1. Pronunciando sulla domanda di equo indennizzo proposta da P.S., L. n. 89 del 1981, ex art. 2, in ragione del danno arrecatogli dalla eccessiva durata di un procedimento penale contro di lui promosso nell’agosto 1997 innanzi al tribunale militare e (dopo il rilevato difetto di giurisdizione di quel giudice, nell’aprile ’99) proseguito innanzi al Tribunale ordinario, ove si era concluso con sentenza assolutoria emessa il 22 luglio 2002, l’adita Corte di Appello di Catania, con decreto del 14 febbraio 2004, ha determinato in complessivi anni 1 e mesi 8 (dei quali mesi due relativi al procedimento svoltosi innanzi al Tribunale militare) il periodo eccedente la ragionevole durata del processo (in violazione del diritto di cui all’ art. 6, p. 1, CEDU, cui la citata L. n. 89 rapporta l’indennizzo in questione) e liquidato, per l’effetto, all’attore le somme di Euro 167,00 e di Euro 1.500,00 rispettivamente a carico del Ministro della Difesa e di quello della Giustizia.
2. Avverso detto decreto ricorre ora il P. con un unico complesso ed articolato motivo di cassazione. Con il quale censura la Corte territoriale per avere:
a) erroneamente e con incongrua motivazione determinato "in misura minima ed irrealistica" il periodo di irragionevole protrazione del processo in realtà non inferiore ad anni cinque o quattro;
b) riduttivamente, comunque, quantificato l’indennizzo in violazione dei parametri all’uopo stabiliti della Corte Europea;
c) ulteriormente errato nel ritenere non provato nella specie il danno biologico, pur riconosciuto dal CTU. Il Ministero intimato non si è costituto.
2. La prima doglianza è senz’altro infondata.
La determinazione in complessivi anni uno e mesi otto del periodo di eccedenza dalla ragionevole durata di un processo penale comunque conclusosi in anni quattro e mesi undici – nel corso dei quali vi sono state anche due riunioni ad altri procedimenti penali (una su richiesta del difensore del P.) e due rinvii per adesione del difensore ad astensioni dalla udienze proclamate dalle Camere penali – è certamente, infatti, in linea con i parametri di valutazione all’uopo stabiliti dalla Corte di Strasburgo (anni tre per il primo grado) e risulta comunque diffusamente e congruamente argomentata, per cui appunto si sottrae, sul merito, ad ulteriore censura in questa sede di legittimità.
3. Anche per il profilo denegato riconoscimento dell’asserito danno biologico il decreto impugnato esprime un giudizio di fatto che – per essere basato su una ponderata e coerentemente argomentata, ancorchè critica, valutazione delle indicazioni fornite dal CTU (anche alla luce dell’assenza di riscontri obiettivi alle patologie lamentate dalla parte, di una accertata sua predisposizione alla tipologia dei disturbi allegati e comunque del limitato superamento del termine di durata ragionevole del processo) – risulta immune da alcun vizio di motivazione e, nel merito, non è ovviamente suscettibile di riesame da parte di questa Corte di legittimità.
Dal che l’infondatezza anche di detta esaminata censura.
4. Coglie, invece, nel segno la residua doglianza relativa alla riduttiva misura del parametro di liquidazione adottato dalla Corte di appello.
Premesso che, a tal fine, va fatto riferimento alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo per il suo carattere interpretativo, in termini di diritto vivente, della norma dell’ art. 6, p. 1 della Convenzioni EDU, alla cui violazione è correlato, appunto, l’equo indennizzo ex L. n. 89 del 2001); e che da detta giurisprudenza emerge l’indicazione di un parametro liquidatorio (per ogni anno di protrazione del processo oltre il termine di sua ragionevole durata) contenuto in una forbice da Euro 1.000,00 ad Euro 1.500,00, al di sotto e al di sopra dei quali il giudice nazionale può poi modulare la liquidazione del danno non patrimoniale in relazione alla specifica e peculiare connotazione e intensità che questo assuma nel caso concreto al suo esame; tutto ciò, appunto, premesso effettivamente non coerente, e non adeguatamente motivata, è la liquidazione operata, nella specie, dalla Corte territoriale al livello minimo del parametro suddetto (come in casi in cui minima sia la posta in gioco nel processo della cui durata si discenda) quando, viceversa, in relazione al giudizio penale per la cui eccessiva durata v’è qui doglianza la particolare qualità istituzionale dell’imputato (carabiniere) il carattere infamante della imputazione ascrittagli e la ingiustizia (come poi accertata) dall’accusa sono tutti elementi che convergono a deporre per una particolare intensità dello stress ed ansia da attesa di una decisione liberatoria. Il che trova, del resto, anche riscontro e conferma nelle risultanze dell’accertamento peritale, di cui si è detto, che danno atto di un rilevato "stato ansioso depressivo" e "stress" del P. particolarmente accentuati, ancorchè non rilevanti fino al livello di un danno biologico.
5. Il decreto impugnato va, pertanto, cassato nei limiti della censura accolta, con il conseguente rinvio della causa, per nuovo esame per detta parte, alla stessa Corte di Catania, in diversa composizione cui si demanda di provvedere anche in ordine alle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.
LA CORTE accoglie il ricorso limitatamente alla censura relativa all’adottato parametro di liquidazione dell’indennizzo; cassa, per questa parte, il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, alla stessa Corte di Catania in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2006