1 S.A., con ricorso alla Corte di appello di Roma, ha proposto domanda per la condanna delle. Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento di una somma, a titolo di equa riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, per la eccessiva durata di un processo dinanzi al Tar del Lazio, iniziato con ricorso depositato nel giugno 1997 – avente ad oggetto il pagamento di accessori su somme già in precedenza liquidategli – conclusosi con sentenza depositata nel maggio 2002. La Corte di appello rilevava che nel corso del giudizio dinanzi al Tar era stata sollevata una questione di costituzionalità, relativa alla L. n. 448 del 1998, la quale aveva inibito la liquidazione degli accessori richiesti, e che pertanto il processo era stato sospeso in attesa della pronuncia della Corte costituzionale. Riteneva non irragionevole la durata del processo dinanzi al Tar nè quanto al periodo anteriore alla entrata in vigore della legge in relazione alla quale era stata sollevata la questione di legittimità costituzionale, nè quanto al periodo successivo alla sentenza della Corte, e comunque il periodo di ragionevole durata del processo, nel caso di specie, doveva essere aumentato sostanzialmente in ragione dell’incidente di costituzionalità – che aveva dato luogo alla promozione di un diverso giudizio – così da non potersi ritenere irragionevole la durata del processo dinanzi al Tar. La Corte di appello riteneva inoltre che, anche se si dovesse ritenere eccessiva la durata del processo, era mancata la prova del danno morale. Pertanto, rigettava la domanda con decreto depositato il 16 aprile 2004. La S. ricorre avverso tale decreto con ricorso notificato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 30 maggio 2005. La Presidenza del Consiglio dei ministri resiste con controricorso notificato il giorno 8 luglio 2005.
La causa è stata fissata per l’esame in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE
1 Con il ricorso si denunciano la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, e degli artt. 6, 13 e 41 della CEDU, dei principi generali in tema di controversie di lavoro, nonchè il difetto assoluto di motivazione. Si deduce che la Corte di appello non avrebbe tenuto conto dei criteri indicati dall’art. 2 su detto per la valutazione della ragionevolezza della durata del processo, da determinarsi in relazione alla complessità della causa, nè ha stabilito quale dovesse essere, in relazione ai su detti criteri, il termine di durata ragionevole nel caso di specie. Inoltre la Corte di appello non avrebbe tenuto in adeguato conto i principi stabiliti dalla sentenza n. 16882 del 2002 di Questa Corte.
Infine la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere non provato, in mancanza di specifica prova, il danno non patrimoniale, tenuto conto oltre che della giurisprudenza della CEDU, anche dei principi stabiliti al riguardo dalle sezioni unite di questa Corte.
Il ricorso è manifestamente fondato, nei sensi appresso indicati.
La Corte di appello non ha determinato in concreto, in relazione alle peculiarità specifiche del caso di specie, la giusta durata che il processo avrebbe dovuto avere, applicando il principio, che in questa sede va ribadito – già affermato con la sentenza n. 16882 del 2002 e precisato con la sentenza n. 789 del 2006 e successivamente consolidatosi – secondo il quale; a) ai fini della determinazione della giusta durata del processo, il giudizio di legittimità costituzionale non rileva in via autonoma, dal momento che la relativa decisione non concerne un diverso processo, ma una questione pregiudiziale rispetto all’unico processo attinente al merito della controversia, cosicchè il superamento del termine di ragionevole durata deve essere riferito al processo nel quale sia sorta la questione di costituzionalità, senza che possa detrarsi automaticamente l’intero periodo di sospensione connesso alla sua risoluzione, non giustificando di per se la durata del processo l’emanazione, durante il suo corso, di una legge poi dichiarata incostituzionale; b) tuttavia, nell’ambito della valutazione del criterio della complessità del caso di cui al citato art. 2, va tenuto conto della circostanza che nel processo sia sorta la necessità di sollevare la questione di legittimità costituzionale, dovendosi pertanto calcolare e motivare, sulla base dei criteri stabiliti dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 anche sotto tale aspetto, la ragionevolezza in concreto della durata del processo.
Parimenti errata è l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo la quale parte attrice doveva dare la prova della sussistenza del danno morale. Infatti, alla stregua dei principi enunciati da questa Corte a SS.UU. (sentenza 26 gennaio 2004, n. 1338), in tema di equa riparazione L. n. 89 del 2001, ex art. 2, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo. Sicchè, pur dovendosi escludere la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa, il giudice, di fronte alla domanda d’indennizzo, per un verso non può sot-trarsi alla valutazione della ragionevole durata del processo per la mancanza di una specifica prova, da parte dell’attore, del danno non patrimoniale, ma deve accertare se ed in quale misura il giudizio si sia irragionevolmente protratto. Per altro verso, una volta accertata la sua irragionevole durata, di regola deve ritenere, in via presuntiva, sussistente un danno non patrimoniale ove non ricorrano, nel caso specifico, circostanze del tutto particolari, da individuare specificamente in relazione alla fattispecie concreta, che possano farne positivamente escludere la esistenza. Interpretazione questa, della normativa dettata dalla L. n. 89 del 2001, imposta dalla necessità di adottare un’interpretazione conforme alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, secondo la quale il danno non patrimoniale conseguente alla irragionevole durata del processo viene normalmente liquidato, secondo parametri ormai costanti nell’elaborazione giurisprudenziale, senza la necessità di specifica prova di esso, in mancanza di speciali ragioni che ne facciano, nel singolo caso concreto, escludere la sussistenza. Parametri ai quali può derogarsi in relazione alla natura ed entità della domanda proposta con il giudizio a quo, alle condizioni socio-economiche dell’attore, alla eventuale palese infondatezza delle sue richieste in quel giudizio, nonchè ad ogni altra circostanza idonea alla sua concreta valutazione (Cass SS.UU. 26 gennaio 2004, n. 1339 cit.; 26 gennaio 2004, n. 1340).
La sentenza impugnata si pone in contrasto con tali principi, cosicchè il ricorso deve pertanto essere accolto, nei sensi su indicati e il decreto va cassato, con rinvio alla stessa Corte di appello di Roma, in altra composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte di cassazione Accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2007