Il decreto della Corte d’appello di Genova del 24 gennaio 2002 accoglieva la domanda di equa riparazione proposta, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, dalla s.r.l. Madera per la irragionevole durata di un processo iniziato dinanzi al Tribunale di Pisa nel 1993 e ancora pendente, per accertare il corretto esercizio dalle parti dei diritti nascenti da una domanda di brevetto per invenzione industriale. Determinata la durata eccedente la ragionevolezza in tre anni, il decreto negava danni patrimoniali da sospensione della produzione, riconoscendo come tali le spese del giudizio iniziato dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo (d’ora in vanti Cedu) e liquidava in Euro 1.549,37 (L. 3.000.000) il danno non patrimoniale, da ridurre per essere "meno intenso di quello che può avere una persona fisica". La sentenza di questa Corte 17 febbraio 2003 n. 6163 cassava detto decreto, in accoglimento del primo e terzo motivo del ricorso principale della società sulla insufficiente motivazione del rigetto dei danni patrimoniali da perdite di produzione e vendita, negando che le spese per il processo dinanzi alla Cedu appartenessero ai danni indennizzabili, come dedotto dal terzo motivo di ricorso incidentale del Ministero. Per i danni non patrimoniali, la Cassazione ha rilevato le carenze motivazionali in ordine alla loro liquidazione, dichiarando assorbito il secondo motivo del ricorso principale della società che aveva censurato la statuizione sulla loro riduzione per non essere il danneggiato persona fisica. Per il rinvio disposto dalla citata sentenza di questa Corte, la s.r.l. in liquidazione Madera ha convenuto in riassunzione nel 2003, dinanzi alla stessa Corte d’appello di Genova, il Ministero della Giustizia, domandando i danni patrimoniali e non patrimoniali derivati dalla durata eccessiva del richiamato processo pendente dinanzi al Tribunale di Pisa. La contestazione dei diritti della società di esercitare un brevetto industriale (pellame finto rettile) aveva provocato la sospensione della produzione e vendita del prodotto, impedendo ogni scelta imprenditoriale in attesa dell’esito del giudizio, che avrebbe consentito all’istante o di riprendere la produzione con il brevetto riconosciuto o di fruire del risarcimento dei danni richiesto.
La società ha poi domandato i danni non patrimoniali derivati dalla perdita di credibilità, affidabilità e capacità imprenditoriale dovuta al perdurare del processo; il Ministero della Giustizia, costituitosi, si è opposto all’accoglimento della domanda.
Con decreto del 21 maggio 2004, la Corte d’appello ha condannato il Ministero a pagare all’attrice Euro 1549,37, oltre interessi dal 24 gennaio 2002 al saldo, per i danni non patrimoniali ed ha ritenuto non dovuti i danni patrimoniali, compensando le spese di causa.
Il nesso causale tra danni patrimoniali da perdita di produzione e la durata irragionevole del processo è stato escluso, perchè la scelta della società, di dare in affitto l’azienda nel 1995, precede il superamento della soglia di ragionevolezza della durata del processo che non ha quindi provocato la cessazione della produzione.
Secondo la Corte di merito, la società ha dedotto che l’esito del processo sarebbe stato comunque positivo per essa, ritenendo che le sue chiamate in garanzia destinate a manlevarla in caso di condanna le avrebbero comunque ottenuto il risarcimento dei danni, senza rilevare che nei suoi confronti vi era una richiesta risarcitoria di circa L. 1.000.000.000, che avrebbe anche potuto essere accolta.
Negato il nesso tra durata del processo e cessazione della produzione, non sono stati riconosciuti altri danni patrimoniali, affermandosi invece quelli non patrimoniali come richiesti dall’attrice e configurati nella perdita di credibilità derivata dalla accusa di avere abusato di brevetti altrui, con effetti negativi sulla immagine della società, prolungatisi nel tempo a causa dell’eccessivo perdurare del giudizio.
Secondo la Corte di merito, per i tre anni di durata del processo eccedente la ragionevolezza, il danno non patrimoniale doveva liquidarsi nella stessa misura già fissata nel precedente decreto, che non era stato impugnato "in relazione ai criteri e parametri esplicitati" per tale liquidazione, ma solo per una pretesa minore entità di tale tipo di pregiudizio nelle persone giuridiche rispetto a quelle fisiche. Per la cassazione di tale decreto ricorre la Madera s.r.l. in liquidazione con quattro motivi illustrati da memoria e il Ministero della Giustizia si difende con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. Con i primi due motivi di ricorso la s.r.l. in liquidazione Madera lamenta il difetto e la contraddittorietà della motivazione del decreto impugnato, sia nella parte in cui nega i danni da mancati guadagni e conseguenti alla sua liquidazione, sia in ordine al rilievo che nella produzione di tali perdite ha avuto la mancata conoscenza in termini ragionevoli dell’esito del giudizio dinanzi al Tribunale di Pisa.
