N.V. ha proposto ricorso, sulla base di due motivi, per la cassazione del decreto, emesso il 17 gennaio 2005, con cui la Corte d’appello di Roma gli ha riconosciuto la somma di Euro 800,00 a titolo di equa riparazione per danni non patrimoniali causati dalla durata, ritenuta eccessiva per anni quattro, di un processo nei confronti delle Ferrovie dello Stato, avente a oggetto la revisione della pensione, iniziato nel 1994 dinanzi alla Corte dei Conti sezione giurisdizionale per la regione Puglia – che, con sentenza del 25 settembre 2001, aveva rigettato la domanda – e definito nel 2004 in grado di appello davanti alla Sezione Centrale della Corte dei Conti con il rigetto del gravame.
Ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
E’ stata disposta la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c..
Il P.G. ha concluso come in atti.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Denunziando violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2729 c.c. e motivazione illogica e insufficiente, il ricorrente con il primo motivo censura la determinazione in soli quattro anni del periodo di eccessiva durata del processo e il fatto che, contro ogni evidenza, sia stata ritenuta non particolarmente elevata la somma richiesta nel giudizio presupposto.
Con il secondo motivo, denunziando violazione della L. n. 80 del 2001, art. 2 e dell’ art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, lamenta che la liquidazione del danno è avvenuta in modo insufficiente rispetto ai parametri previsti dalla Corte EDU, specie con riferimento alle cause di lavoro o previdenziali.
Il ricorso non è fondato laddove lamenta la determinazione in anni quattro del segmento temporale eccedente la ragionevole durata del processo. Sottolineando la complessità del procedimento, la corte capitolina ha spiegato perchè ha ritenuto come ragionevole la durata di tre anni per ognuno dei gradi di giudizio. Tale determinazione è peraltro di poco inferiore a quella (tre anni per il giudizio di primo grado e due per il secondo) in linea di massima fissata dalla Corte EDU. Merita accoglimento la proposta impugnazione nella parte in cui investe la liquidazione del danno.
Invero, questa Corte ha già avuto modo di precisare che il giudice di merito può discostarsi dai principi affermati in materia di quantificazione del danno non patrimoniale dalla giurisprudenza della Corte EDU, solo in termini ragionevoli e in presenza di determinate circostanze, costituendo, in caso contrario, il mancato rispetto dei parametri stessi violazione di legge, censurabile in cassazione (Cass. Sez. Un. 1340/2004).
Consegue che il giudice di merito, per potersi ragionevolmente e motivatamente discostare dai parametri indennitari in questione, dovrà, al fine di determinare l’impatto dell’irragionevole ritardo sulla psiche del richiedente e definire così il danno non patrimoniale, procedere sempre a un giudizio di comparazione i cui termini sono costituiti, da un lato, dalla natura e dall’entità della pretesa pecuniaria avanzata dal richiedente (la cosiddetta posta in gioco) e, dall’altro, dalle condizioni socio-economiche del litigante, posto che solo tale comparazione può fornire la prova, sia pure presuntiva, dell’effettiva entità dello stress subito dall’attore, essendo ancorata a elementi concreti e non a formule generiche e meramente astratte. Detta comparazione costituisce valutazione di merito non sindacabile nel giudizio di legittimità se congruamente motivata.
Corollario di quanto fin qui esposto è che il giudice di merito potrà discostarsi dai parametri indennitari fissati dal giudice sopranazionale (oscillanti mediamente tra i mille ed i millecinquecento Euro per anno) sia in senso migliorativo che peggiorativo solo sulla base delle allegazioni e delle prove fornite dalle parti e dandone puntuale spiegazione.
Nella specie, la Corte d’appello, pur avendo accertato un ritardo irragionevole di quattro anni, ha poi liquidato per tale periodo solo Euro 800,00, basandosi sulla posta in gioco e cioè al fatto che "la somma vantata era assai lieve".
La motivazione posta a giustificazione del sensibile discostamento dagli standard elaborati dalla Corte EDU, decisamente criptica laddove fa riferimento, senza alcuna specificazione, a una trascurabile entità del peti tuoi, è anche lacunosa, non prendendo in considerazione l’oggetto del giudizio e le condizioni dell’interessato.
L’impugnato decreto va pertanto cassato con rinvio alla stessa corte distrettuale, ma in diversa composizione, affinchè proceda a nuova liquidazione del danno non patrimoniale subito dal ricorrente, attenendosi ai parametri elaborati dalla Corte EDIT o discostandosene per specifiche e motivate ragioni.
Il giudice del rinvio provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte, rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo, cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2007