Con decreto del 30.4.2002 la Corte di Appello di Roma rigettava il ricorso proposto da D.R.A. ai fini del riconoscimento dell’indennizzo ex L. n. 89 del 2001, in relazione al giudizio promosso da D.R.P. in data 24.5.1995 per ottenere l’indennità di accompagnamento quale invalida, giudizio nel corso del quale si costituiva quale erede D.R.A. a seguito del decesso della P., e che veniva definito il 2.4.2001.
In proposito la Corte rilevava che, "valutata la natura della causa e lo svolgimento di una consulenza tecnica" la durata del processo, apprezzata in sei anni per la posizione di D.R.P. ed in pochi mesi per quella di D.R.A., non sarebbe risultata irragionevole, e ciò in particolare tenuto conto della circostanza che, "avendo il ricorrente agito in qualità di erede della persona affetta da invalidità", non sarebbe stato configurabile a suo carico alcun pregiudizio, riferibile esclusivamente all’invalido direttamente interessato.
Avverso la detta decisione proponeva ricorso per Cassazione D. R.A., che con due distinti motivi denunciava violazione di legge in relazione all’affermata ragionevole durata del procedimento in esame, nonchè in ragione del negato riconoscimento all’erede del diritto all’indennizzo.
Resisteva con controricorso il Ministero della Giustizia, che chiedeva il rigetto del ricorso deducendone l’infondatezza.
La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 16.5.2006.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione D.R. ha denunciato violazione degli artt. 415, 420, 424, 445 c.p.c. in relazione all’affermata ragionevole durata del processo in questione, il cui primo grado di giudizio si era protratto per circa sei anni e quindi oltre i limiti mediamente stabiliti dalla Corte Europea, e ciò nonostante si trattasse di causa previdenziale per la quale è stabilito il rito del lavoro, ispirato ai principi di oralità, concentrazione e speditezza.
Con il secondo motivo il ricorrente ha poi lamentato violazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e art. 6 della Convenzione, con riferimento al negato riconoscimento del diritto dell’erede all’indennizzo, che si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza della Corte Europea sul punto.
Prendendo dapprima in esame quest’ultimo motivo, attesa la sua pregiudizialità rispetto al primo, si osserva che lo stesso è fondato.
In proposito occorre infatti rilevare che il diritto acquisito dal D.R. è quello "iure haereditatis", sicchè è al pregiudizio arrecato alla sua dante causa P. che occorre fare riferimento ai fini dell’indennizzo e non, come ha fatto la Corte territoriale, distinguendo gli archi temporali di durata riferibili a ciascuna delle due parti, per una valutazione separata dei relativi periodi.
Nè alcuna rilevanza in senso contrario può essere attribuita all’antecedenza dell’evento morte di D.R.P. rispetto all’entrata in vigore della L. n. 89 del 2001 che potrebbe astrattamente far dubitare della trasmissibilità di un diritto non ancora sorto nella sfera del "de cuius", e ciò in quanto la fonte del riconoscimento del diritto all’equa riparazione per la irragionevole durata del processo non deve essere ravvisata nella sola normativa nazionale, coincidendo il fatto costitutivo del diritto da essa attribuito con la violazione contenuta nell’ art. 6 della Convenzione Europea, ratificata e resa esecutiva in Italia con la L. n. 848 del 1955, e pertanto di immediata rilevanza nell’ordinamento interno. Ne consegue dunque che il diritto all’equa riparazione va riconosciuto agli eredi anche nell’ipotesi di decesso della parte verificatosi prima dell’entrata in vigore della L. n. 89 del 2001 (C. S.U. 2005/28507).
Conclusivamente deve essere pertanto accolto il secondo motivo di ricorso, mentre resta assorbito il primo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione per la determinazione del periodo di ragionevole durata alla luce del principio sopra indicato e l’eventuale riconoscimento dell’indennizzo richiesto.

P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, cassa e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2006.
Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2006