L.F., in proprio e quale rappresentante di B. L.G., con ricorso alla Corte d’appello di Brescia del 29 marzo 2003 deduceva che il Pretore di Milano, con provvedimento del 9 luglio 1987, aveva convalidato la licenza per finita locazione intimata ai conduttori di un immobile di loro proprietà, fissando la data del rilascio per il 12 luglio 1989. Il procedimento esecutivo per il rilascio si era proti/atto dal 12 luglio 1989 (data della notifica del preavviso per l’esecuzione da svolgersi il successivo 28 luglio) al 12 aprile 2002, data in cui gli esecutati avevano spontaneamente rilasciato l’immobile. Nel corso di tale lungo periodo di tempo erano stati eseguiti ben 47, inutili, accessi. Il ricorrente chiedeva quindi la condanna della Presidenza del Consiglio dei ministri al pagamento di un’equa riparazione per il danno patrimoniale e non patrimoniale, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2.
Resisteva alla domanda la convenuta, eccependo pregiudizialmente il difetto di legittimazione, in quanto la violazione denunciata concerneva l’esecuzione di un provvedimento del giudice ordinario e, quindi, la domanda avrebbe dovuto essere proposta nei confronti del Ministero della giustizia. Nel merito contestava la fondatezza della domanda e ne chiedeva il rigetto.
La Corte d’appello di Brescia, con decreto del 20 luglio 2003, rigettava l’eccezione della convenuta e, ritenuta la violazione del termine di ragionevole durata del giudizio presupposto, in parziale accoglimento della domanda condannava la convenuta a pagare, a titolo di equa riparazione per il danno non patrimoniale, Euro 10.000,00 in favore del L. ed Euro 10.000,00 in favore della B., rigettando il capo relativo al danno patrimoniale, oltre al rimborso delle spese del giudizio.
Per la Cassazione di questo decreti ha proposto ricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri, affidato a due motivi; ha resistito con controricorso – illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c. – L. F., in proprio e "quale unico erede" di B.G., vedova L..

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- La ricorrente, con il primo motivo, denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 3, art. 2, commi 1 e 2, nonchè motivazione contraddittoria su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), deducendo che l’art. 2, comma 1, cit., stabilisce che in riferimento ai procedimenti del giudice ordinario la domanda di equa riparazione deve essere proposta nei confronti del Ministero della giustizia.
Secondo l’istante, essendo indubbia la configurazione giurisdizionale del processo esecutivo di rilascio di un immobile, l’individuazione del soggetto passivo della domanda ex L. n. 89 del 2001 richiede di stabilire quale sia il giudice nella cui competenza rientra detto processo che, a suo avviso, va identificato nel giudice ordinario, con la conseguenza che la domanda doveva essere proposta nei confronti del Ministero della giustizia, ai sensi dell’art. 3, comma 3, cit. In contrario, non rileva l’ascrivibilità del ritardo al comportamento di un ausiliario del giudice, dato che il soggetto passivo è individuato in relazione al giudice del procedimento. Ed infatti, questa Corte ha affermato che la domanda va proposta nei confronti del Ministero della giustizia anche qualora si lamenti il ritardo di una procedura esecutiva dovuto al comportamento degli impiegati addetti alla Conservatoria dei registri immobiliari, in quanto lo Stato deve rispondere del ritardo attraverso l’organo individuato dalla norma a questo scopo.
La ricorrente sostiene che una differente conclusione non è sostenibile sulla scorta del precedente menzionato dal decreto impugnato (Cass., n. 11046 de 2002), il quale, in contrasto con la lettera delle surrichiamate norme, ha affermato la legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio nel caso di ritardo riconducibile alle cc.dd. Violazioni di sistema. Peraltro, nella specie la Corte territoriale ha accertato anche che l’irragionevole durata del procedimento è stata provocata sia dal comportamento dell’ufficiale giudiziario, sia dal mancato intervento della Forza Pubblica, che sono ausiliari del giudice ordinario (artt. 59 e 68 c.p.c.).
