F.F. adiva la Corte di appello di Roma chiedendo che la Presidenza del Consiglio dei Ministri fosse condannata a corrisponderle l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul "Diritto ad un processo equo", della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e della libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848.
Con decreto del 5/6-21/7/2003, l’adita Corte di appello, in contraddittorio delle parti, accoglieva la domanda e condannava la Presidenza del Consiglio a corrispondere al F. la somma di Euro 3000,00. La Corte territoriale osservava e riteneva, tra l’altro:
– che il F. aveva chiesto, l’equa riparazione in relazione all’eccessiva durata del giudizio svoltosi dinanzi alla Corte dei Conti, da lui introdotto nel 1972 e definito con sentenza depositata nell’ottobre del 2001;
– che solo parte della durata del giudizio presupposto, da contenersi in nove anni, era giustificata da esigenze processuali;
– che, pertanto il ricorrente aveva diritto all’equa riparazione del danno non patrimoniale, ravvisabile nel disagio e nella preoccupazione presumibilmente connesse alla lunga ed ingiustificata attesa di una pronuncia sulla pretesa dedotta;
– che, utilizzati i criteri di valutazione di cui all’art. 2056 cod. civ., richiamata la L. n. 89 del 2001, art. 2, tenuto conto del periodo di ritardo, nonchè dell’entità degli interessi economici in gioco, fosse stimabile rispondente ad equità liquidare la somma complessiva di Euro 3.000,00.
Avverso questo decreto, il F., con atto notificato il 28/4/2004, ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a tre censure.
La Presidenza del Consiglio ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
A sostegno del ricorso il F. deduce:
1) Violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1 e 3 – Contraddittorietà della motivazione.
2) Violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1 e 3, degli artt. 2056 e 1226 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – Apparenza, omissione e/o insufficienza della motivazione – Diniego di giustizia.
3) Violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1 e 3, degli artt. 2056 e 1226 c.c. Violazione e mancata applicazione dell’art. 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Negata giustizia. Difetto di motivazione sotto ulteriore profilo.
Il ricorrente, in sintesi e conclusivamente, si duole, anche per vizi motivazionali, soltanto dell’esiguità dell’importo liquidato quale equa riparazione del danno non patrimoniale, deducendo, fra l’altro, che esso non è neppure corrispondente ad un ventesimo di quanto indicato dalla Corte europea, secondo criteri che non possono essere ignorati dal giudice nazionale.
Il ricorso è fondato nei limiti delle argomentazioni che seguono.
Occorre premettere che (cfr. Cass. SS.UU. 2004/1340 e da ultimo Cass. 2006/1630) in tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, i criteri di determinazione del "quantum" della riparazione applicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo non possono essere ignorati dal giudice nazionale, anche se questi può discostarsi in misura ragionevole dalle liquidazioni effettuate a Strasburgo in casi simili, e tale regola di applicazione della legge nazionale, per quanto attiene alla riparazione del danno non patrimoniale, ha natura giuridica, inerendo ai rapporti tra la detta legge e la CEDU, onde il mancato ed immotivato (Cass. 2005/18332) rispetto di essa da parte del giudice del merito concretizza il vizio di violazione di legge denunziabile in sede di legittimità.
La valutazione equitativa, dunque, per quanto possibile, deve conformarsi alle liquidazioni effettuate in casi similari dalla predetta Corte europea, la quale (con decisioni recentemente adottate a carico dell’Italia il 10 novembre 2004) ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno la base di partenza per la quantificazione di tale indennizzo (Cass. 2005/8568).
Nella specie, la Corte di merito ha liquidato in via equitativa, quale indennizzo del cd. danno morale soggettivo riferito all’accertato periodo di non ragionevole durata, complessivamente quantificato in anni venti, l’importo di Euro 3000,00.
Evidente appare la deroga in pejus rispetto ai parametri CEDU, la quale, attesa la rilevante entità del discostamento, non può ritenersi giustificata anche per il profilo logico dal mero richiamo al contegno negligente tenuto dalla ricorrente, anche avulso da qualsiasi comparazione con le condizioni socio-economiche della stessa (Cass. 2005/21597).
Pertanto l’impugnato decreto deve essere cassato in parte qua con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese della presente fase di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa in parte qua il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 13 aprile 2006.
Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2006