Con ricorso del 7 ottobre 2003 C.I. conveniva in giudizio dinanzi alla Corte d’Appello di Firenze la Presidenza del Consiglio dei Ministri per sentirla condannare al pagamento della somma dovuta a titolo di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo promosso dalla defunta madre B.M. dinanzi alla Corte dei Conti in data 9 marzo 1978 da lui riassunto il 19 febbraio 1996 e definito con sentenza del 19 febbraio 2003.
Con Decreto del 2/20 aprile 2004 la corte accoglieva la domanda e, calcolato in sedici anni e sette giorni il periodo di ritardo, condannava l’Amministrazione convenuta al pagamento della somma di Euro 5.000,00 a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale derivante dalla non ragionevole durata del processo.
Contro il Decreto ricorre per cassazione C.I. con due motivi.
Resiste la Presidenza del Consiglio dei Ministri con controricorso contenente ricorso incidentale affidato a due motivi.
Il ricorrente principale, ha depositato controricorso per resistere al ricorso incidentale.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi proposti contro il medesimo provvedimento.
Dev’essere quindi esaminato con priorità il ricorso incidentale attesa la natura delle censure articolate dall’Amministrazione.
Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, per l’omesso esame dell’eccezione di inammissibilità della domanda di e-qua riparazione a causa della sua proposizione oltre il termine di sei mesi dal momento in cui la decisione che ha concluso il procedimento nel cui ambito si sarebbe verificata la violazione del termine ragionevole di durata.
La censura è destituita di fondamento in quanto nella specie tale termine è stato pienamente osservato – come implicitamente ritenuto dall’impugnato Decreto – tenuto conto che ai fini della sua decorrenza deve farsi riferimento non già alla data di pubblicazione della sentenza, bensì al suo passaggio in giudicato, che nella specie non si era ancora verificato.
Non vale in contrario il richiamo alla affermazione secondo cui l’espressione "decisione definitiva" contenuta nella norma denunciata non coinciderebbe con quello di "sentenza passata in giudicato" in quanto essa indicherebbe il momento in cui il diritto azionato abbia trovato effettiva realizzazione (Cass. 22 ottobre 2002, n. 14885, citata in controricorso), poichè tale precisazione è stata effettuata unicamente per superare l’eccezione secondo cui il diritto all’equa riparazione non potrebbe esser fatto valere nei confronti del processo esecutivo o nei procedimenti camerali di durata non ragionevole, i quali, per sua natura, non si concludono con una sentenza; e pertanto, qualora il diritto all’equa riparazione si fondi, come nella specie, sulla durata non ragionevole di un processo di cognizione l’espressione "decisione definitiva che conclude il procedimento" non può non coincidere con il passaggio in giudicato della sentenza, non essendo conclusiva del procedimento una pronuncia suscettibile di impugnazione.
Col secondo motivo si denuncia la violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per aver il Decreto impugnato riconosciuto implicitamente la legittimazione attiva del C. fondandola sulla trasmissibilità iure hereditatis del diritto all’equa riparazione, privo di riconoscimento nell’ordinamento nazionale prima dell’entrata in vigore della L. n. 89 del 2001.
La censura non merita accoglimento poichè le Sezioni Unite, superando l’originario indirizzo restrittivo della giurisprudenza, hanno riconosciuto la legittimazione degli eredi alla proposizione del la domanda di equo indennizzo per l’eccessiva durata del processo instaurato dal loro dante causa prima dell’entrata in vigore della L. n. 89 del 2001 in base alla considerazione che il fatto costitutivo del diritto all’indennizzo attribuito dalla legge nazionale coincide con la violazione dell’ art. 6 della Convenzione per la Salvaguardia del Diritti dell’Uomo, norma di immediata rilevanza nel diritto interno (SS.UU. 23 dicembre 2005, n. 28507).
Passando quindi all’esame dei ricorso principale con i due motivi che, per la stretta connessione delle censure articolate, sono suscettibili di esame congiunto il C. censura il Decreto impugnato per aver liquidato a titolo di equa riparazione una somma complessiva di Euro 5.000,00 per un processo eccedente la durata ragionevole per un periodo di oltre sedici anni, scorporando, inoltre arbitrariamente, il periodo di durata ragionevole calcolato erroneamente in nove anni.
Le censure meritano accoglimento in quanto, non solo è stato calcolata erroneamente in nove anni la durata ragionevole di un giudizio dinanzi alla Corte dei Conti, ma l’equa riparazione concessa è stata liquidata, senza alcuna giustificazione, in termini assai lontani dai parametri osservati dalla Corte di Strasburgo sia con riferimento alla ragionevole durata del processo, sia con riferimento alla misura dell’equa riparazione, parametri che debbono ritenersi tendenzialmente vincolanti per il giudice nazionale al quale è consentito discostarsi solo motivatamente dai criteri interpretativi della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo da parte della giurisprudenza della Corte di Strasburgo (SS.UU. 26 gennaio 2004, n. 1340).
In conclusione, previo rigetto del ricorso incidentale, va accolto il ricorso principale e, conseguentemente, il decreto impugnato dev’essere cassato con rinvio della causa ad altro giudice il quale riesaminerà la domanda alla luce dei criteri osservati dalla giurisprudenza europea.
Al giudice di rinvio viene altresì rimessa la pronuncia sulle del giudizio di cassazione.
 
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso incidentale, accoglie il ricorso principale, cassa il Decreto impugnato e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione, cui rimette altresì la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2006.
Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2006