1.- Con il ricorso in esame i ricorrenti, premesso:
a)che il loro defunto genitore, S. R., con istanza in data 10 dicembre 19851 aveva chiesto di essere ammesso al passivo del fallimento della Edilsicula di M. G., M. C. e M. R., essendo creditore di notevoli somme nei confronti del sig. G. M., anche lui dichiarato fallito;
b)che il Tribunale lo aveva ammesso al passivo per l’importo di lire 145.652.465, di cui lire 86.141.455 in via privilegiata in virtù di un’ipoteca gravante su un immobile rientrante nella massa fallimentare;
c)che l’immobile in questione era stato aggiudicato all’asta in data 11 aprile 1996 e il G. R. aveva presentato al G.D. istanza di riparto parziale al fine di esercitare la prelazione prevista dall’art. 54 L.F., ma la sua richiesta era stata rigettata;
d)che il G. R., nonostante i vari reclami avverso il provvedimento di rigetto e le varie denunzie presentate alla Procura di Barcellona P.G., non era riuscito a realizzare il suo credito e il 24 ottobre 2003 era deceduto;
e)che essi ricorrenti, vantando la qualità di eredi del padre, con istanza del 15 ottobre 2004 avevano reiterato al G.D. la richiesta di riparto parziale, riuscendo ad ottenere il pagamento di parte della somme dovute soltanto in data 17 luglio 2005;
tanto premesso, hanno chiesto la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un’equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole previsto dall’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955 n. 848.
Deducono gli istanti che il procedimento de quo, iniziato con l’istanza depositata nel 19852, si è protratto per oltre vent’anni e non è ancora terminato, giacché essi, quali eredi del padre, attendono il pagamento delle somme ammesse in chirografo e di parte del credito privilegiato; che tale ritardo è incomprensibile e ingiustificato ed è certamente imputabile a disfunzioni del sistema giudiziario; che essi e il loro dante causa hanno subito, in conseguenza della durata abnorme del procedimento, danni morali e patrimoniali al cui risarcimento è tenuto lo Stato Italiano.
Il Ministero della Giustizia ha contestato la fondatezza della domanda e ne ha chiesto il rigetto deducendo: a) che dagli atti della procedura fallimentare emerge in maniera evidente che il protrarsi della stessa non è addebitabile all’apparato giustizia, bensì ad una serie di cause (il mancato deposito dei libri contabili da parte dei falliti, le oggettive difficoltà incontrate dalla curatela nella gestione del patrimonio, l’esistenza di numerose controversie) non imputabili in alcun modo all’Amministrazione; b) che non è sufficiente allegare una durata eccessiva del procedimento per ottenere una pronuncia risarcitoria in materia, essendo necessario provare invece l’esistenza del tipo di danno preteso, nonché il rapporto di causalità tra lo stesso e la durata eccessiva del processo.
2.- Com’è noto, l’art. 2 della legge 24 marzo 2001 n. 89 riconosce il diritto ad un’equa riparazione al soggetto che abbia "subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione", il quale sancisce, appunto, il diritto di ciascuno a ottenere che la sua causa sia decisa "equamente, pubblicamente e in un termine ragionevole"
Per quanto concerne il concetto di "ragionevolezza", il legislatore del 2001, tenendo conto dei criteri già elaborati dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha indicato nell’art. 2 prima menzionato alcuni parametri di riferimento, disponendo che nell’accertare la violazione si debba tener conto: a) della complessità del caso; b) del comportamento delle parti; c) del comportamento del giudice del procedimento; d) del comportamento di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o, comunque, a contribuire alla sua definizione (rientrano in tale ultima definizione, secondo la prevalente giurisprudenza di merito formatasi sul punto, gli ausiliari del giudice, gli organi di cancelleria, altre persone cui vengano affidati legittimamente compiti endoprocessuali).
Appare evidente, dunque, che il concetto di "termine ragionevole" non è assoluto, ma relativo, e che per stabilire se la durata del processo sia stata ragionevole oppure no, non si può prescindere dalla considerazione delle circostanze del caso, tenendo presente che ciò che la legge ha inteso stigmatizzare è l’inerzia ingiustificata nella definizione dei processi, sanzionando la responsabilità dello Stato per le carenze, non imputabili alle parti, che si verificano nell’organizzazione del servizio dell’amministrazione della giustizia.
