I ricorrenti, proprietari di due appartamenti posti all’ultimo piano di un condominio sito in omissis in Verona, nonché dei terreni di pertinenza esclusiva e delle rispettive quote di proprietà condominiale, chiedevano ai proprietari degli altri appartamenti di concedere loro il diritto di sopraelevazione con conseguente modifica della struttura e complessivo aumento della cubatura dell’intero stabile.
Con scrittura privata del 28 aprile 1993 gli altri condomini sottoscrivevano un atto di assenso alla sopraelevazione.
I ricorrenti chiedevano, quindi, le concessioni edilizie per realizzare la predetta sopraelevazione, corredando le domande con apposito progetto nel quale, però, venivano indicate alcune porzioni di terreno in modo difforme dalle risultanze catastali. Tale errore, secondo la prospettazione dei ricorrenti, non incideva né sulla superficie totale di terreno sul quale andava ad incidere l’aumento di cubatura, né sulla volumetria supplementare assentibile.
Con il provvedimento impugnato il Comune annullava le concessioni edilizie rilasciate ritenendole illegittime poiché la scrittura privata del 28 aprile 1993 sarebbe stata valida ai fini del trasferimento di volumetria solo in relazione al terreno di proprietà condominiale e non a quelli di proprietà esclusiva dei singoli condomini e la volumetria assentibile sul lotto condominiale era già stata interamente assorbita e superata dal volume del fabbricato, come esistente prima dell’ampliamento. Il Comune evidenziava, inoltre, che la sopraelevazione eseguita non aveva rispettato neanche le distanze dai confini con i mappali n. 51 e n. 67.
I ricorrenti deducono l’illegittimità del provvedimento impugnato:
1) per violazione e falsa applicazione della legge n. 1150/1942, nonché per eccesso di potere per contraddittorietà, per erroneità nell’accertamento dei presupposti di fatto poiché l’amministrazione comunale avrebbe operato un’incomprensibile distinzione circa la validità della scrittura privata del 28 aprile 1993, ritenendola idonea ai fini del trasferimento di volumetria per i terreni di proprietà condominiali e inefficace in relazione ai terreni di proprietà esclusiva dei singoli condomini, nonostante la giurisprudenza non richieda alcuna forma particolare per tale tipologia di atto. Il Comune, inoltre, avrebbe erroneamente preso in considerazione, per determinare la volumetria già asservita al fabbricato originario, quella residuante al condominio a seguito dei frazionamenti effettuati dopo la costruzione e in sede di attribuzione delle proprietà individuali ai singoli condomini e non, invece, l’area di pertinenza indivisa al momento della costruzione. Sulla scorta di tali considerazioni i ricorrenti ritengono che se il Comune di Verona avesse correttamente imputato il volume preesistente alla sopraelevazione a tutto il terreno sul quale il fabbricato originariamente insisteva, avrebbe concluso che erano ancora disponibili 0,27 mq per l’aumento di cubatura su una superficie complessiva di 817,93 mq. E, allora, una simile circostanza di fatto avrebbe tutt’al più potuto giustificare un annullamento parziale delle concessioni, ma sicuramente non l’annullamento integrale;
2) per eccesso di potere poiché la concessione edilizia rilasciata alla sig.ra D. De R. prevedeva non solo la sopraelevazione, ma anche la ristrutturazione dell’appartamento già esistente e, quindi, comprendeva anche opere rispetto alle quali non vi è ragione per l’annullamento del titolo abilitativo;
3) per falsa applicazione dell’art. 15 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Verona, nonché per eccesso di potere poiché la parte coperta della sopraelevazione risulta arretrata di circa tre metri rispetto al muro perimetrale dell’edificio, mentre la sopraelevazione considerata nel suo insieme (comprensiva del terrazzo) è stata realizzata sul confine con i mappali n. 51 e n. 67, dovendosi utilizzare come parametro per la misurazione della distanza tra fabbricati la proiezione al suolo della parte più sporgente. Ne discende, quindi, che, anche nella denegata ipotesi in cui fossero state violate le distanze tra fabbricati, l’amministrazione avrebbe dovuto procedere all’annullamento parziale e non totale della concessione, tenuto conto della facilità sul piano tecnico dell’eliminazione della parte di sopraelevazione realizzata in asserita violazione delle distanze;
4) per violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, nonché per eccesso di potere per carenza di motivazione giacché al momento dell’annullamento delle concessioni le opere assentite erano già state terminate da tempo (settembre 1995) e nei provvedimenti impugnati si dà atto dell’esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale apoditticamente prevalente rispetto agli interessi dei privati al mantenimento delle opere.
