Con ricorso depositato il 28.07.2004, L.A. adiva la Corte di appello di Salerno chiedendo che il Ministero della Giustizia fosse condannato a corrisponderle l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’ art. 6, sul "Diritto ad un processo equo", della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e della libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. del 4 agosto 1955, n. 848.
Con decreto del 25.11-15.12.2004, l’adita Corte territoriale, nel contraddittorio delle parti, accoglieva parzialmente la domanda e condannava l’Amministrazione della Giustizia a pagare alla L. la soma di Euro 6.000,00, a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale, nonchè alla rifusione della quota pari alla metà delle spese del procedimento, che compensava per la residua parte.
La Corte osservava e riteneva, tra l’altro:
– che la L. aveva riferito la domanda di equa riparazione del solo danno non patrimoniale alla durata del giudizio civile che, unitamente ad altri soci della Cooperativa edilizia Selene a r.l., aveva introdotto, con atto di citazione notificato nel gennaio del 1988, dinanzi al Tribunale di Catanzaro, nei confronti del presidente del sodalizio, dell’imprenditore edile e del direttore dei lavori, onde ottenerne la condanna al risarcimento dei danni patiti per vizi di costruzione del fabbricato sociale;- che tale giudizio era stato deciso in primo grado con sentenza del 20.07-4.11.1994, di accoglimento della domanda attorea nei confronti di due dei tre convenuti, sentenza avverso la quale erano ancora pendenti, dinanzi alla Corte di appello di Catanzaro, le impugnazioni, poi riunite, proposte dai soccombenti;
– che sino al deposito del ricorso per equa riparazione, il suddetto giudizio civile si era complessivamente protratto nei due gradi per 16 anni e 6 mesi e che trattavasi di un giudizio di complessità in certa misura superiore a quella ordinaria e più pronunciata della media, in relazione alle sue connotazioni strutturali (processo con una articolata pluralità di parti) ed alle questioni in concreto emerse, con l’esigenza di una non tenue attività processuale ed istruttoria, ivi compresi un accertamento tecnico preventivo e due consulenze tecniche d’ufficio, inerenti i dedotti danni di livello ragguardevole, di tal che avrebbe dovuto avere la ragionevole durata di anni otto; che, quindi detratto anche il tempo pari a due anni e sei mesi, ascrivibile al contegno della stessa ricorrente, in quanto correlato a rinvii – dalla Corte specificamente enucleati – dalla medesima chiesti o non avversati, il periodo di irragionevole ritardo potesse essere stimato in anni sei;
– che la riparazione pecuniaria del chiesto danno non patrimoniale, potesse stimarsi nella equa cifra di Euro mille per ciascun anno di ritardo, tenendo anche presenti sia i parametri europei, che i non tenui riflessi esistenziali, personali e familiari, correlabili al giudizio presupposto, concernente la fruizione della casa di abitazione;
– che in difetto della relativa domanda, l’importo complessivo di Euro 6.000,00 non potesse essere maggiorato degli interessi;
– che, avuto riguardo anche alle persistenti difficoltà interpretative poste dalla normativa applicata ed alla maggiore somma pretesa dalla ricorrente (Euro 30.000,00, ovvero il diverso importo ritenuto di giustizia) in rapporto all’esito del giudizio, le spese potessero essere compensate per la metà e poste a carico dell’Amministrazione soccombente per la residua parte, liquidata d’ufficio per l’intero, nel rispetto dei criteri di cui agli artt. 5 e 6 della T.P., salvo alle parti il compito di estrarre le percentuali di interesse, con il chiesto provvedimento di distrazione.
Avverso questo decreto la L. ha proposto ricorso per Cassazione, fondato su due motivi ed illustrato da memoria. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
A sostegno dell’impugnazione la L. deduce con il primo motivo "Violazione e/o falsa applicazione di Legge: L. n. 89 del 2001, art. 2, – artt. 6, 13 e 41 CEDU: artt. 1226 e 2056 cod. civ., – Determinazione quantum riparazione ex L. n. 89 del 2001:interpretazione del giudice europeo in casi analoghi – contraddittorietà e difetto della motivazione su punti decisivi della controversia".
La ricorrente lamenta in sintesi:a. carenza ed illogicità della motivazione sulla complessità del giudizio presupposto e sulla conseguente determinazione della relativa ragionevole durata in complessivi anni otto, "indipendentemente dalla specifica e concreta analisi …" del caso;b. vizi motivazionali in ordine all’operata detrazione dei tempi dei rinvii, asseritamente attuata senza rapportare i differimenti alla complessità del caso e senza accennare all’uso distorto del diritto di difesa;
c. l’esiguità dell’importo liquidato;d. la mancata attribuzione degli interessi;
La censura in tutte le sue articolazioni non ha pregio.
Per quanto concerne gli asseriti vizi motivazionali circa la quantificazione del ritardo irragionevole di durata, la doglianza appare inammissibile.
