1. L’Ufficio del Registro di Morbegno notificava un avviso di accertamento ai contribuenti, signori F.A. e R.C., i quali proponevano ricorso alla C.T.P. di Sondrio.
Nel corso del giudizio di primo grado, le parti tentavano di conciliare la lite, redigendo apposito verbale, nel quale determinavano il valore del cespite, oggetto di controversia e lo depositavano agli atti. I contribuenti, tuttavia, avrebbero solo pagato le somme pari alle imposte e chiesto, all’Amministrazione finanziaria, la riduzione delle sanzioni, in una misura non consentita (ossia pari al 25% delle imposte dovute).
L’Ufficio avrebbe negato il proprio accordo sulla riduzione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 48, onde la C.T.P. rinviata l’udienza, per la quantificazione di tali accessori (sanzioni e interessi), successivamente precisati dall’Amministrazione con atto sottoscritto ed accettato dal solo Direttore dell’Ufficio e non anche dalla parte contribuente, e quindi dichiarava cessata la materia del contendere.
2. Avverso tale sentenza, l’Ufficio proponeva sia una domanda di revocazione, respinta dalla C.T.P., sia un appello, davanti alla C.T.R. della Lombardia, che pure respingeva l’impugnazione.
Secondo la Commissione regionale, essendo stati depositati agli atti anche un documento, denominato "atto di adesione per rettifica", firmato dal contribuente, la ricorrente non avrebbe potuto pretendere la riforma della sentenza di primo grado.
3. Avverso tale sentenza ricorrono per Cassazione l’Amministrazione delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, con un ricorso congiunto affidato ad un unico mezzo. I contribuenti non svolgono difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE
l. Con l’unico motivo di ricorso (con il quale lamentano la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 48 e vizi motivazionali) i ricorrenti deducono che, nella specie, non si sarebbe perfezionata la conciliazione giudiziale.
Secondo la parte pubblica, posto che la vertenza si trovava nella fase contenziosa, ai fini della conciliazione della lite non era sufficiente la mera adesione del contribuente alla proposta dell’Ufficio, ma sarebbe stato necessario il verbale di conciliazione, unico strumento per definire e consentire la cessazione della materia del contendere insorta tra le parti.
Secondo i ricorrenti, avendo i contribuenti corrisposto la sanzione solo nella misura di 1/4 (ossia del 25%) delle imposte dovute, la conciliazione non si sarebbe perfezionata.
2. Il ricorso pone un problema particolare (il perfezionamento della conciliazione giudiziale tra le parti di questo giudizio) la cui soluzione dipende dalla risposta ad una questione più generale:
l’interpretazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 48.
Infatti, il ricorso contesta la statuizione di cessazione della materia del contendere data dal giudice della fase di merito perchè contesta la legittimità di quel provvedimento in relazione ai presupposti ed alle condizioni per la sua dozione.
2.1. Secondo l’art. 48, in esame: "1. Ciascuna delle parti con l’istanza prevista nell’articolo 33, può proporre all’altra parte la conciliazione totale o parziale della controversia.
2. La conciliazione può aver luogo solo davanti alla commissione provinciale e non oltre la prima udienza, nella quale il tentativo di conciliazione può essere esperito d’ufficio anche dalla commissione.
3. Se la conciliazione ha luogo, viene redatto apposito processo verbale nel quale sono indicate le somme dovute a titolo d’imposta, di sanzioni e di interessi, il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute mediante versamento diretto in un’unica soluzione ovvero in forma rateale, in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo, ovvero in un massimo di dodici rate trimestrali se le somme dovute superano i cento milioni di L., previa prestazione di idonea garanzia mediante polizza fideiussoria o fideiussione bancaria. La conciliazione si perfeziona con il versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di redazione del processo verbale, dell’intero importo dovuto ovvero della prima rata e con la prestazione della predetta garanzia sull’importo delle rate successive, comprensivo degli interessi al saggio legale calcolati con riferimento alla stessa data, e per il periodo di rateazione di detto importo aumentato di un anno. Per le modalità di versamento si applica il D.P.R. 28 settembre 1994, n. 592, articolo 5. Le predette modalità possono essere modificate con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro.
