alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, dell’applicabilità pure alle persone giuridiche ed agli enti collettivi in genere della disciplina dell’equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del procedimento, non diversamente da quanto avviene per le persone fisiche sul rilievo che i disagi ed i turbamenti di carattere psicologico colpiscono anche le persone preposte a tali enti.
Pertanto, nell’ipotesi in esame in cui nel corso del procedimento l’impresa individuale di cui era titolare M.P. è confluita nella s.p.a. Impresa Ing. L.F., la quale a sua volta è intervenuta nel giudizio, si è verificata una successione a titolo particolare disciplinata dall’art. 111 c.p.c., con la conseguenza che il procedimento medesimo è proseguito sia con la parte originaria, di cui non è stata disposta l’estromissione, e sia con la società intervenuta.
Conseguentemente il diritto all’equo indennizzo non può non competere, oltre che alla persona fisica ( M.P.) per la quale la durata non ragionevole deve determinarsi tenendo presente anche il giudizio di primo grado pure alla persona giuridica, di cui era amministratore altro soggetto, qualora, a seguito di un’autonoma valutazione di merito del periodo in cui è stata parte nel giudizio di secondo grado, risulti che sia stata superata anche nei suoi confronti la durata ragionevole.
Anche tale indagine non può che essere affidata al giudice di rinvio che si uniformerà al principio testè enunciato, fermo restando quanto già rilevato in relazione al primo motivo.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e mancata applicazione dell’art. 2, commi 1 e 3 e dell’ art. 6 della Convenzione Europea. Lamentano che la Corte d’Appello non abbia applicato i parametri adottati dalla Corte di Strasburgo nella liquidazione dell’indennizzo.
La censura è manifestamente fondata in quanto la Corte d’Appello, nella determinazione dell’indennizzo relativo al dedotto danno non patrimoniale, si è discostata in misura piuttosto rilevante dai parametri elaborati al riguardo dalla Corte di Strasburgo e recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte la quale ha chiarito come una tale valutazione non possa prescindere, in considerazione del rinvio operato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 all’ art. 6 paragrafo 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, dall’interpretazione della Corte Europea e debba pertanto conformarsi, per quanto possibile, ai parametri applicati in casi, simili da detta Corte, sia pure con la possibilità di apportare, purchè in misura ragionevole e sulla base di una congrua motivazione, le deroghe suggerite dalla singola vicenda (Sez. Un. 26.1.2004 n. 1340).
Nelle decisioni adottate a carico dell’Italia (vedi in particolare la pronuncia su ricorso n. 62361/01 proposto da P.R. e sul ricorso n. 64897/01 proposto da Z.: entrambe del 10.11.2004) detta Corte ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1500,00 per ogni anno di durata non ragionevole il parametro medio per la quantificazione dell’indennizzo, ferma restando la possibilità di discostarsi da tali limiti in relazione alla particolarità della fattispecie.
In definitiva il ricorso va accolto con conseguente cassazione dell’impugnato decreto ed il rinvio, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione.

P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2008