Con ricorso proposto dinanzi al TAR Lazio gli odierni appellati, nella loro veste di armatori iscritti al compartimento marittimo di Termoli e come tali sottoposti annualmente al cd. fermo pesca, per consentire la nascita e la crescita del novellame durante la stagione estiva, hanno chiesto il risarcimento dei danni subiti in applicazione dei decreti ministeriali relativi alle annate 20052008, ed hanno chiesto altresì l’annullamento del d.m. 30 luglio 2008 e dei conseguenti provvedimenti applicativi del Comandante della Capitaneria di porto e del Direttore generale del Ministero con i quali è stato disposto il fermo pesca per l’annata 2009, oltre al risarcimento del danno relativo a tale annata.
Con riferimento ai decreti ministeriali adottati per gli anni 20052008 hanno dedotto i seguenti motivi:
1) violazione e falsa applicazione dell’art.17 l. 22 agosto 1988, n.400, nella considerazione che gli anzidetti decreti ministeriali, sebbene sottoscritti dal Ministro prima del periodo di interruzione della pesca, sono stati eseguiti dagli organi competenti quando non erano ancora efficaci, in quanto la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, come anche la registrazione alla Corte dei Conti, è stata effettuata dopo il termine del periodo di "fermo pesca";
2) violazione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa, violazione dell’art.97 Cost., violazione del principio di buona fede ex art. 1337 cod.civ.: ciò per il fatto che sono stati portati ad esecuzione provvedimenti inefficaci, prima che venissero pubblicati in Gazzetta Ufficiale.
Con riferimento ai provvedimenti del 2009, e precisamente l’ordinanza 7.8.2009, n.33/09 del Comandante della Capitaneria di porto e il provvedimento del Direttore generale del Ministero in data 19.8.2009, con il quale è stata ribadita la interruzione della attività di pesca (limitatamente al compartimento marittimo del Molise) nonostante la sospensione del decreto ministeriale 2009 disposta dal TAR Molise, si è chiesto l’annullamento e la condanna al risarcimento dei danni sulla base di undici motivi di gravame con i quali si denunciano vizi di incompetenza, di eccesso di potere sotto vari profili, di violazione di norme comunitarie, e della legge n.241/1990.
Pronunciandosi sul ricorso con sentenza non definitiva della Sezione II ter 30 luglio 2010, n.29374, il TAR ha così deciso:
A) ha disatteso le eccezioni di inammissibilità della richiesta risarcitoria per difetto di giurisdizione, per mancata impugnazione nei termini di legge, e per acquiescenza degli interessati;
B) con riferimento alle annate dal 2005 al 2008 ha accolto il ricorso e condannato il Ministero resistente al risarcimento dei danni subiti dai ricorrenti secondo i seguenti criteri:
a) dalle somme indicate in conto capitale dai ricorrenti vanno comunque decurtati gli importi corrisposti per quegli anni a titolo di misure sociali per compensare alcune voci di danno invocate dagli istanti (l’inattività degli operatori ed il pagamento dei dipendenti);
b) nella determinazione della somma da risarcire, decurtata degli indennizzi ricevuti, dovranno essere considerate "le eccezioni non smentite dai ricorrenti contenute nella memoria della Amministrazione resistente…da cui si evince che alcune imbarcazioni, per le singole annate, non erano iscritte al registro marittimo di Termoli, e nonostante ciò, con il ricorso in esame hanno chiesto la liquidazione dei danni…";
c) sugli importi così individuati dovranno essere riconosciuti interessi legali e rivalutazione a partire da ogni annata di riferimento e fino alla pubblicazione della sentenza.
C) con riferimento alla annata 2009, il TAR ha invece disposto istruttoria.
Avverso l’anzidetta pronuncia il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha interposto appello deducendo una serie di motivi di gravame, che possono essere così riassunti:
– i decreti ministeriali di fermo pesca, adottati ai sensi dell’ art. 98 d.p.r. 2 ottobre 1968, n.1639, non richiedevano la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, trattandosi di atti amministrativi generali; in ogni caso di essi gli operatori hanno sempre avuto tempestiva conoscenza prestandovi spontanea osservanza;
– nella fattispecie non è ravvisabile un "danno ingiusto" cagionato dalla Amministrazione;
– i ricorrenti in primo grado hanno prestato acquiescenza dinanzi ai provvedimenti di fermo che, anziché essere impugnati, sono stati eseguiti puntualmente;
– la sentenza di primo grado ha omesso di valutare il comportamento dei destinatari del fermo;
– i ricorrenti hanno censurato i provvedimenti relativi al periodo 20052008 quando il termine di impugnativa era già scaduto;
– la sentenza di primo grado ha quantificato erroneamente il danno da risarcire.