Il Comune di Verona, ritualmente costituito in giudizio, ha concluso per la reiezione del ricorso.
Successivamente i sigg.ri B. e De R., con autonomo ricorso, hanno impugnato l’ordinanza, emessa il 5 maggio 1997 dal Dirigente del Settore Edilizia Privata del Comune di Verona, con la quale è stata ingiunta la demolizione delle opere realizzate in base alle concessioni edilizie annullate deducendone l’illegittimità derivata per i vizi che inficiano l’annullamento già gravato, nonché per avere erroneamente qualificato i ricorrenti come comproprietari delle opere abusive.
Il Comune di Verona, ritualmente costituito in giudizio, ha concluso per la reiezione del ricorso.
Con ordinanza n. 1321 del 2 settembre 1997 il Collegio ha accolto la richiesta di misure cautelari, sussistendo il requisito del periculum in mora.
Alla pubblica udienza del 25 febbraio 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO
In via preliminare il Collegio dispone la riunione dei ricorsi, stante la loro evidente connessione soggettiva e oggettiva.
Occorre esaminare, in via preliminare, l’eccezione di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse determinata, secondo il Comune resistente, dall’adozione del provvedimento di rigetto della domanda di condono presentata dai ricorrenti nelle more del giudizio.
L’eccezione va disattesa poiché l’accoglimento del presente ricorso, proposto avverso l’annullamento in via di autotutela delle concessioni edilizie, ha un effetto maggiormente favorevole per i ricorrenti anche rispetto ad un eventuale esito positivo della domanda di condono. E, infatti, all’annullamento del provvedimento impugnato consegue la legittimità ex tunc delle opere realizzate in forza delle concessioni edilizie poi annullate, senza che i ricorrenti abbiano la necessità di pagare gli oneri e l’oblazione conseguenti all’accoglimento della domanda di condono. Ne discende, pertanto, che permane l’interesse dei ricorrenti alla decisione della presente controversia, a maggior ragione alla luce del diniego del condono richiesto.
Occorre, ora, esaminare in via prioritaria il ricorso proposto avverso il provvedimento di annullamento delle concessioni edilizie già rilasciate ai ricorrenti, in quanto atto presupposto dell’ordinanza demolitoria.
Il ricorso è fondato e meritevole di accoglimento per le seguenti ragioni.
Con il provvedimento gravato il Comune ha ritenuto che i dati catastali indicati nel progetto allegato alla domanda di concessione non corrispondessero alle mappe catastali e che in detto progetto venisse vincolata un’area per il calcolo della volumetria ammissibile secondo le norme del P.R.G. (pari a 817,93 mq) superiore rispetto a quella risultante dagli atti di proprietà e dall’atto di consenso dei condomini, con conseguente deficit fondiario di 568 mq..
Secondo l’Amministrazione comunale le concessioni edilizie rilasciate violano le N.T.A. dell’allora P.R.G. in quanto, essendo la superficie effettiva di pertinenza, quale risultante dagli atti di proprietà e di consenso dei condomini di mq. 568, la volumetria massima costruibile sarebbe stata di mc. 1704. Ora, siccome il fabbricato esistente prima dell’ampliamento era di mc. 2234.20 e, quindi, superava già la massima disponibilità fondiaria ammessa dal P.R.G., non sarebbe stato possibile assentire la sopraelevazione con aumento di cubatura, come di fatto è avvenuto con le concessioni oggetto di annullamento. La sopraelevazione, inoltre, non rispetta le distanze dai confini con i mappali n. 51 e n. 67, essendo stata realizzata a 3.15 ml anziché ai 5 ml., come prescritto dalle N.T.A. di P.R.G..