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, in riferimento agli artt. 2056, 2727 e 2729 c.c., ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), lamentando che la Corte d’appello ha ritenuto esistente il danno non patrimoniale, benchè i ricorrenti non abbiano provato d’avere subito una sofferenza morale, ovvero sopportato un patema d’animo a causa della durata del giudizio (Cass., n. 15449 del 2002). Inoltre, l’argomentazione svolta sul punto dal decreto impugnato è logicamente viziata, in quanto il ragionamento per presunzioni richiede di procedere mediante deduzioni logiche di rilevante probabilità. La Corte d’appello ha invece ritenuto che le lungaggini di un giudizio di contenuto soltanto patrimoniale incidono sulla situazione personale della parte, con ragionamento connotato da un salto logico tra il fatto noto (eccessiva durata del processo) ed il fatto da provare, valorizzando presunzioni prive dei caratteri stabiliti dall’art. 2729 c.c. e confondendo la presunzione con la tautologia.
2.- In linea preliminare va osservato che nel giudizio di merito la domanda è stata proposta da L.F. e da B.G., avendo agito il primo in proprio e quale rappresentante della seconda. La Presidenza del Consiglio dei ministri ha notificato il ricorso per cassazione ad entrambe dette parti presso il procuratore costituito (art. 330 c.p.c., comma 1), in data 13 gennaio 2004 e dalla relata di notificazione risulta la ricezione degli atti, senza che nulla sia stato rilevato e dedotto.
L.F. ha proposto rituale e tempestivo controricorso "in proprio e quale unico erede della signora B.G. ved.
L., deceduta il giorno 15 giugno 2003" (così nel controricorso), essendosi quest’ultimo evento verificato in data successiva alla comparizione delle parti in camera di consiglio nel giudizio di merito (28 maggio 2003) ed anteriormente al deposito del decreto impugnato (20 luglio 2003).
La constatazione che il decesso della B. è sopravvenuto alla comparizione in camera di consiglio e che di esso neppure risulta acquisita notizia in occasione della notificazione del ricorso per cassazione (per quanto emerge dalla relata), rende palese che l’evento, anche in considerazione della sua natura, non era conoscibile dalla ricorrente, secondo criteri di normale diligenza.
Nella specie risulta dunque applicabile il principio desumibile dalla recente sentenza delle Sezioni Unite n. 15783 del 2005, in virtù del quale il vizio non attiene alla notificazione, bensì alla individuazione della parte nei cui confronti il potere impugnatorio doveva essere esercitato. Pertanto, ai sensi dell’art. 164 c.p.c., questo vizio è sanabile con efficacia ex tunc mediante rinnovazione della notificazione, ovvero per raggiungimento dello scopo, qualora l’intimato ai sia costituito proponendo tempestivo e regolare controricorso (al riguardo, cfr in fattispecie omologa, Cass. n. 10501 del 2004; n. 9915 del 2005; n. 12268 del 2005; v. anche Cass. n. 15190 del 2005). Tanto è appunto accaduto nel presente giudizio, dato che L.F., come sopra è stato precisato, ha proposto tempestivo e regolare controricorso sia in proprio sia "quale unico erede della signora B.G." (producendo, a conforto, dichiarazione sostitutiva di atto notorio).
2.1.- Il primo motivo è fondato e va accolto.
Le censure svolte con questo mezzo pongono la questione della legittimazione passiva nel giudizio di equa riparazione nel caso in cui la parte lamenti l’irragionevole durata di un procedimento di esecuzione forzata per il rilascio di immobile ad uso di abitazione.
La questione ha costituito oggetto di espressa eccezione da parte dell’attuale ricorrente nel giudizio di merito e la sua tesi è stata respinta dalla Corte territoriale, richiamando e facendo proprio un precedente di questa Corte che, nella fattispecie sopra indicata, ha affermato la legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei ministri, qualora il ritardo sia ascrivibile a "violazioni di sistema" (Cass., n. 11046 del 2002).
