Che C.L. ricorre contro l’ordinanza in epigrafe indicata, con la quale è stata rigettata la richiesta di riesame del provvedimento cautelare del G.I.P. del Tribunale di Trani in data 19.3.2007;
che, ad avviso del Tribunale, il quadro indiziario emerso nell’attività d’indagine, è tale da ritenere la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per il reato di resistenza a p.u., nonchè per il reato di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 9;
che il ricorrente, con un primo motivo, deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione all’art. 273 c.p.p., per carenza di motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, in quanto il giudice del riesame si limita a richiamare la motivazione dell’ordinanza cautelare limitandosi a prestare credibilità ai fatti narrati dagli agenti di p.g., non offrendo alcuna argomentazione sulle dichiarazioni giustificative del C.;
che, con un secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione di legge in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, elencando precedenti di questa Corte sul punto;
che tale è, in sintesi – ex art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, – l’enunciazione delle questioni poste;
considerato che nei confronti di C.L. – come comunicato dall’ufficio G.I.P. del Tribunale di Trani il 12.9.2007, su richiesta della Cancelleria di questa Corte – l’ordinanza 19.3.2007 risulta revocata per scadenza termini in data 11.6.2007;
che, questa Corte si è espressa nel senso, condiviso dal Collegio, secondo cui in tema di impugnazioni riguardanti provvedimenti su misure cautelari personali, allorchè queste siano successivamente revocate nelle more del procedimento incidentale non è configurabile un interesse all’impugnazione in funzione del conseguimento della pronuncia della Cassazione sull’insussistenza degli indizi di colpevolezza ex art. 405 c.p.p., comma 1 bis, in quanto il giudice di legittimità non si pronuncia sulla mancanza di indizi, bensì il suo sindacato riguarda di regola il difetto di motivazione sul fumus commissi delicti (Sez. 6, 15 novembre 2006, dep. 8 marzo 2007, n. 9943);
che, pertanto, l’interesse dell’indagato a ottenere una pronunzia, in sede di riesame, di appello o di ricorso per cassazione, sulla legittimità dell’ordinanza che ha applicato o mantenuto la custodia cautelare, nel caso in cui quest’ultima sia stata revocata nelle more del procedimento, non può presumersi, ma deve essere dedotto dall’indagato e il giudice ne deve valutare la concretezza ed attualità e, inoltre, anche l’eventuale interesse dell’indagato a precostituirsi il titolo in funzione della futura richiesta di equa riparazione per l’ingiusta detenzione ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 2, deve essere manifestato in termini positivi e univoci (Sez. 6, 15 novembre 2006, cit.);
che nella concreta fattispecie non è stato rappresentato con i motivi di ricorso un interesse riconducibile a quello indicato e, pertanto, non è da revocare in dubbio la carenza d’interesse;
che la sopraggiunta carenza d’interesse, dovuta all’adozione di un provvedimento successivo alla presentazione dell’impugnazione, comporta l’insussistenza delle condizioni che possano giustificare l’applicazione della condanna alle spese del procedimento, nonchè al pagamento di una somma alla Cassa delle ammende, non essendo configurabile un’ipotesi di soccombenza virtuale (S.U., 25 giugno 1997 n. 7, Chiappetta).
P.Q.M.
LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse.
Così deciso in Roma, il 25 settembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2007