R.L., quale tutore di S.A., chiedeva alla Corte di Appello di Roma equa riparazione per un giudizio, da lei promosso in detta qualità in data 19/3/93 davanti al Giudice del Lavoro di Napoli, e poi davanti a quello di Torre Annunziata per ottenere interessi e rivalutazione monetaria in ordine di arretrati di quanto corrisposto per il diritto all’indennità di accompagnamento ex L. 11 febbraio 1980, n. 18, art. 1; faceva presente che in primo grado il processo si era concluso con sentenza del 22/11/96, che il giudizio di appello, promosso in data 8/4/97, si era concluso 14/10/2002.
L’ adita Corte d’Appello di Roma, con il decreto in esame in data 26/4/2004, rigettava la domanda; affermava in particolare che "nel ricorso non è stato allegato alcun elemento, sia pure indiziario, a sostegno dell’esistenza di un pregiudizio morale o di un danno materiale, originati dalla non fisiologica durata del giudizio e non dipendente da colpa della ricorrente, allegazione tanto più necessaria sol che si consideri che unico soggetto che in concreto fa valere il diritto all’indennizzo è il minore rappresentato dalla R., ragion per cui, in mancanza di concreta dimostrazione che, per specifiche dinamiche inerenti alla potestà, per l’esistenza di circostanze negative incidenti direttamente sul minore e dipendenti dalla durata del processo (quali ad esempio, la continua necessità di spostarsi dalla propria residenza per essere sottoposta a visita o per presenziare ad incombenti istruttori, poi rinviati) non può riconoscersi la presuntiva esistenza di quella sofferenza psichica che è alla base della richiesta indennitaria".
Ricorre per Cassazione, con quattro motivi, la R., nella qualità; resiste con controricorso il Ministero della Giustizia. La ricorrente ha altresì depositato memoria. Il processo è pervenuto all’odierna pubblica udienza dopo ordinanza interlocutoria in data 25/1/2006.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione del rapporto tra normativa nazionale e sovranazionale in materia di applicazione degli artt. 6 e 41 della Convenzione dei diritti dell’Uomo ex art. 360 c.p.c., punto 3.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 in ordine all’omessa liquidazione del danno in questione, contrariamente a quanto sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità ed europea in ordine alla rilevanza in re ipsa della durata irragionevole.
Con il terzo motivo si deduce difetto di motivazione in ordine alla rilevanza della posta in gioco, riguardando la vicenda in questione interessi personali primari.
Con il quarto motivo, infine, si deduce ancora difetto di motivazione sulla sussistenza del danno in questione.
Il ricorso merita accoglimento quanto al secondo motivo, Censurabile è, infatti, la decisione impugnata là dove afferma la non spettanza dell’indennizzo in questione, in quanto, essendo la relativa domanda proposta da tutore di soggetto incapace, è con riferimento alla posizione di quest’ultimo che deve essere "in concreto dimostrato" il diritto all’equa riparazione, con particolare riferimento ai turbamenti psichici connessi alla continua esigenza per lo stesso di spostarsi, per adempimenti istruttori ed altro, dal proprio luogo di residenza.
Il decreto in oggetto, non in linea con la giurisprudenza di questa Corte e con la Corte di Strasburgo, non solo, quindi, afferma la sussistenza di uno specifico e rigoroso onere probatorio a carico del richiedente, tralasciando del tutto l’indirizzo ormai consolidato (tra le altre, Cass. S.U., n. 1239/2004 e successive) in base al quale il diritto all’equo indennizzo può essere dimostrato anche sulla base di mere presunzioni collegate alla oggettiva durata del processo oltre i limiti della c.d. ragionevolezza, ma arbitrariamente, con particolare riferimento alla vicenda in esame in cui il soggetto "interessato" è affetto da un’elevata compromissione delle qualità psicofisiche, assistito da tutore, ipotizza un non consentito raccordo tra detto indennizzo e il disagio esistenziale (da dimostrare) derivante dalla "partecipazione al processo".
Tra l’altro deve anche rilevarsi che erroneamente nel solo testo della prima parte della motivazione si fa riferimento a tale C.A., minore e non appunto a S.A., circostanza quest’ultima che non risulta avere inciso sulla ratio decidendi, comunque censurabile per quanto esposto, della pronuncia in esame.
Assorbiti risultano il terzo e il quarto motivo mentre generico nella sua formulazione e quindi inammissibile, è il primo motivo.

P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, con assorbimento del terzo e del quarto motivo e dichiara inammissibile il primo; cassa e rinvia, anche per le spese della presente fase alla Corte d’Appello di Roma (stessa sezione, diversa composizione).
Così deciso in Roma, il 28 giugno 2007.
Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2007