Con ricorso alla Corte di appello di Trento il sig. A.S. chiedeva, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, artt. 2 ss., l’equa riparazione del danno derivante dal ritardo con cui il giudice dell’esecuzione aveva in suo favore emesso – il 4 maggio 2001 – il decreto di trasferimento di un immobile che egli si era aggiudicato all’incanto svoltosi il 4 marzo 2000, e con cui, successivamente, egli era entrato nell’effettivo possesso del bene, occupato dall’espropriato, a seguito della procedura esecutiva di rilascio intrapresa nel luglio 2001 e conclusasi nel luglio 2003. L’attore chiedeva liquidarsi in suo favore la somma di 25.400 Euro a titolo di danno patrimoniale, costituito dalla mancata percezione del reddito dell’immobile e dalle maggiori spese legali, e la somma di 3.000 Euro a titolo di danno non patrimoniale.
Resisteva l’intimato Ministero della Giustizia e la Corte di appello adita, con il decreto indicato in epigrafe, accoglieva parzialmente la domanda. Riteneva, in particolare, che, pur considerando che con la procedura di rilascio avevano interferito fattori esterni – e cioè un provvedimento di sequestro dell’immobile adottato dal sindaco del luogo a tutela della posizione dei figli dell’esecutato – e pur considerate le difficoltà di esecuzione del rilascio di immobili destinati ad uso abitativo, si era comunque verificato il superamento del termine ragionevole di durata del processo, non essendo giustificabile nè l’emissione del decreto di trasferimento dopo un anno dall’aggiudicazione, nè il protrarsi per due anni dell’esecuzione per rilascio.
La durata eccedente il ragionevole era pertanto da determinarsi in un anno e mezzo. Esso andava indennizzata, quanto al danno patrimoniale, con la somma di Euro 5.000, determinata in via equitativa e non secondo il criterio proposto dall’attore, in mancanza di prova certa della destinazione degli immobili all’uso personale o alla locazione e dell’entità del canone locativo in concreto ricavatile; quanto al danno non patrimoniale in 750,00 Euro (500,00 Euro annui).
Avverso tale provvedimento ricorre il Ministero della Giustizia.
L’intimato sig. A. resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso denuncia violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1 e 2, e dell’art. 2697 c.c., nonchè difetto di motivazione. Il Ministero ricorrente censura l’unitaria considerazione dei tempi relativi alla procedura esecutiva di espropriazione immobiliare, culminata con il decreto di trasferimento, e dei tempi successivi della procedura di rilascio, lamentando che la Corte di appello non abbia tenuto conto:
a) che la fase del rilascio dell’immobile, successiva al decreto di trasferimento, non ha natura giurisdizionale – e non è dunque soggetta al principio della ragionevole durata di cui all’ art. 6, 1, della convenzione Europea dei diritti dell’uomo – bensì amministrativa, nella quale il giudice interviene, ai sensi dell’art. 610 c.p.c., solo nel caso che in sorgano difficoltà;
b) che, comunque, in detta fase amministrativa si erano verificate circostanze – il richiamato intervento del sindaco – che prescindevano da inadempienze degli organi ausiliari del giudice;
c) che le due procedure – di espropriazione immobiliare e di rilascio – erano diverse, onde i relativi ritardi non potevano essere considerati cumulativamente e, se si fosse compiuta una separata disamina, la domanda avrebbe dovuto essere respinta, sia perchè era intempestiva con riguardo al primo processo, sia perchè la durata delle due procedure non eccedeva quella ragionevole secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo.
In via subordinata, il ricorrente censura anche il riconoscimento del danno patrimoniale, illegittimamente liquidato dalla Corte di appello secondo equità pur in mancanza della prova della sussistenza del danno medesimo (a.n.), come statuito dallo stesso decreto impugnato.
Il ricorso va accolto nei sensi che seguono.
