D.S.E. conveniva avanti alla Corte d’appello di Roma la P.C.M. per sentirla condannare al pagamento in proprio favore dell’equa riparazione dovutale a seguito dell’irragionevole durata di un processo, iniziato avanti alla Corte dei Conti dal proprio defunto marito V.M. e da lei proseguito. Resisteva alla domanda la P.C.M..
La Corte adita con decreto respingeva la domanda tenuto conto che:
a) la D.S. si era costituita in giudizio in proprio e non anche quale erede del defunto marito;
b) in relazione alla parte interessante la D.S. il giudizio presupposto era durato per due gradi meno di quattro anni;
c) la D.S. aveva atteso circa un anno prima di proporre appello avverso la decisione di primo grado. Per la cassazione del decreto della Corte d’appello propone ricorso D.S.E..
Resiste con controricorso la P.C.M..

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i tre motivi di ricorso la D.S. censura sotto diversi profili l’impugnato decreto, per il mancato riconoscimento del diritto alla percezione dell’equa riparazione, a seguito dell’irragionevole durata del processo svoltosi avanti alla Corte dei Conti iniziato dal marito e da lei proseguito.
Il ricorso è fondato, nei termini in prosieguo precisati. Si osserva che la Corte d’appello ha respinto la domanda della D.S. in quanto essendo il marito della ricorrente deceduto nel 1998, prima dell’entrata in vigore della L. n. 89 del 2001, non poteva ritenersi maturato in suo favore il diritto alla liquidazione dell’equa riparazione. Tale assunto si pone in contrasto con l’insegnamento contenuto nella sentenza della Corte di Cassazione SS.UU. 23.12.05 n. 28507 con la quale si è ritenuto che il diritto all’equa riparazione va retrodatato rispetto all’entrata in vigore della L. n. 89 del 2001, "coincidendo il fatto costitutivo del diritto attribuito dalla legge nazionale, con la violazione dell’ art. 6 della CEDU resa esecutiva in Italia con la L. n. 848 del 1955.
Di conseguenza se in capo al de cuius sia maturato, fino al momento del decesso, il diritto alla percezione dell’equa riparazione tale diritto si trasferisce automaticamente all’erede universale in quanto già entrato nel patrimonio del defunto, mentre ai sensi dell’art. 110 c.p.c. l’erede subentrerà nel processo presupposto, se ancora in corso, divenendone parte, sicchè inizierà a decorrere per lui, in proprio, un nuovo segmento processuale, idoneo, ricorrendone le condizioni di legge ad ingenerare stress o patemi d’animo, se la sua durata sarà connotata da irragionevolezza, ciò perchè non è possibile cumulare lo stress subito in vita dal de cuius con quello subito dall’erede, dando luogo ad un unico patema d’animo risarcibile con riferimento all’intera durata del processo presupposto unitariamente inteso. Il ricorso va quindi accolto l’impugnato decreto va cassato con rinvio al giudice di merito che nel valutare la domanda proposta dalla D.S. si atterrà agli indicati principi, tenendo altresì presente i parametri elaborati dalla Corte EDU in ordine alla durata ragionevole dei processi civili, dai quali è possibile discostarsi in base a ragionata motivazione. La liquidazione delle spese del giudizio di legittimità va riservata al giudice di rinvio.

P.Q.M.
accoglie il ricorso cassa l’impugnato decreto e rinvia alla Corte d’appello di Roma diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 aprile 2006.
Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2006