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione della legge n. 1150/1942, poiché l’amministrazione comunale ha operato un’incomprensibile distinzione circa la validità della scrittura privata del 28 aprile 1993, ritenendola idonea ai fini del trasferimento di volumetria per i terreni di proprietà condominiali e inefficace in relazione ai terreni di proprietà esclusiva dei singoli condomini, nonostante la giurisprudenza non richieda alcuna forma particolare per tale tipologia di atto.
Con la predetta scrittura privata, denominata "atto di assenso", i proprietari delle unità immobiliari ad uso residenziale dei piani rialzato e primo del fabbricato sito in via Luttazzi n. 42 concedevano ai ricorrenti, proprietari delle unità immobiliari costituenti il piano secondo ed ultimo, di sopraelevare l’edifico al fine di potere ottenere un sottotetto a mansarda abitabile, collegato direttamente alle loro unità. Contestualmente i ricorrenti si impegnavano ad eseguire i lavori solo previo rilascio di regolare concessione edilizia, a realizzare tutte le opere a loro spese e a regola d’arte, a mantenere l’accesso al tetto dal vano scale condominiale e a sostenere le eventuali spese notarili e di registrazione.
Orbene il trasferimento di volumetria da un fondo ad un altro è in funzione del vincolo edilizio connesso al rapporto area-volume di cui all’art. 41 quinquies, comma 8, della legge n. 1150/42.
Secondo l’orientamento della Corte di Cassazione, "la cessione di cubatura da parte del proprietario del fondo confinante, onde consentire il rilascio della concessione a costruire nel rispetto del rapporto area-volume, non necessita di atti negoziali ad effetti obbligatori o reali, essendo sufficiente l’adesione del cedente, che può esser manifestata o sottoscrivendo l’istanza e/o il progetto del cessionario; o rinunciando alla propria cubatura a favore di questi o notificando al comune tale sua volontà, mentre il c.d. vincolo di asservimento rispettivamente a carico e a favore del fondo si costituisce, sia per le parti che per i terzi, per effetto del rilascio della concessione edilizia, che legittima lo ius aedificandi del cessionario sul suolo attiguo"(Cass., 12.9. 1998, n. 9081; 22.2.1996, n. 1352).
La ricostruzione più attendibile della fattispecie, dunque, è quella di un contratto atipico ad effetti obbligatori, avente natura di atto preparatorio finalizzato al trasferimento di volumetria, che si realizza soltanto con il provvedimento amministrativo.
Aderendo al summenzionato orientamento la giurisprudenza amministrativa prevalente, dalla quale il Collegio non ravvisa valide ragioni per discostarsi, ritiene che il c.d. contratto di asservimento ben può costituire il presupposto del rilascio di una concessione edilizia che tenga conto del trasferimento di volumetria e che per detto trasferimento non siano necessarie forme particolari (cfr. Cons. St. sez V, 28.6.2000, n. 3637).
Afferma, inoltre, il Consiglio di Stato che alle esigenze di pubblicità provvede il certificato di destinazione urbanistica dell’area, che deve indicare "tutte le prescrizioni urbanistiche ed edilizie riguardanti l’area o gli immobili interessati" (art. 8, comma 9, d.l. n. 9/82 conv. dalla l. n. 94/82) e che deve essere allegato, a pena di nullità, a tutti gli atti tra vivi, sia in forma pubblica che in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni (art. 18, comma 2, l. n. 47/85).
Alla luce dei suesposti principi giurisprudenziali il Collegio non ritiene condivisibile l’iter logico seguito dal Comune di Verona secondo il quale l’atto di assenso sottoscritto dai condomini in data 28 aprile 1993, in quanto generico e privo dell’indicazione di specifici dati numerici, non sarebbe idoneo a integrare il consenso per l’asservimento dei terreni di proprietà esclusiva di ciascuno degli stessi, mentre sarebbe valido per il trasferimento di volumetria relativa ai terreni in proprietà condominiale. E, infatti, sulla scorta della richiamata qualificazione dell’atto di trasferimento di volumetria come contratto ad effetti obbligatori, senza oneri di forma o di pubblicità, non è dato comprendere per quale ragione l’atto del 28 aprile 1993 sarebbe sufficiente a trasferire la volumetria relativa alla proprietà condominiale e non alle proprietà esclusive dei singoli sottoscrittori.
