Con ricorso depositato il 30.05.2005, G.A. adiva la Corte di appello di Trento chiedendo che il Ministero della Giustizia e la Presidenza del Consiglio dei Ministri fossero condannati a corrisponderle l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’ art. 6, sul "Diritto ad un processo equo", della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e della libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. del 4 agosto 1955, n. 848.
Con decreto del 28.06-19.09.2005, l’adita Corte territoriale, nel contraddittorio delle parti, condannava l’Amministrazione della Giustizia a pagare alla Guerriero la complessiva somma di Euro 28.309,33,00, di cui Euro 22.309,33 a titolo di equa riparazione del danno patrimoniale ed Euro 6.000,00 a titolo di equa riparazione del pregiudizio non patrimoniale.
La Corte osservava e riteneva, tra l’altro:
– che la G. aveva riferito la domanda di equa riparazione al ritardo nell’attuazione coattiva del suo diritto alla riconsegna di un immobile locato ad uso abitativo, preceduta dal provvedimento di convalida della licenza per finita locazione, introdotto dinanzi alla Pretura di Mestre;
– che la Presidenza del Consiglio dei Ministri era priva di legittimazione passiva ai sensi del chiaro disposto della L. n. 89 del 2001, art. 3 che individua nel Ministro della Giustizia il, destinatario dei ricorsi connessi a procedimenti di competenza del giudice ordinario, quali sono anche quelli di natura esecutiva;
– che, trattandosi di procedura esecutiva per rilascio, il termine a quo da considerare ai fini della valutazione della relativa durata fosse costituito dalla data di notifica del precetto, poichè solo con tale incombente poteva considerarsi instaurata la fase giudiziaria soggetta a valutazione;
– che non poteva accedersi alla tesi della ricorrente secondo cui era valutabile anche il periodo anteriore in cui gli sfratti erano sospesi, in quanto la sospensione legale avrebbe determinato la sospensione dell’esecuzione e non maggiori oneri conseguenti all’opposizione ex art. 615 c.p.c.;
– che, quindi, nella specie il processo si era protratto dal 7.11.1997 al 23.11.2004, con durata irragionevole quantificabile in circa sei anni che il danno patrimoniale potesse ritenersi esistente avendo la ricorrente documentalmente provato che il canone di mercato era nettamente superiore a quello corrisposto dal conduttore; che l’indennizzo potesse essere liquidato in via equitativa, sottraendo al canone libero di mercato relativo al periodo di ritardo 1999-2004, quello dimostrato come percepito dal conduttore nel medesimo periodo, decurtando il risultato differenziale della percentuale del 40%, mutuata dalla normativa in tema di espropri e comunque in considerazione della natura meramente ipotetica del regolare e tempestivo instaurarsi di un altro valido contratto locativo per tutto il periodo preso in esame;
– che il danno non patrimoniale potesse essere liquidato, in linea con i parametri europei, con l’importo di Euro 1.000,00 per ciascun anno.
Avverso questo decreto il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per Cassazione, fondato su un unico motivo. La G. ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale nei confronti dell’Amministrazione della Giustizia e della Presidenza del consiglio dei Ministri, affidato a due motivi, illustrati da memoria.
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve essere preliminarmente disposta ai sensi dell’art. 335 c.p.c. la riunione dei ricorsi principale ed incidentale proposti avverso il medesimo decreto.
Il Ministero della Giustizia, premesso che si limita ad impugnare il capo della pronuncia relativo alla liquidazione del danno patrimoniale, a sostegno del ricorso principale deduce:
1. Falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 con riguardo ai principi della causalità; motivazione contraddittoria e insufficiente con riguardo all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
Sostiene che il danno patrimoniale è indimostrato, ascrivibile al ritardo osservato dal conduttore nel rilascio dell’immobile, liquidato senza verificare il degrado dell’alloggio e l’effettiva esistenza di nuove proposte o trattative contrattuali al canone di mercato riferibile ad un immobile adeguatamente manutenuto, e che l’attribuzione del relativo indennizzo è stata contraddittoriamente motivata dal richiamo alla natura ipotetica della nuova locazione per l’intero periodo considerato.
La censura è fondata relativamente alla denunciata assenza di nesso causale tra l’irragionevole ritardo nella definizione della procedura esecutiva ed il danno patrimoniale asseritamente subito dalla ricorrente.
