1) in data 6 giugno 1996 era stata nominata amministratrice delle comunione R. R.S.; 2) all’esito di più solleciti provenienti dalla Curatela, in data 9 marzo 2009 era stata poi convocata assemblea dei comunisti per l’approvazione del rendiconto relativo agli anni 2007 e 2008; 3) tale rendiconto si rivelava particolarmente lacunoso, non indicando l’intero compendio immobiliare e limitandosi ad annotare i proventi dei "fitti" di alcuni immobili; 4) il Fallimento istante "non conosce praticamente alcunché della sua comproprietà" (così testualmente in ricorso); 5) il medesimo Fallimento istante non ha quindi approvato tale conto;
tutto ciò premesso, la Curatela del FALLIMENTO CERAMICA VIETRI MARE dei f.lli R.S. s.n.c. ha richiesto, espressamente invocando a sostegno l’art. 1105, co. 4°, c.c., di revocare R.R.S. dall’incarico di amministratrice della Comunione R.S. e di nominare quindi un amministratore giudiziale per la gestione del patrimonio comune.
Si noti in premessa come il fallimento della CERAMICA VIETRI MARE dei f.lli R.S. s.n.c. risulti dagli atti aperto dal 2003 e come il presente giudizio, intrapreso nel 2009, sia peraltro dichiaratamente volto al soddisfacimento dell’interesse della procedura concorsuale a conoscere l’esatta consistenza della proprietà dei falliti, il che fa temere che risultino tuttora attività non inventariate e quindi distaccate dalla massa fallimentare, in danno dei creditori.
E’ qui tuttavia del tutto pregiudiziale la verifica dell’ammissibilità della revoca dell’amministratore di comunione da parte dell’autorità giudiziaria su ricorso di un comunista, il che il FALLIMENTO CERAMICA VIETRI MARE fa richiamando l’art. 1105, co. 4°, c.c., ma presumibilmente supponendo un’applicazione analogica dello strumento camerale previsto per il condominio dall’art. 1129 co. 3°, c.c.
La risposta in punto di ammissibilità è pacificamente negativa, sia in dottrina sia nella scarsa giurisprudenza in tema (per un remoto precedente Trib. Roma, 24 maggio 1960, in Rep. Foro it. 1960, voce Comunione, n. 115).
Com”è noto, l’art 1105 c.c., prevede che tutti i partecipanti alla comunione hanno diritto di concorrere all’amministrazione della cosa comune. L’eventuale nomina di un amministratore, consentita dall’art. 1106 c.c., comma 2, non investe peraltro il medesimo di tutti i poteri di gestione e dei poteri di rappresentanza dei partecipanti, come avviene nel condominio ai sensi degli artt. 1130 e 1131 c.c.; l’art. 1106 c.c., infatti, prevede che con il conferimento della delega ad un amministratore devono essere definiti i poteri e gli obblighi dello stesso; ne consegue che solo con espresso conferimento del relativo potere, l’amministratore possa avere la rappresentanza dei partecipanti alla comunione. In mancanza di specificazioni, applicando le regole del mandato (art. 1708, co. 2°, c.c.) i poteri dell’amministratore di comunione devono pertanto intendersi limitati all’ordinaria amministrazione.
Per converso, l’intervento richiesto al giudice ai sensi dell’art. 1129, co. 3° cod. civ. ha carattere strumentale rispetto all’interesse generale e collettivo del condominio ad una corretta amministrazione. La norma appena indicata prevede alcune ipotesi tassative, in presenza delle quali è data la possibilità, anche al singolo condomino, di proporre al giudice l’istanza di revoca dell’amministratore mediante apposito procedimento camerale. In presenza di tre tassative ipotesi (violazione dell’obbligo di portare a conoscenza dell’assemblea condominiale le citazioni e i provvedimenti amministrativi il cui contenuto esorbiti dalle attribuzioni dell’amministratore; omesso rendiconto della gestione per due anni; esistenza di fondati sospetti di gravi irregolarità) si legittima così anche uno solo dei condomini a rivolgersi al giudice – anticipando la deliberazione dell’assemblea condominiale eventualmente inerte o persino in contrasto con una già espressa volontà della maggioranza dei condomini – per chiedere la rimozione dell’amministratore. La particolare gravità dei presupposti normativi di ammissibilità e la legittimazione anche individuale a proporre il ricorso conferiscono al procedimento in esame ed al conseguente provvedimento giudiziale il carattere di procedimento e di provvedimento tipicamente cautelari, avente un carattere eccezionale ed urgente, oltre che sostitutivo della volontà assembleare. Con l’ art. 1129 co. 3° c.c. è infatti attribuita al giudice una potestà di revoca altrimenti in via ordinaria esercitabile in ogni tempo dall’assemblea dei condomini (art. 1129, cod. 2° cod. civ.). Solo l’esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela, superiore rispetto a quello dei singoli condomini e dei diritti dell’amministratore, e finalizzata ad una corretta gestione dell’amministrazione condominiale, a fronte del pericolo di grave danno derivante da determinate condotte dell’amministratore, può giustificare un siffatto intervento del giudice, suscettibile di risolvere anzitempo il rapporto di mandato tra condomini ed amministratore, senza che, peraltro, si renda necessaria la partecipazione al giudizio del condominio o degli altri condomini. Da tale eccezionalità discendono pure le caratteristiche del procedimento, improntato a rapidità, informalità ed officiosità, in materia che di regola richiederebbe le garanzie del procedimento contenzioso, in quanto culminante in un provvedimento che incide sul rapporto di mandato tra condomini ed amministratore. L’eccezionalità della revoca ex art. 1129 co. 3° c.c. e quindi l’inapplicabilità dell’istituto tipico del diritto condominale alla comunione ordinaria discendono vieppiù dall’art. 111 Cost. in tema di giusto processo, atteso che la revoca statuita dal giudice camerale indice sui diritti dell’amministratore mandatario, e la tutela dei diritti e degli status si realizza in via ordinaria solo attraverso processi a cognizione piena, destinati a concludersi con sentenze ovvero con provvedimenti aventi attitudine al giudicato formale e sostanziale, e non già con procedimenti in cui le modalità del contraddittorio siano rimesse alla determinazione discrezionale del giudice.