Sotto il predetto profilo il primo motivo di censura appare meritevole di accoglimento.
Merita, inoltre, di essere evidenziato che appare, altresì, fondato anche il quarto motivo di ricorso con il quale i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 poiché, nonostante le opere fossero già state compiutamente realizzate e fossero passati circa tre anni dal rilascio delle relative concessioni, il Comune non ha adeguatamente motivato la prevalenza dell’interesse pubblico all’annullamento dei titoli abilitativi rispetto a quello dei privati al mantenimento delle opere.
Sull’argomento v’è, invero, da osservare che l’annullamento d’ufficio presuppone una congrua motivazione sull’interesse pubblico attuale e concreto a sostegno dell’esercizio discrezionale dei poteri di autotutela , con una adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell’interesse dei destinatari dell’atto al mantenimento delle posizioni che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall’amministrazione (cfr. Cons. Stato, VI,14.10.2004,n. 6656).
È appena il caso di aggiunge che tale principio, già enunciato dalla giurisprudenza amministrativa ha trovato da ultimo esplicito riscontro normativo nell’art. 14 della legge n. 15 del 2005, con il quale è stato introdotto l’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990.
Nel caso di specie l’annullamento delle concessioni in autotutela è intervenuto il 12.11.1996 ad oltre due anni dal loro rilascio e a lavori completati da oltre un anno (settembre 1995).
Merita, inoltre, di essere evidenziato che, ad avviso del Collegio, non è ravvisabile alcun comportamento antigiuridico dei destinatari, ma solo un errore nell’indicazione dei mappali riportati nel progetto.
Ne discende che il riesame della situazione fissata nelle concessioni edilizie del cui annullamento in autotutela qui si tratta non risulta assistito dalla dovuta, adeguata, ponderazione comparativa fra l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto e l’interesse privato a conservare, di tale atto, gli effetti.
Insufficiente, invero, si rivela il richiamo alla compromissione dell’ordinato assetto urbanistico – edilizio della zona che deriva dalla realizzazione della sopraelevazione in violazione dell’indice edificatorio e delle prescrizioni sulle distanze tra fabbricati e confini. E, infatti, tale richiamo non è di per sé solo idoneo a comprovare l’esistenza di uno specifico interesse pubblico alla rimozione dell’atto, diverso da quello al mero ripristino della legalità violata, e, comunque, la prevalenza di questo interesse sull’interesse del privato alla conservazione del titolo illegittimo, che viene solo tautologicamente affermata, senza che risulti dalla motivazione un’effettiva analisi comparativa della pluralità di interessi presenti nel procedimento.
A tal proposito va, infine, esaminata anche la questione relativa al legittimo affidamento maturato nei destinatari del titolo abilitativo in relazione al tempo intercorso dal rilascio del titolo illegittimo. Un chiaro difetto di motivazione si rileva nel provvedimento oggetto del presente giudizio, siccome adottato dall’Amministrazione nell’esercizio del potere di annullamento, laddove la frustrazione dell’affidamento ingenerato in capo ai destinatari non risulta in alcun modo presa in considerazione dall’Amministrazione, quantomeno per affermare che alcuna situazione di affidamento fosse da ponderarsi ai fini della necessaria comparazione con l’interesse pubblico sottostante all’incisione di dette posizioni, nel tempo già consolidate (cfr. Cons. Stato, VI,4.12.2006,n. 7102).
Sulla scorta delle predette argomentazioni il ricorso va, quindi accolto, restando assorbiti il secondo e il terzo motivo, con annullamento del provvedimento impugnato.
All’accoglimento del ricorso relativo all’annullamento in autotutela consegue l’accoglimento anche del ricorso numero R.G. 2442/1997, avente ad oggetto l’ordinanza di demolizione delle opere abusive, in quanto si tratta di atto meramente consequenziale ed esecutivo del primo.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione seconda, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sui ricorsi in premessa, li accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.
Condanna l’amministrazione resistente alla rifusione delle spese di lite in favore dei ricorrenti che liquida in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00), oltre IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2010 con l’intervento dei Magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente
Angelo Gabbricci, Consigliere
Marina Perrelli, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 05 MAG. 2010.