Con ordinanza del 7 luglio 2004, la Corte d’Appello di L’Aquila, in applicazione del disposto di cui all’art. 314 c.p.p., liquidava a M.L., a titolo di equa riparazione per la custodia carceraria patita dall’11 al 23 marzo 1995, la somma di 1.700,00 Euro, oltre alle spese di lite.
Avverso tale ordinanza ricorre il M. e deduce manifesta illogicità e mancanza di motivazione per non avere la corte territoriale per nulla motivato il proprio provvedimento con riguardo ai criteri seguiti per la determinazione dell’equo indennizzo. In particolare, la predetta corte si sarebbe limitata, a giudizio del ricorrente, a richiamare taluni principi fissati, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, dalla Corte di legittimità e ad eseguire un calcolo matematico con il quale si è tenuto conto solo del breve periodo di carcerazione, non anche delle sofferenze psichiche e morali, della perdita di prestigio e di onorabilità, dei risvolti familiari che la carcerazione, pur breve, ha determinato. L’illogicità della motivazione viene, inoltre, rilevata anche con riguardo al contrasto tra la motivazione, che quantifica l’indennizzo in 1.800,00 Euro, ed il dispositivo che lo riduce ad Euro 1.170,00.
Il ricorso è fondato.
In tema di riparazione per ingiusta detenzione la non sempre uniforme giurisprudenza di questa Corte, in particolare con riguardo alla individuazione dei criteri da seguire nella determinazione dell’equo indennizzo, ha richiesto ripetuti interventi delle Sezioni Unite. Con la sentenza 9.5.01 n. 24287, che ha composto il contrasto relativo all’applicabilità ai procedimenti in corso della norma (L. n. 479 del 1999, art. 15, comma 1) che ha elevato ad un miliardo di L. l’importo massimo della riparazione, la Corte ha ribadito la legittimità del parametro aritmetico, affermando che "In materia di riparazione per ingiusta detenzione, il parametro aritmetico, al quale riferire la liquidazione dell’indennizzo, è costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315 c.p.p., comma 2, e il termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 303 c.p.p., comma 4, lett. c), espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita, mentre il potere di valutazione equitativa attribuito al giudice per la soluzione del caso concreto non può mai comportare lo sfondamento del tetto massimo normativamente stabilito." E’ stato altresì sostenuto da questa Corte che siffatto criterio risponde all’esigenza di evitare che, nei diversi contesti territoriali, o addirittura nel medesimo contesto, vengano proposte valutazioni anche profondamente difformi rispetto a situazioni del tutto simili e, dunque, per garantire un trattamento tendenzialmente uniforme. Ed ancora, che il ricorso a tale criterio non esime il giudice dal valutare le specificità, positive o negative, di ciascun caso e, quindi, dall’integrare opportunamente tale criterio, innalzando ovvero riducendo il risultato del calcolo aritmetico per rendere la decisione il più equa possibile e rispondente alle diverse situazioni sottoposte al suo esame.
La Corte di legittimità ha ulteriormente chiarito che, ove il giudice non ritenga di seguire il parametro aritmetico, deve adeguatamente motivare in ordine ai criteri utilizzati nella liquidazione; e ciò proprio perché se l’equità è immediatamente percepibile allorché il giudice si avvalga del parametro aritmetico, qualora se ne allontani, deve indicarne le ragioni per permettere all’interessato di coglierla nell’indennizzo che lo riguarda (Cass. n. 710/2002).
Recentemente, tuttavia, la Cassazione, sez. 3^, n. 28334/2003, alla quale si fa riferimento nell’ordinanza impugnata, ha affermato che: "In tema di riparazione per ingiusta detenzione, la liquidazione dell’indennizzo non può costituire la risultante di un metodo composito che assommi i criteri aritmetici (rapporto tra il tetto massimo di indennizzo di cui all’art. 315 c.p.p., comma 2, ed il termine massimo della custodia cautelare di cui all’art 303 c.p.p., comma 4, lett. c), ed i criteri equitativi (che tengono conto sia della durata della custodia cautelare, sia delle conseguenze personali e familiari derivate dall’ingiusta privazione della libertà), in quanto i predetti parametri aritmetici individuano il massimo indennizzo liquidabile relativamente a tutte le conseguenze personali e familiari patibili per ogni giorno di ingiusta detenzione. Ne deriva che l’indennizzo così calcolato non può essere corretto in aumento facendo riferimento al criterio equitativo e che, quindi, ad esso non possono essere aggiunte ulteriori voci, in quanto tutte le voci ipotizzabili sono già comprese nel computo della massima indennità giornaliera".