Si sono costituiti in giudizio i ricorrenti in primo grado che, oltre a contestare i motivi dell’appello, hanno proposto ricorso incidentale con il quale hanno censurato la sentenza di primo grado sotto i seguenti profili:
– violazione e falsa applicazione dell’art. 82 c.p.c.: con riferimento al capo della sentenza secondo cui la memoria della Amministrazione attesta che "alcune imbarcazioni, per singole annate, non erano iscritte nel registro marittimo di Termoli", gli appellanti incidentali sostengono che l’atto della Amministrazione non può rivestire alcun rilievo processuale;
– omessa pronuncia del TAR a proposito della richiesta di annullamento dei provvedimenti del Ministero per il fermo del 2009;
– erronea valutazione delle domande di risarcimento del danno: ciò in quanto, diversamente da quanto deciso, nulla doveva essere decurtato dall’importo richiesto in ordine alle misure sociali, mai richieste per le annualità 20052008;
– violazione e falsa applicazione dell’art.3, d.m.30 luglio 2009 di imposizione del fermo pesca: con cui si contesta l’esclusione del risarcimento disposta nei confronti dei titolari di imbarcazioni non iscritte nel registro marittimo di Termoli.
Con istanza in data 15.2.2011 gli appellati hanno chiesto la correzione dell’errore materiale contenuto nella ordinanza cautelare n.649 dell’11 febbraio 2011.
Alla pubblica udienza del 27 maggio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Va preliminarmente accolta l’istanza di correzione dell’errore materiale contenuto nel dispositivo della ordinanza cautelare n.649/2011, nella parte in cui recita "Accoglie l’istanza cautelare… e, per l’effetto, sospende l’esecutività della sentenza impugnata", anziché "Respinge l’istanza cautelare… e, per l’effetto, non sospende l’esecutività della sentenza impugnata".
Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza l’errore suscettibile di correzione ai sensi dell’ art. 93, 2° comma, r.d. 17 agosto 1907, n.642 (ora art.86 c.p.a.) è quello che si estrinseca in una inesattezza o svista accidentale rilevando una discrepanza tra la volontà del giudicante e la sua rappresentazione, chiaramente riconoscibile da chiunque e che è rilevabile dal contesto stesso dell’atto. Ed è noto che la procedura di correzione di errori materiali è ritenuta applicabile anche nelle ipotesi di contrasto tra dispositivo e motivazione della decisione tutte le volte in cui, in termini inequivocabili, rilevabili "ictu oculi", essa statuisca nel dispositivo in difformità di quanto argomentatamente esposto in motivazione.
Nella fattispecie in esame la motivazione della ordinanza sviluppa argomenti per il rigetto dell’istanza cautelare adducendo che "non" si ravvisano i presupposti della gravità e irreparabilità del danno; si aggiunga che la parte del dispositivo relativa alla pronuncia sulle spese è nel senso del rigetto.
E" dunque palese come il dispositivo della ordinanza laddove reca la parola "Accoglie" anziché "Respinge", e laddove reca la parola "sospende" anziché "non sospende", è frutto di un errore materiale così come prospettato dagli istanti.
In accoglimento dell’istanza va pertanto disposta la correzione dell’errore mandando i relativi adempimenti alla Segreteria della Sezione che provvederà entro 15 (quindici) giorni dal deposito della presente pronuncia alla seguente rettifica sull’originale della ordinanza 11 febbraio 2011, n.649 (indicando altresì gli estremi della presente decisione):
– a pag. 2, terzultimo rigo, la parola "Accoglie" va sostituta con la parola "Respinge";
– a pag. 2, penultimo rigo, la parola "sospende" va sostituita con le parole "non sospende".
2. Passando al merito dell’appello, la condanna al risarcimento dei danni disposta nei confronti del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali con la sentenza parziale quivi appellata si fonda essenzialmente sui seguenti passaggi:
– in conseguenza dei provvedimenti che hanno disposto il "fermo pesca" gli operatori marittimi hanno subito un danno, in quanto non hanno potuto svolgere alcuna attività nel periodo di riferimento, e d’altra parte hanno comunque dovuto provvedere al pagamento dei propri dipendenti;
– responsabile di tale danno è l’Amministrazione che ha portato ad esecuzione provvedimenti inibitori quando gli stessi non erano ancora efficaci, perché non ancora pubblicati in Gazzetta Ufficiale;
– deve ritenersi sussistente la colpa della Amministrazione per il fatto che essa ha preteso di portare ad esecuzione i provvedimenti di fermo pesca prima della loro entrata in vigore.
3. L’appello proposto dal Ministero avverso l’anzidetta pronuncia è fondato, non ravvisandosi nella fattispecie gli elementi costitutivi della responsabilità per fatto illecito.
4. Occorre intanto premettere che il provvedimento di fermo pesca, contemplato dall’art. 98 del Regolamento concernente la disciplina della pesca marittima (approvato con d.p.r. n.1639/1968) è preordinato alla salvaguardia della riproduzione del cd.novellame e quindi, sebbene comporti una temporanea limitazione alla attività di pesca (e più esattamente alla utilizzazione di talune tecniche di pesca), è posto nell’interesse degli stessi operatori del settore ittico.