3.- Venendo all’esame del caso di specie, rileva la Corte che dalla relazione a firma del G.D. del Tribunale di Barcellona P.G., allegata al fascicolo di parte del Ministero della Giustizia, risulta quanto segue:
-il fallimento di cui trattasi venne dichiarato dal Tribunale di Messina il 9 febbraio 1988. La procedura passò poi al Tribunale di Barcellona P.G. a seguito della legge n. 246/1991 istitutiva di questo Tribunale.
-I falliti proposero opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento e il relativo giudizio, nel quale si costituì il curatore, si concluse in primo grado con sentenza n. 126/2000. Il processo di appello è ancora pendente.
-Avendo i falliti omesso il deposito delle scritture contabili, ciò determinò il rallentamento dell’inventariazione dei beni, della quale furono perciò incaricati due consulenti, che depositarono la loro relazione il 30 dicembre 1991. Il patrimonio immobiliare fu stimato dagli stessi in circa 4 miliardi e 320 milioni di lire.
-Anche l’inventario dei beni mobili richiese vari accessi dell’ufficio fallimentare, dal 27 luglio 1988 al 22 marzo 1989.
-Nel corso della procedura il curatore promosse e resistette a una serie di giudizi di varia natura, alcuni dei quali sono ancora pendenti.
-L’udienza per l’esame dello stato passivo, fissata con la sentenza dichiarativa di fallimento per il 6 aprile 1988, fu rinviata su richiesta del curatore per il mancato deposito delle scritture contabili da parte dei falliti. Le numerose istanze di ammissione al passivo (n. 77 in tutto) furono quindi esaminate in più udienze, di cui l’ultima si svolse il 12 maggio 1990, nella quale il G.D. dichiarò chiusa la verifica riservandosi di rendere esecutivo lo stato passivo, previo esame delle domande ammesse con riserva.
-Lo stato passivo fu reso esecutivo all’udienza dell’8 maggio 1992.
-La gestione dei beni acquisiti al fallimento, data la loro ingente consistenza, richiese da parte del curatore un impegno costante, con necessità di procedere alla raccolta delle olive e alle altre operazioni colturali del caso (aratura, concimazione, vendemmia, ecc.).
– Con istanza del 15 settembre 1993 il curatore chiese al G.D. fissarsi la vendita all’incanto del patrimonio immobiliare acquisito alla massa. Le prime due vendite, fissate per l’8 luglio 1994 e per il 6 giugno 1995, andarono deserte. Al terzo incanto, fissato per l’11 aprile 1996, furono aggiudicati il lotto n. 5 e il lotto n. 9 (oggetto dell’ipoteca vantata dagli odierni ricorrenti). Si alternarono, successivamente, aste deserte e vendite andate a buon fine. Restano ancora da vendere i lotti n. 1 e n. 5.
-Notevoli furono le difficoltà incontrate nella realizzazione dell’attivo, in considerazione e della gran quantità dei beni da vendere (distribuiti in ben 10 lotti), e della loro consistenza (per esempio, il lotto n. 1, ancora invenduto, consiste in un intero complesso immobiliare esteso su una superficie di circa 23.000 metri quadrati e il prezzo di vendita è stato per esso fissato in _ 584.700,00).
Per quanto riguarda, in particolare, le doglianze degli odierni ricorrenti, il G. D. ha fatto presente che: (a) il parere negativo espresso dal curatore in data 25 novembre 1996 sull’istanza del G. R. del 20 giugno 1996, volta ad ottenere il versamento della somma ricavata dalla vendita dell’immobile sul quale il creditore aveva ipoteca, fu motivato sostanzialmente dalla pendenza di un procedimento di reclamo avverso il decreto del G.D. di aggiudicazione del bene medesimo; (b) analoga istanza venne reiterata dal creditore il 29 ottobre 1998 ed ugualmente rigettata sempre per il parere negativo del curatore motivato dalla pendenza del giudizio di opposizione a sentenza dichiarativa di fallimento, dalle spese connesse ad un riparto parziale, a fronte del numero dei creditori e del non consistente attivo fallimentare; (c) con successiva istanza del 18 febbraio 2000 il G. R. chiese l’assegnazione delle somme corrisposte dal Comune di Furnari al fallimento in dipendenza dell’espropriazione del terreno oggetto dell’ipoteca a lui concessa dai falliti e per la quale era stato ammesso al passivo in via privilegiata, ma il curatore ancora una volta espresse parere negativo in considerazione del fatto che l’espropriazione non riguardava solo il fondo oggetto di ipoteca e che era pendente giudizio innanzi al T.A.R. in relazione alla detta espropriazione; (d) analoga istanza venne ripresentata il 2 gennaio 2001 ed ugualmente rigettata dal G.D..
