1. Pronunciando sulla domanda proposta dai coniugi L.R.P. e B.S. per ottenere l’equo indennizzo di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, per il danno che assumevano loro derivato dalla violazione del termine di ragionevole durata di vari procedimenti penali nei quali era stato parte il B. e di altri processi civili da essi promossi, l’adita Corte di Appello di Messina, con Decreto del 30 luglio 2003, condannava il convenuto Ministero della Giustizia a pagare agli istanti la somma di Euro 10.000,00 per il ritardato riconoscimento (solo) relativamente ad alcuni dei suddetti processi.
Avverso detto provvedimento ricorre ora unicamente il B. con due mezzi di cassazione,illustrati anche con successiva memoria, con i quali, rispettivamente,lamenta:
a) che abbia errato la Corte territoriale nel ritenere "definito da tempo" il procedimento n. 2742/89 del Tribunale di Siracusa, senza considerare che alla data di notificazione del ricorso per equa riparazione non era ancora trascorso il termine semestrale di cui della L. n. 89 del 2001, art. 4:
b) che relativamente ad altro procedimento (n. 2263/97) innanzi allo stesso Tribunale, sia stato – del pari erroneamente – addebitato ad esso ricorrente e non a disfunzione dell’apparato giudiziario, il periodo di tempo in cui egli era rimasto privo di difensore per rinunzia al mandato da parte di quello di fiducia, fino alla sua ammissione al gratuito patrocinio.
2. La prima doglianza è fondata.
Errato è infatti che il termine decadenziale, di cui alla L. n. 89 cit., art. 4, per la proposizione di domanda di equo indennizzo decorra dalla data di deposito della sentenza pronunciata nel processo della cui durata si discute; occorrendo invece, a tal fine far riferimento alla data del passaggio in giudicato di quella sentenza che, nella specie, in difetto di sua notifica e in applicazione del termine lungo sub art. 327 c.p.c. (addizionato dei periodo di sospensione feriale) non risulta ancora intervenuto alla data di instaurazione del giudizio a quo.
Dal che la tempestività della correlativa domanda, a torto disattesa dalla Corte di merito.
3. Insuscettibile di accoglimento è, viceversa, il riferito secondo motivo di ricorso, in quanto la rinuncia al mandato da parte del difensore non comporta la perdita dello ius postulando in capo al medesimo, per cui eventuali comportamento negligenti da parte di quest’ultimo nello svolgimento del suo ministero professionale non possono essere riparabili con lo strumento dell’equa riparazione, in quanto noli imputabili a disfunzioni del nostro sistema giudiziario.
4. Il decreto impugnato va, pertanto, cassati nei limiti della doglianza accolta, con il conseguente rinvio per questa parte, alla stessa Corte di Messina, in diversa composizione anche per i provvedimenti sulle spese di questa fase di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, respinto il secondo;
cassa in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Messina in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2006.
Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2006