Che la Corte d’appello di Milano, adita da M.C. con ricorso ritualmente depositato al fine di conseguire l’equa riparazione per la lamentata irragionevole durata di un procedimento penale per i reati di cui agli artt. 594, 595 e 612 c.p., svoltosi dinanzi al Giudice di Tortona e durato dal 21 febbraio 1997 al 15 dicembre 2003, con Decreto del 22 ottobre 2004 ha condannato il Ministero al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 1.920,00, nonchè al rimborso della metà delle spese processuali;
che la Corte d’appello ha stimato in tre anni la durata ragionevole del procedimento ed ha ritenuto pertanto che il periodo eccedente la durata ragionevole era complessivamente pari a tre anni e dieci mesi, giudicando questo il periodo rilevante per determinare l’equa riparazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3;
che per tale periodo la Corte territoriale ha quantificato il danno morale in via equitativa nella somma di Euro 1.920,00;
che per la Cassazione di tale decreto la M. ha proposto ricorso, al quale l’intimato Ministero della giustizia non ha resistito.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Che nel ricorso vengono denunciati come illegittimi la modestia della somma liquidata a titolo di danno non patrimoniale, in violazione dei parametri derivanti dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, e il mancato riconoscimento del diritto all’indennizzo con riferimento alla intera durata del processo presupposto (e non al solo periodo eccedente il termine ragionevole);
che deve essere dichiarata manifestamente infondata la censura afferente alla necessità di liquidare l’indennizzo con riferimento alla durata dell’intero processo, posto che la legge nazionale (L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3, lettera a), con una chiara scelta di tecnica liquidatoria non incoerente con le finalità sottese all’art. 6 della CEDU, impone di correlare il ristoro al solo periodo di durata irragionevole (Cass., Sez. 1, 13 aprile 2006, n. 8714);
che detta modalità di calcolo non tocca la complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, e, dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2), dovendosi perciò dichiarare manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata dalla parte (in termini: Cass., Sez. 1, 13 aprile 2006, n. 8714, cit.);
che, viceversa, manifestamente fondato, per quanto di ragione, è il motivo attinente alla quantificazione del danno non patrimoniale, giacchè la somma liquidata per anno di ritardo dalla Corte d’appello di Milano (Euro 500,00) si discosta in misura significativa dai parametri elaborati dalla Corte europea e recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte;
che, infatti, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito come la valutazione dell’indennizzo per danno non patrimoniale resti soggetta – a fronte dello specifico rinvio contenuto nella L. n. 89 del 2001, art. 2 – all’art. 6 Convenzione, nell’interpretazione giurisprudenziale resa dalla Corte di Strasburgo, e, dunque, debba conformarsi, per quanto possibile, alle liquidazioni effettuate in casi similari dal Giudice europeo, sia pure in senso sostanziale e non meramente formalistico, con la facoltà di apportare le deroghe che siano suggerite dalla singola vicenda, purchè in misura ragionevole (Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n, 1340);
che, in particolare, detta Corte, con decisioni adottate a carico dell’Italia il 10 novembre 2004 (v., in particolare, le pronunce sul ricorso n. 62361/01 proposto da Riccardi Fizzati e sul ricorso n. 64897/01 Zullo), ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno la base di partenza per la quantificazione dell’indennizzo, ferma restando la possibilità di discostarsi da tali limiti, minimo e massimo, in relazione alle particolarita della fattispecie, quali l’entità della posta in gioco e il comportamento della parte istante (cfr., ex multis, Cass., Sez. 1, 26 gennaio 2006, n. 1630);
che sulla base di quanto sin qui affermato, cassato il decreto in accoglimento della indicata censura, non essendo necessario accertare fatti di sorta, ben può procedersi alla decisione ex art. 384 c.p.c., determinando, per gli individuati anni di eccedenza rispetto alla ragionevole durata, il dovuto indennizzo;
che, tenuto conto dei parametri discendenti dalla giurisprudenza della CEDU, l’equa riparazione può essere determinata in Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo, ed al pagamento, pertanto, di Euro 3.830,00, oltre interessi legali dal decreto della Corte d’appello al saldo, deve essere condannato il Ministero della giustizia in favore della ricorrente;
che le spese del giudizio di merito e del presente giudizio di Cassazione vengono poste a carico del soccombente Ministero della giustizia nella misura della metà, essendo la domanda accolta solo in parte, compensandosi per la restante parte.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia a corrispondere a M.C. la somma di Euro 3.830,00 oltre agli interessi legali dal decreto della Corte d’appello al saldo, ed oltre alla metà delle spese processuali, compensandole per la restante parte, spese che liquida, nella misura ridotta, in Euro 425,00 per il giudizio di merito (di cui Euro 150,00 per diritti ed Euro 220,00 per onorari), ed in Euro 350,00 per il giudizio di legittimità (di cui Euro 35,00 per esborsi), oltre a spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2007