3-bis. In caso di mancato pagamento anche di una sola delle rate successive, se il garante non versa l’importo garantito entro trenta giorni dalla notificazione di apposito invito, contenente l’indicazione delle somme dovute e dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa, il competente ufficio dell’Agenzia delle entrate provvede all’iscrizione a ruolo delle predette somme a carico del contribuente e dello stesso garante.
4. Qualora una delle parti abbia proposto la conciliazione e la stessa non abbia luogo nel corso della prima udienza, la commissione può assegnare un termine, non superiore a sessanta giorni, per la formulazione di una proposta ai sensi del comma 5.
5. L’ufficio può, sino alla data di trattazione in Camera di consiglio, ovvero fino alla discussione in pubblica udienza, depositare una proposta di conciliazione alla quale l’altra parte abbia previamente aderito. Se l’istanza è presentata prima della fissazione della data di trattazione, il presidente della commissione, se ravvisa la sussistenza dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità, dichiara con decreto l’estinzione del giudizio. La proposta di conciliazione ed il decreto tengono luogo del processo verbale di cui al comma 3. Il decreto è comunicato alle parti ed il versamento dell’intero importo o della prima rata deve essere effettuato entro venti giorni dalla data della comunicazione.
Nell’ipotesi in cui la conciliazione non sia ritenuta ammissibile il presidente della commissione fissa la trattazione della controversia.
Il provvedimento del presidente è depositato in segreteria entro dieci giorni dalla data di presentazione della proposta.
6. In caso di avvenuta conciliazione le sanzioni amministrative si applicano nella misura di un terzo delle somme irrogabili in rapporto dell’ammontare del tributo risultante dalla conciliazione medesima.
In ogni caso la misura delle sanzioni non può essere inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo".
2.2. E’ l’interpretazione pressochè unanime in dottrina quella secondo cui tale disposizione legislativa comprenderebbe due diversi tipi di conciliazione: a) una cd. ordinaria, che si conclude in udienza (commi 2 e 3) con la redazione di un apposito verbale; b) una cd. abbreviata, con cui si addiviene ad una conciliazione "preconcordata", fuori udienza, caratterizzata dal raggiungimento di un accordo stragiudiziale sulla materia del contendere (commi 4 e 5), i cui effetti si ripercuotono poi sulla conclusione del giudizio in corso.
Con particolare riguardo a questa seconda ipotesi di conciliazione, il comma 5 attribuisce all’Ufficio impositore la possibilità di depositare una "proposta di conciliazione" fino alla discussione della causa in pubblica udienza.
Tale eventualità, però, non può essere intesa soltanto come possibilità di far rifluire il provvedimento estintivo del giudizio nell’ambito delle pronunce rese fuori udienza, e cioè nel novero dei provvedimenti presidenziali, ma anche nel senso che l’eventuale accordo potrà essere verificato e pronunciato dal Collegio, ove l’udienza sia stata già fissata oppure la Commissione abbia assegnato, ai sensi del comma 4, un termine, non superiore a sessanta giorni, per la formulazione di una proposta conciliativa, ai sensi del comma successivo.
A una tale conclusione concorre anzitutto il dato testuale, che consente, innanzitutto, la formulazione della proposta anche dopo che la conciliazione non abbia avuto luogo nel corso della prima udienza (comma 4), e che, in secondo luogo, l’istanza venga presentata "prima della fissazione della data di trattazione" (comma 5) ma, perciò stesso, consentendo anche che l’istanza venga presentata "dopo" che sia stata già fissata la trattazione. E, in questo secondo caso, il potere decisorio è avocato, come nel caso in esame, dal Collegio.
