C. e V.A., con ricorso del 17 giugno 2003, chiedevano alla Corte di appello di Brescia di condannare il Ministero della Giustizia, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, a corrispondere l’equa riparazione dei danni da loro subiti per la durata eccessiva e irragionevole di due procedure esecutive cui avevano partecipato e che dovevano considerarsi un unico processo iniziato nel 1995.
Deducevano di avere iniziato azione esecutiva dapprima in via individuale davanti al Tribunale di Trieste e successivamente in via concorsuale davanti alla sezione fallimentare del Tribunale di Monza, per la riscossione di un loro credito di complessive L. 668.302,108 in linea capitale, e che la durata di tali azioni aveva violato l’ art. 6 n. 1 della Convenzione sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata in Italia con L. 4 agosto 1955, n. 848 (da ora Convenzione).
Affermavano in particolare di avere iscritto, sulla base di due decreti ingiuntivi del Tribunale di Milano non opposti, due ipoteche giudiziali su un immobile del debitore Guido Bonaventura, sito in Trieste, e di essere intervenuti nell’ottobre 1995 nella procedura esecutiva relativa a tale bene davanti al Tribunale di quella città, la quale, dopo l’udienza di comparizione delle parti del 12 giugno 1996 rinviata di ufficio al 25 febbraio 1998, era stata dichiarata estinta con provvedimento del 27 ottobre 1999.
L’estinzione era stata determinata dal fatto che il curatore del fallimento non aveva voluto sostituirsi agli istanti nell’esecuzione individuale, dopo che il Tribunale di Monza aveva dichiarato il fallimento del debitore B.G. il (OMISSIS) e aveva ammesso in via privilegiata al passivo i crediti di V. C. per L. 568.592.084 e quelli di entrambi gli istanti per L. 222.611.724.
Poichè l’immobile di cui sopra era l’unico bene del debitore e dalla sua vendita in sede fallimentare del 22 marzo 2000 era stato ricavato un importo insufficiente a soddisfare i crediti dei ricorrenti V., questi affermavano che la lunghezza della procedura esecutiva di cui sopra aveva loro cagionato un danno patrimoniale, corrispondente all’ammontare dei crediti insoddisfatti o da liquidare equitativamente a titolo riparazione ex lege n. 89 del 2001. Il Ministero convenuto si costituiva ed eccepiva la incompetenza della Corte d’appello di Brescia, in ordine alla violazione della durata della procedura svoltasi dinanzi al Tribunale di Trieste, da ritenere distinta da quella svoltasi a Trieste; tale eccezione era accolta dall’adita Corte di merito, che affermava che, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 1 e art. 11 c.p.c., di tale ultima domanda, per l’autonomia del giudizio di Trieste che aveva leso il diritto dei V. al giusto processo, poteva conoscere la sola Corte d’appello di Bologna, in base alla tabella allegata alla L. n. 420 del 1998.
Con decreto del 19 novembre 2003, la Corte d’appello di Brescia, negato che la procedura individuale fosse confluita in quella fallimentare e fosse stata assorbita da quest’ultima, in quanto il curatore del fallimento non aveva voluto sostituirsi ai creditori istanti, ai sensi della L. Fall., art. 107, nel processo dinanzi al Tribunale di Trieste, rilevava che questo era stato dichiarato estinto per effetto dell’apertura della procedura esecutiva concorsuale in sede di fallimento.