Secondo il decreto impugnato, manca la prova positiva che tali danni patrimoniali siano ascrivibili alla durata irragionevole del processo, perchè l’affitto dell’azienda prima dell’ultimo triennio di durata del processo eccedente la ragionevolezza dimostra una volontaria rinuncia a ogni attività prima dell’evento, che si assume essere fonte di tali perdite.
Tale ratio decidendi non rileva che l’oggetto del processo durato eccessivamente era l’accertamento della legittimità dell’esercizio del brevetto per la produzione di pellami di finto serpente, che avrebbe impedito comunque di proseguire la produzione, eventualmente con provvedimento cautelare dal giudice. Nel 1995 la nomina di un c.t.u. per accertare il brevetto esercitato dalla società e quelli delle controparti aveva fatto ritenere vicina la conclusione del processo e provocato l’affitto, che avrebbe impedito il blocco delle macchine dell’azienda. Le conclusioni del consulente erano state positive per la tesi della odierna ricorrente e anche per tale profilo deve ritenersi illogica e insufficiente la motivazione del decreto impugnato sui danni patrimoniali da irragionevole durata del processo. In secondo luogo, la Corte d’appello ha erroneamente rilevato che non era stata chiesta la condanna dei chiamati in garanzia al risarcimento dei danni per cui, in caso di esito negativo dell’accertamento sui brevetti, comunque la ricorrente non avrebbe avuto un apporto finanziario da risarcimento, che le avrebbe consentito scelte diverse da quella di sottoporsi alla liquidazione.
La ricorrente mai ha ipotizzato che comunque l’esito del giudizio a base alla richiesta di equa riparazione sarebbe stato per essa positivo, perchè tale certezza non v’era, ma la decisione entro il termine ragionevole avrebbe consentito la ripresa della produzione che la Corte non considera effetto dei tempi eccedenti la ragionevolezza computati in 1089 giorni (cioè circa 3 6 mesi), valutando solo le domande proposte da essa, anche verso i chiamati, e dalle controparti nel giudizio dinanzi al Tribunale di Pisa.
1.2. Il terzo e quarto motivo del ricorso, relativi ai danni non patrimoniali, lamentano la violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e dell’ art. 6 par. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, pure per contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5. La Corte ha omesso di adeguarsi al principio di diritto enunciato dalla sentenza a base del rinvio, per la quale il danno alle persone giuridiche non può liquidarsi in misura inferiore a quello sofferto dalle persone fisiche, confermando la misura del danno non patrimoniale già fissato in base a tale assioma.
Così il giudice del rinvio è pervenuto a liquidare l’identica misura del danno non patrimoniale già determinato in Euro 516,4 6 per ogni anno di ritardo, sulla base della contestata differenza di tale danno per le persone fisiche rispetto a quelle giuridiche, non conforme ai dati normativi.
Con il quarto motivo di ricorso si denuncia poi la contraddittorietà del decreto della Corte d’appello che, mentre erroneamente afferma la mancata censura dei criteri e parametri di liquidazione del danno non patrimoniale adottati nel decreto a suo tempo cassato, rileva poi che è stato dichiarato assorbito, per l’accoglimento del ricorso incidentale del Ministero sul punto, il motivo di ricorso della società che censurava proprio detto criterio di determinazione del danno non patrimoniale nella fattispecie.
2. I primi due motivi del ricorso sono infondati e da rigettare, mentre le residue censure relative al danno non patrimoniale devono accogliersi, per quanto di ragione.
2.1. La sentenza di questa Corte n. 6163/03 ha cassato il decreto impugnato della Corte d’appello di Genova per difetti motivazionali sui danni patrimoniali, demandando al giudice del rinvio di verificare se vi era stato tale tipo di danni o se essi, già compresi nell’oggetto della causa di cui si lamentava l’eccessiva durata, dovessero essere risarciti in quella sede e non a titolo di equa riparazione.
Esattamente il decreto impugnato ha chiarito che i danni patrimoniali lamentati dalla società ricorrente non possono considerarsi effetto della irragionevole durata del processo: l’intervenuto affitto della azienda nel 1995, prima cioè che la durata del processo superasse la soglia di ragionevolezza, comporta palesemente che la scelta di cessare la produzione e commercializzazione dei prodotti oggetto dei brevetti controversi, non fu cagionata dal perdurare del processo ma da altre circostanze a base delle libere scelte degli organi sociali.