Affermazioni, tuttavia, non condivise da altre, e più recenti, decisioni di questa Corte, per le quali, anzitutto, non è accettabile, in linea di principio, l’assunto secondo cui il criterio aritmetico sia qualcosa di ontologicamente diverso dalla liquidazione equitativa e non, invece, nell’ambito di quella liquidazione, un criterio dal quale il giudice può legittimamente discostarsi proprio per adattarlo alle esigenze del singolo caso. Ancor meno condivise sono le conclusioni, alle quali la citata sentenza è pervenuta, secondo le quali il risultato conseguito con il ricorso al parametro aritmetico non potrebbe essere modificato, anche in aumento, facendo ricorso al criterio equitativo.
Si è, in realtà, di recente sostenuto, premesso che runico limite imposto al giudice dal legislatore, nella determinazione della somma da liquidarsi a titolo d’indennizzo, è che essa non superi il tetto massimo consentito (un miliardo di lire); "che il giudice è assolutamente libero anche di andare al di là del parametro aritmetico allorché le conseguenze personali e familiari si rivelino tali – nonostante la modesta durata della privazione della libertà – da meritare un (indennizzo senza confini, se non il confine del tetto massimo disponibile". Si è, quindi, concluso nel senso che "i parametri aritmetici individuano soltanto di norma o, se si vuole, soltanto tendenzialmente il massimo indennizzo liquidabile relativamente a tutte le conseguenze personali e familiari patibili per ogni giorno di ingiusta detenzione, libero essendo il giudice di discostarsene, sia in meno sia in più, e non solo marginalmente, …dando, però, di quel discostarsi… congrua motivazione e ciò, ancora una volta, per far apprezzare, in una valutazione equitativa, l’equità" (Cass. 8.7.05 sez. IV).
Orbene, a tali principi, che questa Corte pienamente condivide, non si è attenuta la corte territoriale la quale, ai fini della determinazione del "quantum" da liquidarsi, non solo ha ritenuto di conglobare, senza possibilità di adattamento alcuno, una somma unitaria giornaliera, rapportata ai giorni di carcerazione sofferti, per ogni possibile voce di danno morale determinato dall’ingiusta detenzione, ma non ha in alcun modo motivato le ragioni delle proprie scelte, neanche con riferimento alla individuazione della somma liquidabile giornalmente, fissata in Euro 150,00, a fronte di quella di Euro 235,82 determinata dal parametro aritmetico, come individuato anche dalla sentenza delle S.U. del 9.5.01, sopra citata. Ulteriore elemento di illogicità deve rilevarsi anche nel contrasto tra la parte motiva del provvedimento, che quantifica l’indennizzo in 1.800,00 euro, ed il dispositivo dello stesso che lo riduce ad Euro 1.170,00.
L’ordinanza impugnata deve essere, in conclusione, annullata, con rinvio alla Corte d’Appello di L’Aquila affinché riconsideri il tema del "quantum" della liquidazione, tenendo globalmente conto non solo della durata della custodia cautelare, attraverso il corretto ricorso al criterio aritmetico, ma anche dell’eventuale presenza di circostanze che abbiano determinato nel soggetto particolari sofferenze dovute, ad esempio, alle modalità di privazione della libertà, agli effetti pregiudizievoli, personali, familiari, professionali e sociali che ne sono scaturiti, allo strepitus fori e simili; circostanze che, ove accertate, potrebbero giustificare una valutazione equitativa differenziata e più rispondente alle specifiche esigenze del caso. La stessa corte provvederà anche alla liquidazione delle spese dei diversi gradi di giudizio.

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla determinazione dell’indennizzo con rinvio, sul punto, alla Corte d’Appello di L’Aquila.
Così deciso in Roma, il 19 giugno 2006.
Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2007