Con ricorso depositato il 14 giugno 2002 B.M., B. R. e M.G., quest’ultimo erede di M. F., convenivano in giudizio dinanzi alla Corte di Appello di Genova il Ministero della Giustizia al fine di ottenere l’equa riparazione per il danno patrimoniale e non patrimoniale conseguente all’indebito protrarsi del giudizio, promosso dai predetti B. e dalla F. dinanzi al Tribunale di Firenze con atto notificato il 22 giugno 1974 e non ancora definito, di opposizione alla determinazione dell’indennità di espropriazione relativa ad un terreno di loro proprietà, destinato all’ampliamento e ristrutturazione dell’ospedale di (OMISSIS).
Costituitosi il contraddittorio, con decreto del 24 gennaio – 19 marzo 2003 la Corte di Appello condannava il Ministero all’equa riparazione per il danno morale in favore di M. e B. R. nella misura di Euro 13.000,00 ciascuno e rigettava la domanda proposta dal M..
Osservava in motivazione la Corte di merito – per quanto in questa sede rileva – che, tenuto conto di ogni elemento di specie, ed in particolare dell’oggetto del contendere, delle questioni anche processuali trattate, del mutamento del quadro normativo introdotto con la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, del comportamento inizialmente attendista degli opponenti, la causa avrebbe dovuto definirsi in un tempo non superiore a quindici anni e che pertanto tutto il tempo eccedente tale durata doveva considerarsi non ragionevole e fonte di possibile danno.
Rilevava altresì che il danno patrimoniale, identificato dagli istanti nella differenza tra la somma che sarebbe stata liquidata nel vigore della normativa preesistente e quella che essi presumibilmente avrebbero ottenuto all’esito del giudizio sulla base delle norme in vigore, non poteva essere riconosciuto, postulando una pretesa siffatta non la liquidazione di un pregiudizio patito, ma un minore ed eventuale introito, non essendo il giudizio ancora definito e potendo il suo esito essere influenzato da una serie di variabili, e che d’altro canto le conseguenze del difetto di liquidità e la mora nel pagamento erano suscettibili di ristoro con il pagamento degli accessori. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per cassazione M. e B.R. deducendo un unico motivo illustrato con memoria. Ha resistito con controricorso il Ministero della Giustizia.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, anche in relazione alla nozione di danno patrimoniale di cui all’art. 1223 c.c., si censura il decreto impugnato per aver escluso la sussistenza del danno patrimoniale ai fini dell’equa riparazione sul rilievo che il giudizio sulla indennità di esproprio non era ancora definito. Si osserva al riguardo che il minor introito era evidente ancor prima della conclusione del processo e che d’altro canto la domanda di equa riparazione è ben proponibile anche in pendenza del processo cui si addebita la violazione del termine di durata ragionevole. Si deduce altresì che erroneamente si è escluso che detto minor introito integri un danno patrimoniale, quanto meno nella sua componente di danno emergente, atteso che se il processo avesse avuto una ragionevole durata i ricorrenti non avrebbero subito la decurtazione derivante dall’applicazione della legge sopravvenuta.
Il motivo di ricorso è infondato. Costituisce orientamento consolidato di questa Suprema Corte che il danno patrimoniale influente per l’attribuzione dell’equa riparazione, del quale la parte istante deve fornire la prova rigorosa, è quello provocato dall’eccessivo protrarsi dell’attesa della risposta alla domanda di giustizia e della definizione delle posizioni soggettive fatte valere in giudizio e che detto danno può essere ricollegato al ritardo nella definizione del processo solo se si ponga quale effetto immediato di tale ritardo sulla base di una normale sequenza causale.
Esso non si identifica pertanto nel danno patrimoniale – da inadempimento o da illecito extracontrattuale – di cui si controverte nella causa antecedente, il cui soddisfacimento dipende soltanto dall’esito di detta causa ed il cui ritardo pregiudizievole può essere fatto valere soltanto in quella sede (v. per tutte, di recente, Cass. 2005 n. 19999; 2005 n. 8603; 2005 n. 3118). Tale nesso causale non è chiaramente configurabile ove la perdita economica lamentata derivi da una sopravvenuta norma di legge che preveda una liquidazione della pretesa azionata in giudizio meno favorevole per l’interessato (nella specie la L. n. 359 del 1992, che all’ art. 5 bis ha stabilito nuovi criteri di calcolo dell’indennità di espropriazione), atteso che tali riflessi negativi conseguono unicamente alla scelta del legislatore di introdurre innovazioni con immediata operatività nei processi in corso, qualunque sia la ragione della loro persistente pendenza (v. sul punto Cass. 2005 n. 19499; 2004 n. 6071; 2003 n. 2382).
Tali principi risultano puntualmente applicati nel decreto impugnato, che ha negato potersi ricomprendere nel danno patrimoniale ai fini dell’equa riparazione il mancato guadagno derivabile dalla emananda sentenza che farà applicazione dei nuovi criteri di liquidazione dell’indennità.
La corretta esclusione del danno patrimoniale conseguente alla non ragionevole durata del processo rende chiaramente non pertinente il richiamo svolto dal difensore dei ricorrenti in sede di discussione alla recentissima sentenza della Grande Chambre della Corte europea del 29 marzo 2006, Scordino c. Italia, che dopo aver accertato la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione in ragione della inadeguatezza dell’indennità di espropriazione liquidata nel relativo giudizio di opposizione e dell’art. 6 1 della Convenzione ha condannato lo Stato italiano al pagamento di somme per il danno patrimoniale e morale.
AH’ esito della lite segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio di Cassazione, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 3.000,00 per onorario, oltre le spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 aprile 2006.
Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2006