L’affermazione della società che avrebbe dovuto comunque interrompere la produzione dei beni di cui al brevetto industriale, perchè il giudice in sede cautelare avrebbe sospeso l’esercizio di questo, è apodittica e contrasta con la deduzione di cui allo stesso ricorso, per la quale la relazione del c.t.u. era favorevole alla ricorrente nel ritenere il brevetto da essa esercitato diverso da quello delle controparti e quindi legittimamente usato.
Il rilevante volume di affari della società, di molti miliardi di lire, come emerge dallo stesso ricorso, non escludeva, già all’inizio del processo dinanzi al Tribunale di Pisa, un passivo di bilancio di essa; oggetto del processo presupposto erano proprio i danni conseguenti agli eventuali abusi delle parti nell’esercizio dei brevetti, reciprocamente chiesti dalla ricorrente e dalle controparti, che si qualificavano tutte titolari dello medesimo diritto allo sfruttamento dello stesso prodotto industriale. Tra tali danni non potevano non comprendersi quelli dalla mancata produzione dei beni oggetto del brevetto controverso, che quindi non erano effetto del perdurare eccessivo del processo ma solo dell’eventuale infondatezza delle domande delle controparti, che contestando l’esercizio del brevetto, potevano anche incidere sulla stessa cessazione dell’attività relativa al prodotto brevettato.
Del resto la stessa affermazione contenuta in ricorso i il che la interruzione della produzione fu cagionata già dall’inizio del processo di accertamento davanti al Tribunale di Pisa è incompatibile con l’altra, per la quale i mancati guadagni, dedotti come danno patrimoniale da riparare, erano effetto dell’eccessivo prolungamento della causa.
La ricorrente ha ritenuto opportuno sospendere la produzione a seguito delle richieste di accertamento delle controparti in ordine ai brevetti da essa esercitati, decidendo poi di affittare l’azienda con un atto che ha comportato la fine della attività della società, logicamente riferita dai giudici di merito a una scelta di rinuncia alla produzione avvenuta nel 1995, prima ancora che la durata del giudizio in corso a Pisa divenisse eccessiva, cioè prima degli ultimi trentasei mesi di durata del procedimento già ritenuti irragionevoli, senza impugnazione delle parti.
Escluso che i danni patrimoniali lamentati in domanda fossero effetto della durata eccessiva del processo, sulla base della loro individuazione e dello accertamento anche cronologico dei fatti operato in sede di merito, è da ritenere adeguatamente motivata l’accertata carenza di nesso eziologico tra danno patrimoniale preteso a titolo di equa riparazione e durata irragionevole del processo di accertamento del legittimo esercizio dei brevetti.
Il giudizio di rinvio ha dato esecuzione alla decisione di legittimità sul punto dei danni patrimoniali, motivando adeguatamente sugli stessi e sul nesso eziologico tra essi e la durata irragionevole e chiarendo che le perdite chieste erano danni patrimoniali non dovuti alla lesione del diritto di cui alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ma effetto eventualmente degli abusi di brevetto delle controparti da accertare nel processo durato eccessivamente, così distinguendo correttamente l’oggetto di quest’ultimo e quello del processo di equa riparazione.
I primi due motivi di ricorso sono quindi infondati perchè non contengono censure idonee a superare la ratio decidendi del decreto di merito in ordine alla mancanza di nesso eziologico tra i chiesti danni patrimoniali di sospensione e cessazione della produzione e vendita e durata eccessiva del processo nè indicano punti decisivi della motivazione logicamente o giuridicamente incongrui. Nessun rilievo eziologico possono avere le indagini del c.t.u. nel processo presupposto e il deposito della relazione di questo, nè emergono dal ricorso elementi che consentano di attribuire i danni patrimoniali pretesi con la riparazione al perdurare del processo presupposto.
Come già chiarito dalla sentenza a base del giudizio di rinvio, l’equo indennizzo non può essere corrisposto quando le perdite e i mancati guadagni allegati non siano conseguenza diretta e immediata del perdurare del processo, come accaduto nella fattispecie (nello stesso senso cfr. Cass. 16 marzo 2006 n. 5920, 4 novembre 2005 n. 21391, che rileva come il fallimento del debitore nel corso di un processo durato eccessivamente non consegue a questa durata, 8 luglio 2005 n. 14379, 26 aprile 2005 n. 8603, 2 marzo 2005 n. 4451, le più recenti tra molte).