A ciò si aggiunga che all’imposizione di tali limitazioni si accompagnava, quantomeno negli anni che vanno dal 2005 al 2008 -cui si riferisce il contenzioso in esame- la concessione di indennizzi per compensare il periodo di inattività..
Deve altresì convenirsi con le considerazioni svolte dalla difesa della Amministrazione circa la complessità del procedimento e la difficoltà di attivare gli interventi limitativi della pesca in tempi prestabiliti: ciò in relazione alla molteplicità degli interessi coinvolti, alla necessità di adottare interventi articolati e differenziati dovuti alla variabilità delle condizioni climatiche e ambientali; alla esigenza di portare a conoscenza degli operatori le misure adottate e di controllarne l’applicazione.
Si spiega proprio con le anzidette difficoltà che i decreti ministeriali sul fermo pesca siano stati adottati all’ultimoi momento, e si spiegano i ritardi che hanno caratterizzato, in ognuno degli anni di riferimento, il perfezionamento delle procedure.
Secondo la ricostruzione effettuata dalla Avvocatura dello Stato, peraltro non smentita dalla difesa degli odierni appellati, i ritardi della Amministrazione non hanno impedito agli operatori di osservare puntualmente le limitazioni imposte alla attività di pesca poiché, se è vero che i decreti ministeriali venivano generalmente pubblicati nella Gazzetta Ufficiale quando era già iniziato a decorrere il periodo di fermo pesca, di esso veniva comunque data adeguata informazione ai soggetti interessati tramite le associazioni di categoria e gli uffici marittimi: D’altra parte, pur in assenza della pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale (dalla quale avrebbe dovuto decorrere la sua efficacia), gli operatori si sono preparati spontaneamente alla osservanza del provvedimento di fermo recandosi presso la Capitaneria di porto per la consegna dei documenti di bordo e per gli adempimenti volti ad ottenere la erogazione degli indennizzi a compensazione della interruzione della attività.
5. Alla stregua di siffatte premesse non si possono ravvisare gli estremi del "danno ingiusto" che giustificherebbe la condanna della Amministrazione al risarcimento dei danni.
Invero la ritardata pubblicazione dei decreti nella Gazzetta Ufficiale non ha comunque ingenerato alcuna incertezza sull’effettivo periodo del fermo pesca, tant’è che i ricorrenti risultano aver puntualmente consegnato le proprie licenze alla Capitaneria di porto ed interrotto l’attività di pesca esattamente nei giorni espressamente previsti dai decreti ministeriali. Essi in definitiva non lamentano di essere rimasti all’oscuro dei provvedimenti che li riguardavano, limitandosi a denunciare una mera irregolarità, costituita dalla ritardata pubblicazione dei decreti.
E" anche da escludere, per quanto si è detto, che vi sia stato alcun atto coercitivo nei loro confronti, avendo provveduto spontaneamente a tutti gli adempimenti relativi al fermo pesca – anche al fine di usufruire delle provvidenze inerenti.
Ove dunque si consideri che lo strumento del fermo pesca è posto nell’interesse degli stessi operatori del settore, e che nel caso in esame questi si erano spontaneamente conformati ai provvedimenti assunti dalla Amministrazione (quantunque carenti sotto il profilo formale per la non ancora avvenuta pubblicazione), è giocoforza concludere che nella fattispecie non si è realizzata la lesione di un interesse giuridicamente protetto in capo agli odierni appellati, e dunque non vi sono le condizioni per una condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni.
6. In conseguenza dell’accoglimento dei motivi dell’appello del Ministero con i quali si è contestato il diritto al risarcimento del danno, restano assorbiti gli ulteriori motivi di gravame che si appuntano sulla quantificazione del danno effettuata dal giudice di primo grado.
7. L’accoglimento dell’appello principale del Ministero per le considerazioni che precedono rende poi inammissibile l’appello incidentale con il quale gli appellati contestano talune statuizioni della sentenza impugnata inerenti la platea dei soggetti destinatari del disposto risarcimento e la entità delle somme che l’Amministrazione sarebbe tenuta a corrispondere.
8. Per quanto precede l’appello principale del Ministero deve essere accolto; deve essere invece dichiarato inammissibile l’appello incidentale degli appellati. Per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso di primo grado relativamente ai capi oggetto del presente gravame.
9. Sussistono giusti motivi per compensare le spese processuali del doppio grado di giudizio tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello principale, come in epigrafe proposto, lo accoglie; dichiara inammissibile l’appello incidentale.
Dispone altresì la correzione dell’errore materiale contenuto nella ordinanza cautelare 11 febbraio 2011, n.649, mandando alla Segreteria della Sezione di provvedere agli adempimenti di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Ma. Lipari, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere
Lanfranco Balucani, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 05 AGO. 2011