Solo ove vi fosse stata prosecuzione dell’esecuzione individuale dal curatore si sarebbe avuta un unica azione, mentre la scelta di questo che aveva provocato la estinzione della procedura aperta dinanzi al Tribunale di Trieste, aveva comportato la chiara distinzione di tale giudizio da quello svoltosi innanzi al Tribunale fallimentare di Monza. Solo in rapporto ai danni conseguenti alla durata della procedura fallimentare svoltasi a Monza, l’adita Corte poteva pronunciarsi, dovendo negare l’eccessiva durata del procedimento, dal 1997 al 2000, per una procedura complessa come quella cui avevano partecipato gli istanti ai quali nessuna equa riparazione spettava per detto processo. Per la cassazione di tale decreto, ricorrono C. e V.A. con unico motivo e il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. L’unico motivo di ricorso denuncia violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3 e art. 11 c.p.p. come modificato dalla L. 2 dicembre 1998, n. 420, in relazione all’art. 360 c.p.c., n.ri 2 e 3 per avere la Corte d’appello di Brescia erroneamente affermato la propria incompetenza per uno dei due procedimenti di cui si lamentava l’irragionevole durata su cui poteva avere cognizione solo la Corte d’appello di Bologna. Erroneamente si è affermata la esistenza di due diverse procedure tra loro autonome, quella fallimentare di Monza e quella esecutiva di Trieste, anzichè rilevare un unico procedimento nato come esecuzione individuale presso il Tribunale di Trieste e assorbito nella procedura concorsuale pendente davanti al Tribunale di Monza.
Affermano i ricorrenti che per la dottrina e la giurisprudenza, la L. Fall., artt. 51 e 107 comportano assorbimento dell’esecuzione individuale in quella concorsuale, proseguendo la prima nella seconda, mentre la Corte bresciana nega questa realtà giuridica e di fatto. Comunque è errata la statuizione della Corte d’appello adita che non ha considerato unitariamente la vicenda processuale conclusasi dinanzi al Tribunale di Monza, dichiarandosi competente sulla stessa.
2. Come chiarito da questa Corte,"nell’ipotesi in cui, prima della dichiarazione di fallimento, sia stata iniziata da un creditore l’espropriazione forzata di uno o più immobili del fallito, a norma della L. Fall., art. 107, il curatore si sostituisce al creditore istante e tale sostituzione opera di diritto, senza che sia necessario un intervento da parte del curatore o un provvedimento di sostituzione da parte del giudice dell’esecuzione; pertanto, nell’ipotesi in cui il curatore ritenga di attuare altre forme di esecuzione, la procedura individuale, non proseguita per scelta del curatore stesso, unico legittimato ad agire, nè proseguibile, ai sensi della L. Fall., art. 51, dal creditore istante, diventa improcedibile, ma tale improcedibilità non determina la caducazione degli effetti sostanziali del pignoramento, giacchè nella titolarità di quegli effetti è già subentrato automaticamente e senza condizioni il curatore, a norma dell’ art. 107 legge citata". (Cass. 3 dicembre 2002 n. 17109, 24 settembre 2002 n. 13865 e 15 aprile 1999 n. 3729).
Appare evidente, che, se il curatore subentra nella medesima posizione sostanziale del creditore istante in sede di procedura individuale, egli può anche procedere esecutivamente in altre forme e con la procedura concorsuale, come è accaduto nel caso, proprio perchè i due procedimenti proseguono separati, ben potendo l’azione esecutiva individuale estinguersi per inattività dell’unico legittimato a proseguirla, cioè del curatore stesso, come è accaduto nel caso.
Mancando il preteso assorbimento della procedura individuale in quella fallimentare viene meno il presupposto di fatto per il quale unico giudice competente a decidere della durata eccessiva di due distinti procedimenti, svoltisi separatamente dinanzi a due diversi Tribunali, debba essere un’unica Corte d’appello, quando in effetti la tabella A di cui alla L. n. 420 del 1998, individua come dotati di competenza territoriale inderogabile per i processi di durata irragionevole svoltisi nel distretto di Trieste, la Corte d’appello di Bologna, e per quelli, pendenti o conclusi, nel territorio della Corte d’appello di Milano, la Corte di Brescia.
Esattamente l’adita Corte territoriale ha considerato diverse e distinte le procedure esecutive, individuale e collettiva, svoltesi rispettivamente a Trieste e a Monza, ritenendosi competente solo per quest’ultima ed escludendo di poter conoscere della pretesa violazione della soglia di ragionevole durata del processo da parte dei giudici triestini, considerato autonomo rispetto a quello fallimentare di Monza.
Il ricorso deve quindi rigettarsi e il ricorrente dovrà rimborsare le spese di questa fase al Ministero controricorrente nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare al controricorrente le spese di questa fase che liquida in Euro 1000,00, per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 29 settembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2006