Con ricorso depositato il 21.6.2004 presso la cancelleria della Corte di Appello di Brescia S.V. chiedeva la liquidazione dell’equo indennizzo ai sensi della L. n. 89 del 2001, quantificabile in Euro 50.000,00 di cui Euro 20.000,00 a titolo di danno patrimoniale e Euro 30.000,00 per quello morale, in relazione al procedimento penale promosso a suo carico per il reato di diffamazione, a seguito di querela presentata il 10.7.1990. Detto processo aveva avuto infatti una durata di quattordici anni mentre invece, a suo dire, "avrebbe potuto essere esaurito al più in quattro anni".
La Corte di Appello di Brescia, determinata in tre anni la ragionevole durata del primo grado di giudizio, in due anni ciascuno il giudizio di appello e di cassazione, in un anno il giudizio di rinvio, e detratti tre anni poichè "addebitabili a precise scelte processuali dell’imputato", stabiliva che il processo avesse superato il termine di durata ragionevole nella misura di tre anni.
Riteneva tuttavia di non riconoscere alcun indennizzo, quanto al danno patrimoniale, perchè non provato, quanto a quello morale, poichè in via generale ne andrebbe esclusa la configurabilità" quando il protrarsi del giudizio sia utile per la parte", ipotesi concretamente ravvisata nel caso di specie, essendo stata dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione, alla quale l’imputato non avrebbe rinunciato.
Avverso detto decreto proponeva ricorso per Cassazione S. V., che con quattro distinti motivi denunciava la nullità della sentenza, violazione di legge e vizio di motivazione, sostanzialmente lamentando l’omessa verifica in ordine alla validità della querela, l’avvenuta impugnazione della declaratoria di estinzione e la diretta riconducibilità dell’indennizzo ex L. n. 89 del 2001, all’accertata durata non ragionevole del processo, la limitazione a tre anni del periodo di durata non ragionevole (che viceversa avrebbe dovuto essere stimato in sei anni) derivante anche dall’errata fissazione del "dies ad quem" (4.5.2004 anzichè 21.6.2004) e dall’addebito di un rinvio che – benchè richiesto – non era stato concesso, la rilevanza attribuita all’esito del giudizio (prescrizione), mentre viceversa il pregiudizio sarebbe riconducibile al fatto in sè della durata e prescinderebbe da esso.
Resisteva con controricorso il Ministero della Giustizia, che chiedeva il rigetto del ricorso deducendone l’infondatezza.
La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 24.1.2006.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso S.V. ha denunciato la nullità della sentenza e vizio di motivazione, poichè la Corte di Appello di Brescia avrebbe omesso di pronunciarsi sulla eccezione concernente "la palese irritualità e/o invalidità della querela della Prof.ssa B.", sollevata con il ricorso introduttivo.
La doglianza è infondata, atteso che nel giudizio per l’equa riparazione dei danni conseguenti alla violazione del principio di ragionevole durata del processo non è consentito il sindacato sul merito del precedente procedimento, con la conseguenza che dall’accertamento della ragionevole durata del processo esula ogni indagine sulla necessità, opportunità e legittimità delle attività processuali compiute nei giudizi della cui ragionevole durata si controverte (C. 2003/15395). Ne consegue l’assoluta irrilevanza della rappresentata omissione.
Con il secondo motivo di ricorso S. ha poi lamentato violazione di legge con riferimento al mancato riconoscimento dell’indennizzo, pur a seguito dell’accertata violazione del termine ragionevole.
La negativa statuizione sul punto era stata determinata dalla intervenuta prescrizione del reato, ma la decisione sarebbe errata sia perchè contro la sentenza di proscioglimento per la detta causale sarebbe stato proposto ricorso per Cassazione, sia perchè, secondo la giurisprudenza di questa Corte, dall’accertamento della violazione sarebbe dovuto automaticamente derivare il riconoscimento dell’indennizzo, salva prova contraria da parte dell’Amministrazione, nella specie non offerta.