A fronte, infatti, di una ampia, puntuale e logica esposizione, quale in precedenza sintetizzata, degli specifici aspetti contenutistici e processuali della controversia, che, alla luce dei criteri di cui alla L. n. 689 del 2001, art. 2, comma 2, giustificavano l’attribuzione del grado di complessità superiore alla media, l’espunzione degli intervalli temporali correlati ad alcuni rinvii dilatori (in quanto "tesi a differire un’attività che avrebbe potuto e dovuto svolgersi nello stesso contesto temporale" – pag. 8 del decreto) chiesti o non avversati, e le conseguenti coerenti determinazioni in ordine ai tempi di definizione dei due gradi in cui il giudizio si era articolato, la ricorrente si limita ad una generica, astratta ed apodittica critica del "decisum", condotta in termini generali, avulsa dal richiamo alle concrete connotazioni del processo presupposto assumibili a contrasto e smentita delle rese valutazioni, oltre che priva della indicazione del contenuto della sua istanza e dei connessi riferimenti temporali relativi all’unico rinvio per esame della CTU, specificamente avversato (del 27.02.2000), nell’ambito di tutti quelli individuati dalla Corte.
D’altra pare, in tema di ragionevole durata del processo, i rinvii dovuti ad espresse richieste della parte ricorrente o dei suoi difensori, o da costoro accettati espressamente o non contestati, costituiscono circostanze di fatto la cui valutazione è rimessa al giudice di merito (2005/18589) ed ai fini dell’accertamento del termine ragionevole di durata del processo, correttamente il giudice dell’equa riparazione tiene conto in detrazione alla durata complessiva del processo, del dispendio temporale cagionato dalle richieste di rinvio delle parti, quale che sia la parte che abbia fatto istanza di differimento (2004/4512); laddove poi, nella specie, incensurate risultano anche le espresse ragioni per le quali la Corte non ha dato rilievo al mancato esercizio dei poteri officiosi tesi alla più celere definizione della controversia presupposta. Inoltre, l’entità della accordata riparazione del danno non patrimoniale, appare irreprensibile frutto di applicazione dello standard minimo CEDU, dal quale motivatamente la Corte di merito non ha inteso discostarsi in pejus e che nessun argomento del ricorso impone di derogare in melius.
Del pari irreprensibile alla luce del condiviso orientamento di questa Corte appare il diniego di attribuzione degli interessi legali, in ragione della mancata proposizione della relativa domanda (Cass. 2006/8712; 2000/1913).
Violazione e/o falsa applicazione di Legge: artt. 90 e 91 cod. proc. civ.; D.M. n. 127 del 2004, artt. 4 e 5 – Liquidazione onorari e competenze in misura inferiore alle tariffe Con il secondo motivo la ricorrente si duole dell’illogicità, incongruenza ed insufficienza della motivazione posta a fondamento della statuizione di compensazione per la metà delle spese processuali del giudizio di merito. Lamenta, inoltre, che la attuata liquidazione delle spese processuali viola i minimi tariffari di cui al rubricato D.M..
La censura – che non verte sulla disposta distrazione, per cui la parte è legittimata all’impugnazione (Cass. 2005/20321; 2006/412) – deve essere disattesa.
La valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella, testualmente ricorrente nella fattispecie, della sussistenza di giusti motivi. In tale ultimo caso la pronuncia sulle spese diventa censurabile in cassazione solo se accompagnata da ragioni palesemente o macroscopicamente illogiche, inficianti il processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto (2006/9262). Nella specie tale evenienza non si è avverata dal momento che già dalla stessa pronuncia emergono i recenti orientamenti giurisprudenziali evolutivi in tema, oltre che la sensibile riduzione dell’indennizzo chiesto dalla parte, seppure in termini non vincolanti, rispetto a quello accordato, il che, pur non integrando il presupposto della soccombenza reciproca o parziale, ben può essere apprezzato per l’eventuale compensazione totale o parziale delle spese (Cass. 2006/2532).
Quanto invece al profilo della censura concernente l’entità degli importi dalla Corte liquidati a titolo di onorari e competenze, pur in assenza di nota spese, sulla base della cennata Tariffa professionale e con riferimento alla natura camerale della procedura, la doglianza è inammissibile, la prospettazione sottintendendo erroneamente che la liquidazione in argomento sia stata operata includendovi anche la parte oggetto della disposta compensazione parziale. Dal tenore della pronuncia si evince, invece, che la Corte territoriale nella liquidazione si è limitata a quantificare per intero (1/1) solo la quota residua non compensata, pari al 50 % del totale, senza poi procedere all’ulteriore suddivisione correlata alle percentuali di interesse di ciascuno dei due difensori antistatari, lasciata all’iniziativa dei professionisti.
Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna della L. soccombente alla rifusione delle spese processuali sostenute nel presente giudizio di legittimità dalla amministrazione controricorrente e liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare all’Amministrazione della Giustizia le spese del giudizio di cassazione, spese che liquida nella complessiva somma di Euro 900,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2007