2.1. L’impugnazione deve invece accogliersi in ordine i danni non patrimoniali.
La più volte citata sentenza della Cassazione n. 6163/03 ha solo rilevato il carattere apodittico della liquidazione dei danni non patrimoniali dal decreto impugnato, che non chiariva le ragioni per le quali il prolungamento del processo aveva inciso su "l’esistenza, l’immagine, la reputazione, il nome, l’identità e simili" beni della società ricorrente.
In particolare, la Corte di Cassazione, pur rilevando la differenza del danno non patrimoniale per le persone fisiche rispetto a quello degli enti impersonali, non ha assunto posizione in ordine al secondo motivo del ricorso principale della società ritenuto assorbito e censurante proprio la disparità della misura dei danni nei due diversi casi.
In adesione a quanto affermato in sede di legittimità in ordine alla esigenza di allegare le ragioni che comportano il danno non patrimoniale la cui esistenza è presunta, secondo quanto ripetutamente affermato dalla Cedu, il danno non patrimoniale è stato domandato con chiaro riferimento alla perdita di immagine subita dalla società per l’accusa di avere abusato di brevetti industriali altrui, il cui perdurare fino all’esito della causa ha determinato un aumento presuntivo della riduzione della credibilità imprenditoriale della società.
Precisati esattamente entro tali limiti i danni non patrimoniali dedotti in causa con la citazione in riassunzione che si è adeguata ai principi di diritto affermati dalla sentenza della Cassazione n. 6163/03, il decreto impugnato ripete la liquidazione dei danni non patrimoniali nella stessa misura fissata dal decreto cassato da detta sentenza, sull’errato presupposto di in una entità inferiore a quella spettante alle persone fisiche per gli stessi danni.
Del resto contraddittoriamente il decreto impugnato da un lato rileva che la censura della società sulla liquidazione del danno non patrimoniale è stata ritenuta assorbita dalla citata sentenza a base del giudizio di rinvio (pag. 4) e dall’altro afferma che i criteri di liquidazione di tale tipo di danno "non hanno formato oggetto di censura alcuna in sede di giudizio di legittimità" (pag. 13) per confermare il quantum già riconosciuto nel decreto impugnato.
I due ultimi motivi di ricorso sono quindi fondati non soltanto in rapporto al diverso trattamento del danno non patrimoniale delle persone giuridiche rispetto a quello subito dalle persone fisiche, erroneamente riapplicato in fatto nel caso, ma anche in rapporto all’errata affermazione che la liquidazione di tali tipi di danni non patrimoniali non era stata impugnata con i ricorsi decisi dalla sentenza n. 6163/03.
Entro tali limiti il terzo e il quarto motivo del ricorso devono essere accolti perchè fondati.
3. In conclusione il primo e secondo motivo di ricorso della s.r.l.
in liquidazione Madera devono rigettarsi, mentre il terzo e il quarto devono accogliersi per quanto di ragione, con conseguente cassazione del decreto impugnato su tale punto.
Peraltro la causa non ha necessità di ulteriori accertamenti di fatto e questa Corte può deciderla nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., tenuto conto che la durata ritenuta irragionevole del processo è stata fissata definitivamente in trentasei mesi, emergenti non solo dalla sentenza di cassazione a base del rinvio, ma dalla misura del liquidato e dallo stesso ricorso e quindi fissati entro detti limiti, in difformità di quanto rilevato per errore materiale dal decreto impugnato che afferma che tale durata sarebbe stata di trentanove mesi.
Poichè i danni non patrimoniali subiti per i tre anni di durata eccedente la ragionevolezza del processo vanno determinati in Euro 1.000,00 per ciascun anno di ritardo, sulla base dei parametri e criteri di liquidazione usualmente adottati dalla Cedu (Cass. 23 aprile 2005 n. 8568) da applicare per non incorrere in violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (Cass. 10 marzo 2006 n. 5292 e 30 dicembre 2005 n. 29000), l’equo indennizzo da liquidare per essi ammonta complessivamente ad euro 3000,00, oltre agli interessi dalla domanda, cioè dal 23 novembre 2001 e il Ministero dovrà quindi condannarsi al pagamento di tali somme alla ricorrente a titolo di equa riparazione. Tenuto conto della sola parziale soccombenza del Ministero e dei limiti in cui è stata accolta la domanda di equa riparazione della società Madera in liquidazione, appare equo disporre, in deroga al principio di soccombenza, la totale compensazione delle spese dell’intero giudizio tra le parti.

P.Q.M.
La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie per quanto di ragione gli altri due e cassa il decreto impugnato; decidendo nel merito, condanna il Ministero controricorrente a pagare a titolo di equa riparazione, per danni non patrimoniali, alla ricorrente, Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli interessi come in motivazione.
Dichiara compensate le spese dell’intero giudizio tra le parti.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 ottobre 2006.
Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2006