M.A. chiede per due motivi illustrati con memoria la cassazione del decreto 10 marzo 2003 con cui la Corte d’appello di Roma ha respinto la domanda di equa riparazione per la eccessiva durata di un processo – introdotto presso il TAR della Campania in data 29 gennaio 1991 nei confronti di una U.S.L., per il pagamento di compensi per lavoro straordinario e ancora in corso – non ritenendo provato, neppure in via presuntiva, il lamentato danno morale.
Resiste con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il controricorrente dicastero eccepisce l’inammissibilità del ricorso per difetto del requisito della specialità della procura, che risulta conferita in relazione al giudizio davanti alla corte d’appello, non valendo in contrario il riferimento alla "eventuale successiva rappresentanza dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione", giacchè si tratta di circostanza inconciliabile con l’epoca in cui è stato rilasciato il mandato.
L’eccezione si rivela fondata.
L’originale del ricorso reca in margine del primo foglio, stampigliata, la procura. La stampigliatura dell’atto di procura è del seguente tenore: "Avv. Francesco Romano, Vi nomino procuratore e difensore nel giudizio di cui al presente atto, da incardinarsi dinanzi alla Corte d’Appello competente territorialmente ai sensi dell’art. 11 del codice di procedura penale, al fine di richiedere l’equa riparazione spettante per la violazione dell’ art. 6 p. 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Vi conferisco ogni facoltà di legge, comprese quelle di sottoscrivere il presente atto, ed eventuali successive memorie difensive. La procura viene espressamente rilasciata anche per la eventuale successiva rappresentanza dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, in caso di impugnazione del Decreto della Corte d’appello che definirà il presente procedimento.
Eleggo domicilio con Voi presso lo Studio dell’Avv. Stefania Iasonna, in Roma al V.le Mazzini n. 132".
La giurisprudenza di questa Corte – dopo alcune pronunzie delle Sezioni Unite (vedi la n. 11178 del 1995 e le un. 2642 e 2646 del 1998) – è prevalentemente orientata nel senso di ritenere che la procura rilasciata a margine del ricorso per Cassazione, formando un corpo unico con guasto, esprime di per sè il necessario riferimento all’atto impugnatorio, assumendo così il carattere di specialità nel senso richiesto dall’art. 365 c.p.c., art. 370 c.p.c., comma 2, e art. 371 c.p.c., comma 3, anche se formulata genericamente e senza uno specifico riferimento al giudizio di legittimità, salva, tuttavia, la presenza nella procura di espressioni tali da univocamente escludere che sia stata conferita per proporre ricorso per Cassazione (vedi Case. nn. 5092/1996, 8896/1996, 9537/1996, 9287/1997, 2842/1997, 2676/1998, 3422/1998, 3425/1998, 3981/1998, 9175/1998, 108/2000, 28227/2005). In diversi termini, deve escludersi la riscontrabilità del connotato della specialità, sia quando risulti documentata la posteriorità del rilascio della procura rispetto alla pronuncia del provvedimento contestato in sede di legittimità, sia quando il relativo testo contenga espressioni che positivamente dimostrino l’inesistenza dell’intento della parte di rilasciare la procura per proporre ricorso per Cassazione.
Quest’ultimo è proprio il caso dell’atto in esame.
La procura fa inequivocabilmente menzione del giudizio per l’equa riparazione da incardinare davanti alla Corte di appello di Roma, competente territorialmente, come dell’atto e grado del processo in vista del quale è stata conferita. Si specifica, poi, da parte del conferente, che la procura veniva rilasciata anche per la "eventuale successiva rappresentanza dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione", in caso di impugnazione del decreto della corte d’appello che avrebbe definito "il presente procedimento" (id est, quello incoando davanti al giudice del merito).
Quindi il tenore della procura – che si è sopra riportato – non solo non esprime specificamente la volontà di proporre ricorso per Cassazione, (difetto superabile, secondo la citata giurisprudenza, dall’essere apposta a margine dell’atto) ma addirittura contiene termini che chiaramente e univocamente escludono tale volontà. In altre parole, deve escludersi la riscontrabilità del connotato della specialità della procura, nel senso dianzi precisato, dacchè il relativo testo reca espressioni che positivamente dimostrano che la parte, al momento di rilasciarla, ha inteso riferirsi ad altro giudizio e non al (meramente eventuale) ricorso per Cassazione a margine del quale si trova apposta.
Nel contesto illustrato, e nella non desumibilità del requisito della specialità della procura dagli elementi di giudizio ricavabili dal dato, in sè e per sè equivoco, che essa contiene una elezione di domicilio in Roma, sede della corte adita nella fase merituale, il ricorso in questione, a mente degli artt. 365, 370 c.p.c., comma 2, e art. 371 c.p.c., comma 3, va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza.
 
P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di Cassazione, liquidate in Euro 1.300,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2006.
Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2006