Questo precedente è rimasto tuttavia isolato ed è stato superato dal successivo orientamento di questa Corte al quale va data continuità, in quanto confortato da convincenti argomentazioni.
In linea preliminare, occorre ricordare che la sentenza n. 11046 del 2002 ha affrontato la questione in un giudizio nel quale erano stati convenuti sia la Presidenza del Consiglio dei ministri, sia il Ministero della giustizia e, nell’affermare la legittimazione passiva anche della prima, ha avuto cura di sottolineare espressamente che questa conclusione era giustificata dalla circostanza che "nel caso in esame sono addotte (anche) violazioni di sistema". Si tratta di una puntualizzazione di pregnante importanza allo scopo di stabilire l’esatto contenuto del principio enunciato. Nel caso deciso dalla pronuncia il giudice del merito aveva escluso la fondatezza della domanda in quanto "la stessa ricorrente ascriveva l’abnorme lunghezza della procedura soltanto ai numerosi consecutivi interventi del legislatore che avevano introdotto una surrettizia proroga degli sfratti, stabilendo regole per la sospensione della concessione della forza pubblica (indispensabile ausilio all’esecuzione forzata), che veniva demandata al prefetto". La sentenza di merito aveva ritenuto il caso non riconducibile alla L. n. 89 del 2001, art. 2, escludendo che detta norma riguardi anche l’irragionevole durata provocata dal "potere legislativo, autonomo e sovrano nelle sue determinazioni e del quale il prefetto – nella vicenda esposta – aveva costituito il tramite esecutivo e non già un ausiliario dell’A.G.O., di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2".
La sentenza del 2002, dopo avere affermato che il giudice deve "considerare anche il ritardo conseguente alla (doverosa) applicazione di atti legislativi, o comunque, a contenuto normativo", ha enucleato la categoria delle cc.dd. "violazioni di sistema", individuate in quelle "conseguenti anche a scelte legislative che provochino una durata non ragionevole dei procedimenti" e soltanto in riferimento a queste ultime ha ritenuto sussistente la legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei ministri, in virtù della "previsione cd. residuale recata dalla L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 3".
Tuttavia, le successive sentenze non hanno dato pienamente seguito a questo orientamento in quanto, da un canto, hanno confermato la rilevanza del ritardo anche se dovuto ad atti normativi, dall’altro, in relazione ai giudizi riconducibili nell’ambito della giurisdizione ordinaria hanno costantemente affermato la legittimazione passiva del Ministero della giustizia sia nel caso di ritardo ascrivibile al comportamento dell’autorità amministrativa chiamata a contribuire alla definizione del processo (Cass. n. 16053 del 2003, in riferimento al procedimento di espropriazione immobiliare ed al ritardo provocato dal cattivo funzionamento della Conservatoria dei Registri immobiliari ha dichiarato la carenza di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei ministri; analogamente Cass. n. 5265 del 2003), sia nel caso di ritardo conseguente dalla applicazione di atti legislativi, o comunque normativi (Cass. n. 13814 del 2004, concernente una fattispecie nella quale il ritardo "era stato determinato, almeno in parte, da sospensioni direttamente previste da norme di legge", ha ritenuto fondata la domanda proposta esclusivamente nei confronti del Ministero della giustizia; Cass. n. 6359 del 2004 ha del pari reputato fondata la domanda proposta esclusivamente nei confronti del Ministero della giustizia in un caso in cui si lamentava il ritardo conseguente dalla circostanza che "l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili possa essere stata differita o sospesa con provvedimenti del potere legislativo o di quello esecutivo, dotati di forza di legge"; Cass. n. 13768 del 2002, relativa ad una domanda proposta esclusivamente nei confronti del Ministero della giustizia in relazione al ritardo riconducibile a provvedimenti legislativi di proroga e graduazione degli sfratti).
