Con ricorso depositato il 3 maggio 2004 N., L. e G. P.F., in proprio e quali eredi di G.P.O., convenivano in giudizio dinanzi alla Corte d’Appello di Potenza il Ministero della Giustizia per sentirlo condannare al versamento di un equo indennizzo per i danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dalla non ragionevole durata di un processo di divisione ereditaria, nel corso del quale era stata proposta una querela di falso e un’istanza di sequestro giudiziario, instaurato da alcuni eredi di G.P.R., tra cui G.P.O., nonno dei ricorrenti, dinanzi al Tribunale di Lecce nel 1951 e definito con sentenza passata in giudicato solo in data 3 novembre 2003.
La Corte, con Decreto del 5-12 ottobre 2004, respinte le eccezioni preliminari dell’Amministrazione convenuta, rigettava il ricorso.
Osservava la Corte che i ricorrenti non avevano alcun diritto all’equa riparazione nella loro qualità di eredi di G.P. O., deceduto prima dell’entrata in vigore della L. n. 89 del 2001; che al momento del loro intervento nel giudizio di divisione, avvenuto nell’agosto del 1976, il processo di divisione doveva ritenersi praticamente concluso alla data del 24 maggio 1971 con la dichiarazione di esecutività del progetto di divisione di origine notarile e l’esaurimento delle operazioni divisionali; che il denunciato ritardo andava piuttosto imputato al processo per querela di falso introdotto in corso di giudizio; che i ritardi del processo di divisione derivavano da una serie di rinvii chiesti dalle parti in attesa del passaggio in giudicato della pronuncia sulla querela di falso; che l’ulteriore prosecuzione del processo di divisione era dovuta solo all’omologazione del progetto divisionale, alla liquidazione delle spese di custodia del compendio ereditario e alla liquidazione delle spese giudiziali, sicchè nessun danno poteva considerarsi derivante dal perdurare del giudizio divisorio per effetto della sua mancata sospensione mentre il diritto al ristoro del danno patrimoniale, consistente nel carico delle spese di custodia, doveva essere fatto valere nei confronti della controparte che aveva invocato il sequestro giudiziale e aveva proposto il giudizio per querela di falso.
Contro il decreto ricorre per Cassazione G.P.F. in proprio e nella qualità indicata in epigrafe con tre motivi.
Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 789, 790 e 791 cod. civ., artt. 194 e 195 disp. att. cod. proc. civ. e della l. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, e si sostiene che erroneamente il Decreto impugnato avrebbe affermato che il processo di divisione doveva considerarsi praticamente concluso al momento dell’intervento in causa dei ricorrenti poichè non era sufficiente la dichiarazione di esecutività del progetto divisionale, occorrendo al riguardo il decreto di approvazione del verbale dal quale risulti l’attribuzione in proprietà esclusiva ai coeredi delle quote loro rispettivamente assegnate, sicchè nella specie il compendio ereditario è rimasto in comproprietà indivisa sino al passaggio in giudicato della pronuncia che ha definito il processo di divisione ereditaria.
La censura merita accoglimento perchè la durata del processo va commisurata al tempo necessario per il concreto ottenimento del bene della vita dedotto in giudizio, il quale consiste, nel processo di divisione ereditaria, nella concreta disponibilità dei beni formanti oggetto delle quote rispettiva mente assegnate a ciascun coerede che consegue all’approvazione del processo verbale di attribuzione delle quote ai singoli coeredi (art. 195 disp. att. cod. proc. civ.).
Col secondo motivo si denuncia una ulteriore violazione delle medesime norme, nonchè degli artt. 225 e 295 cod. proc. civ., in quanto la pendenze del giudizio incidentale di falso non giustificava la sospensione necessaria del processo di divisione sicchè questo avrebbe dovuto necessariamente proseguire il proprio corso.
La censura, pur fondata in diritto, non può trovare accoglimento in quanto si infrange contro l’accertamento di fatto, immune da contestazioni, secondo cui la durata del processo divisionale si era protratta a causa di una serie di rinvii chiesti dalle parti in attesa della definizione del giudizio di falso e pertanto imputabili esclusivamente alla loro condotta processuale della quale non poteva non tenersi conto nella valutazione della durata del processo di divisione. Tale motivazione merita consenso alla luce dell’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte secondo cui ai fini dell’accertamento del termine ragionevole di durata del processo il Giudice dell’equa riparazione non può tener conto del dispendio temporale cagionato dalle richieste di rinvio delle parti poichè la parte che si senta danneggiata dal prolungamento del processo ben può opporsi al rinvio chiesto dalla controparte sicchè, se abbia consentito, anche implicitamente, alla richiesta di rinvio non può poi dolersene pretendendo di ascrivere il ritardo che ne è conseguito al mancato esercizio da parte del Giudice dei poteri di conduzione del processo e quindi di valutarlo in termini di irragionevolezza (Cass. 5 marzo 2004, n. 4512).
Con il terzo motivo si denuncia la violazione delle medesime norme per contestare il diniego della sussistenza del danno non patrimoniale in considerazione della avvenuta pratica definizione del processo con la dichiarazione di esecutività del progetto di divisione, avvenuta prima dell’intervento in causa dei ricorrenti.
La censura, avente un chiaro carattere subordinato, resta superata dall’accoglimento del primo motivo di ricorso che ne rende superfluo l’esame.
In conclusione, perciò, il ricorso merita accoglimento nei limiti meglio innanzi specificati e, conseguentemente, il decreto impugnato dev’essere cassato con rinvio della causa ad altro Giudice il quale – non essendo stata impugnata la statuizione relativa alla non spettanza iure ereditario dell’indennizzo per il danno non patrimoniale eventualmente maturato in favore di G.P. O. – provvedere a liquidare il danno spettante iure proprio ai ricorrenti conformandosi al principio di diritto secondo cui il processo di divisione ereditaria non può ritenersi definito sin quando non sia stato approvato il verbale di assegnazione delle quote ereditarie rispettivamente attribuite a ciascuno dei coeredi a norma dell’art. 195 disp. att. cod. proc. civ., non essendo sufficiente a tal fine la mera approvazione del progetto divisionale.
Al giudice di rinvio viene rimessa altresì la pronuncia sulle spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, rigetta il secondo, dichiara assorbito il terzo, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Potenza in diversa composizione, cui rimette altresì la pronuncia sulle spese del giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2007