4.- Orbene tenuto conto dell’excursus processuale testè illustrato e applicando al caso in esame i principi indicati al paragrafo 2 del presente decreto, ritiene la Corte che la durata della procedura fallimentare in questione, per quanto obiettivamente eccessiva, non è però in alcun modo imputabile a disfunzioni o a insufficiente organizzazione del servizio-giustizia.
Se si considerano, infatti, le circostanze sopra indicate, e in particolar modo:
-l’opposizione alla dichiarazione di fallimento da parte dei falliti, opposizione il cui giudizio non è stato ancora definito se non in primo grado;
-il mancato deposito delle scritture contabili da parte dei falliti, che ha ritardato sia le operazioni di ricognizione dei beni da acquisire al fallimento, sia la formazione dello stato passivo;
-l’esistenza di numerose vertenze giudiziarie, che hanno indotto il curatore ad esprimere parere contrario all’accoglimento dell’istanza di riparto parziale più volte presentata dal G. R.;
-l’attuale pendenza di alcuni giudizi riguardanti il fallimento;
-l’oggettiva difficoltà incontrate dal curatore nella gestione dell’ingente patrimonio acquisito alla massa e nella realizzazione dell’attivo;
appare evidente che nessuna di tali circostanze è addebitabile a neghittosità del giudice o dei suoi collaboratori ed ausiliari (curatore, consulenti tecnici, operatori di cancelleria, ecc.), quanto piuttosto alla oggettiva "complessità del caso", a cui fa riferimento l’art. 2 della legge n. 89/2001, che ha impedito, nonostante siano passati ben 18 anni dalla dichiarazione di fallimento, che la procedura si concludesse.
In una situazione di oggettiva difficoltà e complessità, quale è quella caratterizzante la procedura concorsuale de qua – complessità che deve ritenersi senz’altro sussistere ogni volta che "nel procedimento concorsuale si susseguano lunghe ed articolate azioni promosse dalla curatela verso terzi, potendo invece addebitarsi ad esclusiva insufficienza dell’Amministrazione (e ridondare in termini di irragionevolezza dei relativi tempi) le inerzie o i ritardi della curatela stessa nel promuovere le necessarie azioni di recupero di attività alla massa" (Cass. 10 febbraio 2005, n. 2727; 8 ottobre 2004, n. 20086; 16 aprile 2004, n. 7258) -, nessun addebito può muoversi allo Stato Italiano in relazione al ritardo dedotto dai ricorrenti nella realizzazione (parziale) del credito già vantato dal loro dante causa.
La domanda dei G. R. deve essere, perciò, rigettata.
5.- Sussistono giusti motivi, avuto riguardo alle ragioni della decisione, per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese del presente procedimento.

P.Q.M.
La Corte di Appello, visto l’art. 3 della legge 24 marzo 2001 n. 89, rigetta la domanda proposta dai germani G. R., N. C. R. e A. R., con ricorso depositato il 14 febbraio 2006, nei confronti del MINISTERO della GIUSTIZIA e dichiara compensate tra le parti le spese di lite.
Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio dell’8 giugno 2006.
Il consigliere estensore
dott.ssa Concettina Epifanio
Il Presidente
dott. Giovanni Staglianò
1 In realtà l’istanza di ammissione al passivo del fallimento, della quale i ricorrenti hanno allegato copia al proprio fascicolo di parte, porta la data dell’8 giugno 1988: quindi, la data del 10 dicembre 1985 indicata nel ricorso è evidentemente sbagliata, anche perché anteriore alla dichiarazione di fallimento.
2 Vale qui quanto già detto nella nota precedente.