Da ultimo, Cass. n. 3905 del 2005 ha espressamente preso in esame l’unico precedente di segno contrario a quest’ultimo indirizzo (appunto Cass. n. 11046 del 2002) ed ha sottolineato che è rimasto senza seguito, facendosi inoltre carico di chiarire che la distinzione da questo posta con riguardo alle ragioni del ritardo – a seconda che siano ascrivibili al giudice, ovvero a violazioni di sistema – non è "assistita da sicuro fondamento agli effetti dell’individuazione dell’Amministrazione passivamente legittimata", in quanto "il diritto all’equo indennizzo prescinde da qualsiasi accertamento di responsabilità a carico dei titolari dell’ufficio giudiziario investito del processo" (Cass., n. 3905 del 2005).
Peraltro, identico f principio era stato già affermato in relazione ad un diverso caso di ritardo dovuto ad una norma di legge (Cass. n. 16502 del 2002) ed in termini sostanzialmente analoghi si è espressa una successiva sentenza che ha rigettato il ricorso incidentale con il quale il Ministero della giustizia aveva dedotto il proprio difetto di legittimazione passiva in riferimento ad una domanda concernente l’irragionevole durata del procedimento di rilascio di un immobile, ribadendo che, al fine dell’individuazione della legittimazione passiva, ha rilievo esclusivo la riferibilità del ritardo ad un processo che si svolge innanzi al giudice ordinario, quale indubbiamente è quello di esecuzione per il rilascio di beni immobili (Cass. n. 9245 del 2005).
Questa interpretazione, come risulta dalla sintesi svolta, si è dunque consolidata nella giurisprudenza di questa Corte, e va qui condivisa e ribadita, in quanto saldamente fondata sulla lettera della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 3, il quale, nell’individuare l’Amministrazione che deve essere convenuta nei giudizi in esame, fa esclusivo riferimento alla giurisdizione alla quale è riconducibile il giudice che celebra il processo (ordinaria; militare; tributaria;
amministrativa e contabile), senza distinguere a seconda delle ragioni del ritardo, e stabilisce in relazione alle differenti ipotesi una puntuale ed esclusiva competenza dell’Amministrazione espressamente identificata in relazione a ciascuna di esse, mentre nella specie la ricorrente ha anche espressamente eccepito nella fase di merito che malamente la comanda è stata proposta nei suoi confronti, impugnando sul punto il decreto con il presente ricorso.
Inoltre, questa esegesi è confortata dalla considerazione che, ai sensi dell’art. 2, comma 2, della stessa legge, al fine dell’equa riparazione, è anche irrilevante la causa del ritardo e l’accertamento della eventuale responsabilità dei titolari dell’ufficio. Peraltro, poichè in virtù della regola affermata dall’indirizzo prevalente la causa del ritardo non influisce sull’identificazione della legittimazione passiva, neanche occorre soffermarsi ad osservare che la Corte territoriale ha ritenuto che le cause del ritardo, in larga misura, andavano peraltro individuate anche nella "singolare arrendevolezza dell’ufficiale giudiziario", il quale, "in diversi casi, si è spontaneamente indotto a concedere il rinvio, senza neppure una richiesta in tal senso", quindi non erano ascrivibili a violazioni di sistema.
Il principio enunciato esige l’accoglimento del primo motivo, la cassazione senza rinvio del decreto impugnato – restando assorbito il secondo motivo – con la conseguente dichiarazione di inammissibilità della domanda (art. 382 c.p.c., u.c.), in quanto proposta esclusivamente nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri.
La considerazione che, alla data della proposizione del ricorso, esisteva un’incertezza interpretativa in ordine all’identificazione del legittimato passivo nel giudizio diretto a far valere il diritto all’equa riparazione riferito al processo di esecuzione per il rilascio di beni immobili, nel caso di sua ascrivibilità anche a violazioni di sistema conduce ad affermare che ricorrono giusti motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa il decreto impugnato e dichiara inammissibile la domanda proposta da L.F. e B.L.G. nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri e dichiara compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, il 3 aprile 2006.
Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2006