Anche tale censura è priva di pregio.
La Corte di Appello ha infatti correttamente ritenuto, richiamando principi affermati da questa Corte con decisioni adottate a sezioni unite (nn. 1338 e 8896 del 2004), che è da escludere la configurabilità del pregiudizio quando il protrarsi del giudizio sia utile per la parte, ipotesi riscontrata nel caso di specie, atteso che il procedimento penale a carico del ricorrente si era concluso con una declaratoria di estinzione per prescrizione, e ciò poteva essere interpretato come "tipico ed emblematico esempio in cui il protrarsi del processo ha giovato all’imputato", il fatto dunque che il ricorrente abbia impugnato la detta declaratoria di estinzione risulta del tutto irrilevante, posto che la Corte territoriale aveva collegato il vantaggio derivante dal ritardo nella trattazione del processo alla mancata rinuncia alla prescrizione (nè il ricorrente ha sollevato contestazioni al riguardo o ha dichiarato di avervi provveduto successivamente), così come ugualmente irrilevante risulta il richiamo alle sentenze 2004/8 e 2004/15093, secondo le quali una volta accertata la violazione della L. n. 89 del 2001, la prova del danno sarebbe di regola "in re ipsa", atteso che la Corte di appello non ha adottato una decisione contrastante con il detto principio, ma ha più semplicemente ritenuto che nel caso di specie, per le ragioni indicate, nonostante ciò che ordinariamente e solitamente avviene, il pregiudizio non si fosse nel concreto determinato.
Resta infine assorbito il terzo motivo di ricorso, con il quale S. ha lamentato l’errato computo del periodo astrattamente rilevante ai fini della determinazione del periodo di non ragionevole durata del processo – asseritamente superiore ai tre anni considerati -, mentre appare infondato il quarto motivo di impugnazione, con il quale il ricorrente ha lamentato che, ai fini della determinazione della durata ragionevole del processo, fosse stato adottato un parametro non contemplato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2. Più precisamente S. ha rilevato come la Corte di appello avesse verificato l’esistenza del danno (negandolo) sulla base dell’esito del giudizio penale ("peraltro ancora non passato in giudicato", p. 4) instaurato nei suoi confronti e della successiva acquiescenza alla prescrizione, e quindi introducendo un parametro sostanzialmente incentrato sul merito della pretesa, con determinazione contrastante con il dettato normativo.
Come sopra anticipato il detto rilievo, tuttavia, non può essere condiviso poichè, contrariamente a quanto sostenuto, la Corte di appello ha fatto discendere il mancato riconoscimento dell’indennizzo non da un giudizio espresso sul merito della pretesa azionata (vale a dire in relazione alla circostanza – apprezzata negativamente – che il detto giudizio si era definito con prescrizione, anzichè con una formula assolutoria nel merito) ma da un bilanciamento fra il dato pregiudizievole riconducibile in via generale al fatto in sè della durata del processo e quello positivo concretamente verificatosi (il ricorrente" non ha rinunciato alla prescrizione e .. la sua colpevolezza è stata riconosciuta, sia pure ai soli effetti civili") derivante dalla stessa causale (e cioè sempre alla sua durata), bilanciamento che appare espressione di un giudizio di merito correttamente formulato, e che risulta inoltre in sintonia con i principi affermati da questa Corte.
In proposito si richiama in particolare C.S.U. 1338/2004, in cui è precisato che se le conseguenze riconducibili alla durata sono presenti secondo l’"id quod plerumque accidit", possono tuttavia esservi casi in cui ciò non avviene "perchè il protrarsi del giudizio risponde ad un interesse della parte o è comunque destinato a produrre conseguenze che la parte percepisce a sè favorevoli", e nella quale è fra l’altro richiamata, a titolo esemplificativo, l’ipotesi del locatario che, convenuto in giudizio in una controversia avente ad oggetto il rapporto locatizio, continui a detenere l’immobile.
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio, liquidate in Euro 3.000,00 oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2006.
Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2006