La Corte di Appello di Roma, esaminando domanda di equa riparazione proposta da G.G. contro il Ministero della Giustizia per la irragionevole durata di un procedimento di esecuzione per espropriazione immobiliare a carico del G. stesso (durato dal pignoramento del 31.3.1992 alla estinzione comunicata il 31.1.2005), con decreto 23.3.2006 ritenne irragionevole la durata per anni quattro avendo sottratto pari durata ritenuta ragionevole nel periodo di otto anni tra il pignoramento e l’ordinanza 22.11.2000 con la quale il GE aveva ordinato al creditore la produzione dei documenti di rito ed avendo, di contro, interamente addebitato al debitore tutto il periodo corrente tra il 30.6.2001 (data nella quale scadeva il termine fissato per la citata produzione) e la data nella quale era stata dichiarata l’estinzione. L’addebito era avvenuto per la ritenuta inerzia del debitore nel non aver proposto, come consentito dal novellato art. 567 c.p.c., l’istanza di estinzione. Per i quattro anni di durata ritenuta irragionevole, quindi, la Corte di Roma riconobbe all’istante indennizzo pari ad Euro 2.000,00.
Per la cassazione di tale decreto il G. ha proposto ricorso 17.3.2007 con tre motivi, non resistiti da difese dell’intimato Ministero della Giustizia.
Il relatore designato, nella relazione depositata il 14.12.2007 ex art. 380 bis c.p.c., ha rilevato la esistenza di quesiti conclusivi dei tre motivi e la piena fondatezza delle doglianze relative tanto alla immotivata consistente riduzione dell’indennizzo rispetto allo standard CEDU quanto l’errato addebito automatico alla parte debitrice del ritardo tra scadenza del termine per l’integrazione documentale del creditore ed effettiva estinzione della procedura.
OSSERVA:
Il Collegio – che pienamente condivide la relazione sopra sintetizzata – ritiene infondato il secondo motivo e pienamente fondati primo e terzo motivo del ricorso. Irricevibile, per mera descrittività del quesito, è il secondo motivo, che prospetta in modo generico la esigenza di apprestare una motivazione specifica e congrua le volte in cui il Giudice dell’equo indennizzo intenda derogare ai parametri indennitari CEDU, nel mentre la censura si sarebbe dovuta appuntare sulla specifica motivazione derogatoria adottata nella specie.
Fondato è invece il primo motivo, essendosi la Corte di merito con la riportata decisione sottratta al principio di diritto per il quale, il comportamento del debitore esecutato in una procedura di esecuzione per espropriazione immobiliare, che non solleciti il G.E. a dichiarare l’estinzione della procedura per inosservanza da parte del creditore del termine fissato per l’integrazione documentale ai sensi dell’art. 576 c.p.c. comma 3 nel testo di cui alla L. 3 agosto 1998, n. 302, art. 1, può essere ritenuto concausa del ritardo nella successiva estinzione (indiscutibile essendo infatti la possibilità che detta estinzione venga dichiarata d’ufficio) soltanto se detta inerzia sia qualificabile come contegno addebitabile al debitore stesso della L. n. 89 del 2001, ex art. 2, comma 2 e quindi solo se sia risultante ex actis che della fissazione del termine e della sua inosservanza esso debitore fosse. stato consapevole.
Fondato è anche il terzo motivo, avendo la Corte di Roma mancato di osservare il principio, sempre ribadito da questa Corte (dopo S.U. 1338/04), per il quale il Giudice italiano deve attenersi nella liquidazione dell’indennizzo alla indicazione della Corte Europea e pertanto liquidare non meno di Euro 1.000,00 ad anno di irragionevole durata del processo (Cass. 14 del 2008) pur se ad esso Giudice a tal parametro è consentito derogare in pejus, ragionevolmente, nei casi in cui, con adeguata e completa motivazione, ravvisi una situazione di minor patema indotto dal ritardo (in tal caso valutando comparativamente natura della causa, entità della posta in gioco e condizioni socio economiche della parte stessa).
Si dispone quindi il rinvio alla stessa Corte per nuovo giudizio che faccia applicazione dei citati principi e per regolare, conclusivamente, le spese di legittimità.

P.Q.M.
Accoglie primo e terzo motivo del ricorso e rigetta il secondo; cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 febbraio 2008.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2008