Alla stessa conclusione, però, concorre anche la finalità perseguita dalla disposizione in esame, che è palesemente quello di contribuire alla deflazione del contenzioso tributario, inscrivendo il meccanismo da essa disciplinata nell’ambito degli istituti di risoluzione alternative delle controversie (cd. movimento per le A.D.R.), che ha trovato, in tal modo, ingresso anche nell’ambito delle liti fiscali.
Infatti, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, nella sentenza n. 1540 del 2007, il principio costituzionale di ragionevole durata del processo trova applicazione anche nel processo tributario, senza che assuma alcun rilievo, in contrario, l’inapplicabilità tendenziale allo stesso della disciplina dettata in materia di equa riparazione. Tale imperativo, infatti, si rivolge non soltanto al giudice quale soggetto processuale, in funzione acceleratoria, ma anche e soprattutto al legislatore ordinario ed al giudice quale interprete della norma processuale, rappresentando un canone ermeneutico imprescindibile per una lettura costituzionalmente orientata delle norme che regolano le liti, nonchè a tutti i protagonisti del giudizio, ivi comprese le parti, le quali, soprattutto nei processi caratterizzati dalla difesa tecnica, debbono responsabilmente collaborare alla sua celere definizione.
Insomma, un tale canone ermeneutico deve trovare ingresso, a maggior ragione, nell’ambito degli istituti deflativi delle liti, nel cui novero rientra la conciliazione giudiziale.
2.3. Venendo al caso in esame, questa Corte è chiamata ad esaminare il valore della proposta di conciliazione preconcordata fuori dell’udienza, quale risulta dall’incarto processuale, denominata espressamente "atto di adesione per rettifica-verbale di conciliazione", redatto in quattro esemplari, "letto ed accettato dalle parti" (come si rileva dagli atti processuali, a cui questa Corte deve accedere, discutendosi di un atto negoziale con indubbi effetti estintivi del giudizio e quindi aventi natura processuale), con il quale si è stipulato un accordo sul valore finale del bene oggetto di trasferimento e ci si è limitati a concordare l’imposta dovuta (dai contribuenti), ma non anche le sanzioni.
Secondo i ricorrenti, il mancato accordo sull’entità delle sanzioni, avrebbe paralizzato il potere di estinzione del giudizio proprio del collegio giudicante.
Avrebbe errato, pertanto la Commissione Tributaria Provinciale nel dichiarato l’estinzione del processo, ritenendo avvenuta la conciliazione fra le parti e, implicitamente, superflua la controversia sull’entità delle sanzioni.
2.3.1. E, invece, la materia delle sanzioni applicabili alla controversia conciliata è del tutto sottratta alla disponibilità delle parti, atteso che l’art. 48 in esame ne fa automatica applicazione, "nella misura di un terzo delle somme irrogabili in rapporto dell’ammontare del tributo risultante dalla conciliazione medesima", e salva "la misura non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo".
Non v’era bisogno, pertanto, che le parti in lite si accordassero anche sulle sanzioni, affinchè la lite fosse conciliata e il processo dichiarato estinto. Le sanzioni, infatti, sono recuperabili in un momento successivo attraverso le consuete tecniche liquidatorie da parte dell’Ufficio competente.
Tale interpretazione, del resto, è confortata anche dal dato letterale (del comma 6) secondo cui "In caso di avvenuta conciliazione le sanzioni amministrative si applicano nella misura…". Vale a dire che, dopo la conciliazione, le sanzioni possono essere pretese dall’Ufficio nella misura legalmente fissata dallo citato art. 48, comma 6, più volte citato.
2.4. Il ricorso per Cassazione, pertanto, è destituito di fondamento e deve essere respinto, senza che sia necessario provvedere sulle spese di questa fase, perchè la parte contribuente non ha svolto difese.

P.Q.M.
Respinge il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5^ sezione civile della Corte di Cassazione, dai magistrati sopraindicati, il 15 febbraio 2007.
Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2007