La Corte di appello ha effettivamente errato nel considerare unitariamente le procedure esecutive di espropriazione immobiliare e di rilascio e i relativi tempi. Ciò, tuttavia, non perchè, come erroneamente sostiene il ricorrente, la seconda non abbia natura giurisdizionale (natura, invece, non revocabile in dubbio ove si consideri che la procedura di rilascio è gestita da un ausiliario del giudice e che al giudice spetta il potere di direzione della stessa, del quale è espressione la previsione dell’art. 610 c.p.c., richiamata anche dal ricorrente) e non sia, pertanto, soggetta alla richiamata disciplina della convenzione Europea (sull’applicazione di tale disciplina anche al procedimento di esecuzione per rilascio cfr., ex multis, Cass. 11046/2002, 13768/2002, 14885/2002), quanto, piuttosto, perchè si tratta dì processi distinti, ciascuno dei quali, dunque, distintamente e singolarmente valutabile ai fini del diritto all’equa riparazione in caso di irragionevole durata.
La distinzione sussistente in linea di principio tra processo esecutivo di espropriazione immobiliare e processo esecutivo di rilascio non viene meno per il fatto che il secondo sia attivato sulla base del titolo esecutivo costituito (ai sensi dell’art. 586 c.p.c., u.c.) dal decreto di trasferimento che conclude (per quanto riguarda l’aggiudicatario) il primo. In nessun modo essi possono essere considerati alla stregua di due fasi di un unico processo, perchè hanno diverse finalità: il primo (sempre per quanto riguarda la posizione dell’aggiudicatario) è rivolto all’attribuzione del diritto di proprietà, con l’emissione di un titolo valido anche ai fini esecutivi; il secondo è invece rivolto all’esecuzione, ossia alla traduzione in atto del titolo formato nel primo, ricorrendone la necessità.
Si tratta di distinzione analoga, per quanto qui rileva, a quella intercorrente tra il processo di cognizione culminante in analogo titolo esecutivo e il conseguente, eventuale processo esecutivo di rilascio basato su quel titolo.
Il tema dei rapporti tra processo di cognizione e processo di esecuzione (in particolare per rilascio), ai fini dell’applicazione della disciplina dell’equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, è già stato affrontato da questa Corte nella sentenza n. 21723 del 2005, con riferimento al profilo – pure evidenziato nel ricorso che ci occupa – della decadenza semestrale prevista dall’art. 4 della richiamata legge.
In quell’occasione è stato chiarito, in particolare, che il principio, desunto dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui ai fini della determinazione della durata del processo si deve accertare quando il diritto ha trovato realizzazione, non implica che debba aversi riguardo al momento terminale di soddisfazione della pretesa sostanziale o di esaurimento di tutti i procedimenti predisposti a quello scopo: vero essendo, invece, che deve farsi riferimento al momento in cui si consegue il fine cui è rivolto ciascuno specifico procedimento, sia esso di cognizione (in cui tale momento è costituito dalla definitività del provvedimento conclusivo), sia esso di esecuzione (in cui la formula "decisione definitiva", che figura sia nella L. n. 89, cit., art. 4, e art. 35, p. 1, della Convenzione, non richiama più il concetto di giudicato, bensì quello in cui il diritto ha trovato materiale attuazione); con la conseguenza che il dies a quo del termine decadenziale non può essere differito, per il processo di cognizione, sino all’esaurimento della successiva procedura esecutiva.
La già evidenziata analogia tra l’ipotesi di processo esecutivo di rilascio in forza di titolo formatosi all’esito di un ordinario processo di cognizione e quella del processo esecutivo di rilascio in base al titolo costituito dal decreto di trasferimento emesso nel corso di processo di espropriazione immobiliare, comporta che – condivise da questo collegio le considerazioni contenute nel richiamato precedente – con riguardo alla pretesa concernente la riparazione del ritardo del processo di espropriazione debba dichiararsi la invocata decadenza della L. n. 89 del 2001, ex art. 4.
Il decreto impugnato va quindi cassato con rinvio al giudice indicato in dispositivo, affinchè questi, uniformandosi ai principi di diritto sopra enunciati, proceda ad una nuova, separata valutazione dell’eventuale superamento della durata ragionevole del solo processo di esecuzione per rilascio dell’immobile.
Nel che resta assorbita la censura subordinatamente formulata dal ricorrente e concernente la sussistenza del danno patrimoniale:
profilo, questo, il cui esame è pure rimesso al giudice di rinvio subordinatamente all’esito positivo della predetta valutazione.
Il giudice di rinvio provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Trento in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2007