Sarebbe chiaramente erronea l’affermazione secondo cui le norme che regolano l’amministratore dei comunisti, qualora assenti nel regolamento della comunione o nel provvedimento di nomina, debbano essere mutuate da quelle previste per il condominio, giacchè è nell’ambito delle disposizioni sul condominio che ricorre il principio (art. 1139 c.c.) secondo cui occorre fare riferimento alle regole della comunione per quanto non espressamente previsto nello specifico capo, mentre non ricorre un principio analogo e inverso per la comunione (Cfr. Cassazione civile , sez. II, 27 giugno 2007, n. 14826).
Di per sé, il ricorso all’autorità giudiziaria ex art. 1105 c.c. in sede di volontaria giurisdizione, come sperimentato dal Fallimento attore, presuppone per conto suo ipotesi tutte riconducibili ad una situazione di assoluta inerzia in ordine alla concreta amministrazione della cosa comune per mancata assunzione dei provvedimenti necessari o per assenza di una maggioranza o per difetto di esecuzione della deliberazione adottata; giammai, quindi, detta norma è applicabile per revocare l’amministratore nominato ai sensi dell’art. 1106, co. 2°, c.c. Come consiglia la migliore dottrina, in caso di irregolarità della gestione, ciascun comunista può piuttosto ricorrere all’assemblea e chiedere la revoca dell’amministratore. Se non si forma una maggioranza assembleare al riguardo, sarebbe allora possibile il ricorso del compartecipante a norma dell’art. 1105 c.c. , con conseguente ordine dell’autorità giudiziaria. Quando invece l’assemblea si tenga e decida di non procedere alla revoca dell’amministratore, il singolo comunista può procedere ad impugnare la delibera a norma dell’art. 1109 n. 1 c.c., se essa sia davvero pregiudizievole alla cosa comune. Nel caso in esame, peraltro, la tutela più immediata dell’interesse del Fallimento attore a conoscere l’entità dei beni e delle attività del patrimonio comune può essere perseguita o mediante impugnazione ex art. 1109 c.c. della delibera di approvazione del rendiconto o mediante esperimento dell’apposito procedimento di rendiconto di cui agli art. 263 e ss. c.p.c., appunto fondato sul presupposto dell’esistenza dell’obbligo legale o negoziale di una delle parti di rendere il conto all’altra, facendo conoscere il risultato della propria attività in quanto influente nella sfera di interessi patrimoniali altrui o, contemporaneamente, nella altrui e nella propria. Entrambi comunque opportunamente giudizi di cognizione piena di merito.
Consegue l’inammissibilità del ricorso ex art. 1105 c.c.
La domanda affrontata nel presente procedimento mantiene natura di volontaria giurisdizione e, pertanto, si sottrae all’applicabilità delle regole dettate dagli art. 91 ss. c.p.c. in materia di spese processuali, le quali postulano l’identificabilità di una parte vittoriosa e di una parte soccombente in esito alla definizione di un conflitto di tipo contenzioso. Ne consegue che le spese relative al procedimento in oggetto devono rimanere a carico dei soggetti che le abbiano anticipate assumendo l’iniziativa giudiziaria e interloquendo nel procedimento.

P.Q.M.
Il Tribunale di Salerno, pronunciando sul ricorso proposto dal FALLIMENTO CERAMICA VIETRI MARE dei f.lli R.S. s.n.c. nei confronti di R.S. ed altri,
dichiara inammissibile la domanda di revoca di R.R.S. dall’incarico di amministratrice della Comunione R.S. ex art. 1105, ultimo comma, c.c.
Salerno, 11 maggio 2010
Il Presidente
Dott. Antonio Valitutti
Il Giudice relatore
Dott. Antonio Scarpa