1. Con ricorso depositato in data 12 aprile 2002, G.N. propose innanzi alla Corte d’appello di Perugia domanda di equa riparazione dei danni che assumeva subiti per la eccessiva durata di un processo da lui instaurato con ricorso depositato il 16 febbraio 1998 davanti al Pretore di Frosinone per ottenere la condanna dei convenuti al pagamento in suo favore della somma di L. 14.765.742, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria, a titolo di differenze retributive (in una fattispecie di appalto di mano d’opera per lavori ferroviari di alta velocità): processo interrotto alla udienza del 2 aprile 2001 per intervenuto,fallimento di uno dei convenuti e non riassunto.
2. La Corte d’appello di Perugia, con decreto depositato in data 14 novembre 2003, rigettò la domanda, rilevando che il processo presupposto doveva ritenersi estinto per la sua mancata riassunzione nel termine di sei mesi, e, quindi, in data 17 novembre 2001, sicchè esso era durato complessivamente circa tre anni e nove mesi.
Peraltro, parte della durata del processo era addebitabile al ricorrente: in particolare, era allo stesso imputabile il rinvio dal 30 ottobre 1998 al 21 maggio 1999, dovuto alla circostanza che egli aveva omesso di notificare il ricorso introduttivo del processo presupposto ad alcuni dei convenuti, litisconsorzi necessari, nonchè quello dal 12 ottobre 2000 al 5 aprile 2001, richiesto dal difensore per il suo dedotto impedimento a partecipare all’udienza. Ne conseguiva che la durata complessiva del processo andava fissata in due anni e tre mesi, ed era pertanto da ritenere ragionevole in relazione ai parametri fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
3. Per la cassazione di detto decreto ricorre il G. sulla base di un unico motivo. Non si è costituito nel giudizio l’intimato Ministero della giustizia.
MOTIVI DELLA DECISIONE
l. Con l’unico, articolato motivo di ricorso, si deducono: "errori materiali, di valutazione, omissioni, violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 6, p. 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, insufficiente motivazione". Si rileva che il decreto impugnato ha imputato al ricorrente rinvii addebitabili invece allo Stato italiano. Nessun rinvio sarebbe stato richiesto dal ricorrente dal 12 ottobre 2000 al 10 gennaio 2001, periodo durante il quale lo stesso sarebbe stato impossibilitato a proseguire il processo per motivi imputabili all’ufficio. Ed anche l’addebito al ricorrente del rinvio dal 30 ottobre 1998 al 21 maggio 1999 sarebbe frutto di una valutazione erronea, essendo lo stesso imputabile, invece, allo Stato italiano; ciò in quanto la disposizione dell’art. 415 c.p.c., comma 2 e 3, prevede il termine di sessanta giorni tra il giorno del deposito del ricorso e quello di discussione della causa: sicchè il rinvio per la notifica del ricorso introduttivo del processo presupposto – tra l’altro, svoltosi con il rito del lavoro, che dovrebbe essere improntato alla speditezza, oralità è concentrazione – ai litisconsorti necessari avrebbe dovuto rispettare il predetto termine, e, perciò, non superare la data del 30 dicembre 1998. Conseguentemente, il ritardo addebitatile allo Stato italiano nella fissazione della data della nuova udienza sarebbe pari a 143 giorni. Inoltre, durante il periodo intercorrente tra il deposito del ricorso, avvenuto in data 16 febbraio 1998, e l’udienza finale del 5 aprile 2001, si era tenuta una sola udienza istruttoria, in data 16 maggio 2000. Il ricorrente denuncia che, senza le lamentate lungaggini, avrebbe potuto ottenere una pronuncia prima che la controparte venisse dichiarata fallita.
2. Il ricorso è infondato.
3.1. La L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, in tema di equa riparazione per la durata irragionevole del processo, espressamente impone di tener conto anche del comportamento delle parti nel valutare il rapporto tra la complessità della causa ed il tempo occorso per la sua definizione. Non è, perciò, configurabile alcun errore di diritto nel fatto in se che la Corte d’appello abbia vagliato se, ed in guai misura, i rinvii nella trattazione della causa siano stati influenzati da scelte processuali della parte. La relativa valutazione è frutto di accertamenti in fatto, che competono unicamente alla Corte territoriale, e costituisce perciò esplicazione di un giudizio di fatto, che, come tale, si sottrae a possibili censure in sede di legittimità, ove non è consentito procedere ad un esame diretto della documentazione versata in atti e delle risultanze del processo, nè dunque rivedere i giudizi di merito al riguardo formulati dalla Corte d’appello, ove congruamente e logicamente motivati.
3.2. Nella specie, il giudice di merito ha addebitato al comportamento della parte il rinvio del processo presupposto dal 30 ottobre 1998 al 21 maggio 1999, determinato dalla esigenza di provvedere alla notifica del ricorso introduttivo del giudizio stesso ai litisconsorti necessari pretermessi, e, pertanto, correttamente ha tenuto conto, ai fini del computo della durata del processo stesso, del dispendio temporale cagionato da detta omissione, senza che assuma rilievo in contrario – come, invece, auspicato dal ricorrente – la circostanza del presunto mancato rispetto, da parte del giudice, nella fissazione della udienza di rinvio, del termine di sessanta giorni dal deposito del ricorso, indicato, invero, dall’art. 415 c.p.c., ai fini della fissazione della udienza di discussione della causa, e, comunque, avente natura ordinatoria e funzione sollecitatoria.
3.3. – Quanto all’ulteriore segmento temporale detratto dalla Corte dalla durata complessiva del processo presupposto, corrispondente, nella prospettazione della stessa Corte, al rinvio richiesto dal legale del ricorrente per essere impossibilitato a partecipare alla udienza nel giorno fissato, non vi è ragione di ritenere sussistente, a fronte delle precise argomentazioni della Corte, dichiaratamente fondate sull’esame dei verbali di causa, l’errore lamentato dal ricorrente, che assume non essere stato richiesto alcun rinvio tra il 12 ottobre 2000 e il 10 gennaio 2001. Al riguardo, a prescindere dal rilievo che l’arco temporale individuato dalla Corte come quello corrispondente al periodo di inattività processuale dovuto al rinvio richiesto dalla parte risulta più ampio di quello cui fa riferimento il ricorrente, ricomprendendo anche tutto il periodo dal 10 gennaio 2001 al 5 aprile 2001, va osservato che quest’ultimo non adduce alcun serio elemento di contestazione dell’affermazione della Corte di merito relativa all’addebitabilità a se stesso del rinvio in questione, limitandosi ad una generica dichiarazione di essere stato impossibilitato, nel periodo in questione, a proseguire il processo "per motivi imputabili all’ufficio": motivi non meglio specificati e tanto meno documentati.
Nè, infine, a fronte delle doglianze del ricorrente, può sottacersi la circostanza della mancata riassunzione del processo ad opera del ricorrente, a seguito della interruzione dello stesso per l’intervenuto fallimento di uno dei convenuti, con la conseguenza della estinzione del processo.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato. Non v’è luogo a provvedimenti sulle spese del presente giudizio, non avendo il Ministero della giustizia, intimato, svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 6 aprile 2006.
Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2006