In effetti ai fini del diritto ad un’equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, il giudice, nell’accertare la durata del procedimento di rilascio coattivo da finita locazione ad uso di abitazione, onde verificarne la ragionevolezza, è tenuto a considerare anche il ritardo conseguente alla (doverosa) applicazione di atti legislativi o comunque normativi, ovvero di provvedimenti discrezionali dell’autorità amministrativa di graduazione degli sfratti. Tuttavia qualora si accerti, come nella specie, che la durata del procedimento esecutivo, come conformato in base a quegli atti, sia in concreto non compatibile con il precetto di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 il danno patrimoniale subito dal locatore non può essere individuato nella perdita, correlata alla temporanea indisponibilità dell’immobile locato ad uso abitativo, dei vantaggi economici tratti dal suo valore locativo al canone di mercato rispetto alla minore misura del corrispettivo dovuto sino al rilascio dal conduttore, in quanto tale pregiudizio trova diretta causa nella violazione da parte del medesimo conduttore dell’obbligo di restituzione del bene alla scadenza della locazione abitativa, sanzionata dall’art. 1591 co.civ., e dai riflessi negativi conseguenti alla emanazione dei provvedimenti legislativi di sospensione degli sfratti o di devoluzione all’autorità amministrativa della graduazione dell’assistenza della forza pubblica, oltre che limitativi del risarcimento del danno da ritardata restituzione dell’immobile, ma non dal ritardo di definizione della medesima procedura, che costituisca anch’esso effetto dei medesimi provvedimenti. D’altra parte, altrimenti, si perverrebbe illegittimamente, in assenza di qualsiasi riferimento normativo, anche a trasferire a carico dell’Amministrazione della Giustizia gli svantaggi economici che il locatore subisca per effetto del ritardato rilascio di immobile locato, come pure conseguente a scelte del legislatore, anche in relazione alla normativa di esenzione del conduttore dall’obbligo di risarcire il maggior danno ai sensi dell’art. 1591 cod. civ., durante il periodo di sospensione "ope legis" degli sfratti.
A sostegno del ricorso incidentale la G., premesso il non assorbimento del danno patrimoniale negli importi maggiorati del canone abitativo previsti dalla normativa di sospensione in rapporto all’art 1591 cod. civ., deduce:
1. Violazione e falsa applicazione della L. 89 del 24 marzo 2001, art. 3, comma 3. Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 cod. proc. civ.: omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Censura la ritenuta assenza di legittimazione passiva concorrente della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il motivo non è fondato.
Secondo il principio espresso da questa Corte e dal quale non vi è motivo di discostarsi (Cass. 2006/12867; 2005/3905) "La legittimazione passiva nei giudizi di equa riparazione per il mancato rispetto del termine di ragionevole durata del processo esecutivo (nella specie, di rilascio di immobile a seguito di convalida di sfratto) spetta in via esclusiva al Ministero della giustizia, prescindendo da ogni distinzione tra le cause del ritardo".
2. Violazione e falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 art. 2, commi 1 e 2 (art. 360 c.p.c., n. 3). Violazione e falsa applicazione dell’ art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e della libertà fondamentali, ratificata ai sensi della L. 4 agosto 1955, n. 848. Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5: insufficienza e contraddittorietà della motivazione.
Con il secondo motivo la G. sostiene:
a. che la durata del procedimento avrebbe dovuto essere computata, in linea con la giurisprudenza europea, con decorrenza non dal 7.11.1997, data di notifica del precetto, ma o dal 30.01.1992, data di notifica dell’atto di intimazione di licenza per finita locazione, o quanto meno dal 30.06.1992, data fissata L. n. 392 del 1978, ex art. 56 nell’ordinanza di convalida;
b. che la riparazione del danno patrimoniale, subito e provato, avrebbe dovuto essere integrale e non limitata con valutazione equitativa;
c. che l’entità dell’indennizzo attribuito per il danno morale non è in linea con i parametri europei, secondo cui spettano Euro 1.500,00 per ciascun anno di protrazione del processo affetto da ritardo.
Le doglianze sub a) e c) non hanno pregio, mentre quella sub b) è assorbita per effetto dell’accoglimento del ricorso principale.
Nella specie si controverte del ritardo irragionevole afferente la procedura esecutiva per rilascio e non anche il procedimento anteriore ed autonomo di formazione del titolo esecutivo, la cui durata non risulta oggetto di alcuna pretesa indennitaria; pertanto, in primo luogo, si palesa irreprensibile l’avere individuato nella data di notifica del precetto (7.11.1997) il termine iniziale di decorrenza del periodo di protrazione della procedura esecutiva, il cui esperimento era rimesso all’iniziativa della stessa parte ricorrente e sulla cui posticipazione rispetto al termine (30.06.1996) consentito dal provvedimento di convalida, influivano, come anche rilevato dai giudici di merito e non censurato, ragioni di mera opportunità e non preclusioni legali.
In secondo luogo la individuazione nella somma di Euro 1.000,00 ad anno, del parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale riportato nel processo presupposto, costituisce applicazione dello standard minimo CEDU, che nessun argomento del ricorso impone di derogare in melius.
Anche corretto alla luce del condiviso orientamento espresso da questa Corte (da ultimo Cass. 2006/8714), risulta il riferimento dell’indennizzo in argomento al solo periodo eccedente il termine ragionevole.
Pertanto si deve accogliere il ricorso principale, rigettare il ricorso incidentale, cassare nei limiti dell’impugnazione principale accolta il decreto impugnato, da confermare nel resto, e, stante la non necessità di ulteriori accertamenti di fatto, decidere la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., rigettando il ricorso introduttivo relativamente alla domanda di equa riparazione del danno patrimoniale.
Giusti motivi, essenzialmente desunti dalle peculiarità e novità delle questioni favorevolmente apprezzate, consigliano la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità, ferma la statuizione adottata sul punto nel precedente grado di merito, in ragione della limitazione dell’impugnativa, espressa nel ricorso principale accolto.

P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi principale ed incidentale, accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito rigetta la domanda di equa riparazione per la parte relativa al danno patrimoniale. Compensa le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2007