P.G. ricorre per cassazione avverso il decreto in data 7 giugno 2004, con il quale la Corte d’Appello di Torino ha respinto la domanda di equo indennizzo L. n. 89 del 2001, ex art. 2 da lui presentata, in proprio e nella qualità di erede di P.P., in ragione del danno che assumeva derivato dalla irragionevole durata (in violazione dell’ art. 6, P. 1, della C.E.D.U.) del procedimento fallimentare " M.T.", nel quale il genitore (poi deceduto il (OMISSIS)) aveva insinuato nel marzo 1990 un proprio credito di L. 47.230.273 e che tuttora pendeva innanzi al Tribunale di La Spezia.
Il Ministero della Giustizia resiste e propone, a sua volta, ricorso incidentale.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. L’impugnazione del P. si compone di due mezzi, con i quali, rispettivamente, si addebita alla Corte torinese:
a) in via principale, di avere "incredibilmente omesso di considerare ed applicare alla fattispecie il precedente specifico della CEDU, VENTURI c. ITALIA, con il quale, su ricorso di altro creditore nel medesimo fallimento " M.", la durata di quella procedura era stata considerata eccedente, di ben setti anni, rispetto a quella ragionevole, già alla data del 2000;
b) "In via di moro subordina", di avere, comunque, erroneamente e immotivatamente escluso l’irragionevole protrazione della procedura in questione, omettendo tra l’altro di considerare che i ritardi ingiustificati del contenzioso connesso al fallimento, e su di esso rifluente, e quello comunque dipendente dal comportamento del curatore e degli altri suoi ausiliari andava in ogni caso addebitato a disfunzione del sistema giustizia.
2. Con il ricorso incidentale condizionato del Ministero, si addebita, sotto altro (e logicamente preliminare) profilo, alla Corte di merito di non avere respinto la domanda del P.G. "per non essere nel patrimonio ereditato dal genitore deceduto prima dell’entrata in vigore della L. n. 89 del 2001 cit. il diritto da lui fatto valere" e, quanto al periodo successivo al marzo 2001, per non essere (esso attore) parte formale del procedimento della cui eccessiva durata egli si duole.
3. I due ricorsi in quanto proposti contro lo stesso decreto, vanno preventivamente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
4. L’eccezione di carenza di legittimazione attiva di cui al ricorso incidentale del Ministero, ancorchè formulata in via condizionata, va esaminata con carattere di priorità, per il suo carattere logicamente pregiudiziale e per la sua attinenza a questione comunque rilevabile anche d’ufficio.
La riferita eccezione non è fondata per quanto attiene alla pretesa formulata dal P. "iure hereditario", per la ragione, che, contrariamente a quanto dedotto dall’Avvocatura, il decesso del dante causa in data anteriore alla entrata in vigore della cd. Legge Pinto non è ostativo alla trasmissibilità all’erede del diritto maturato dal de cuiuS per l’eccessiva protrazione di un processo da lui introdotto anteriormente alla data stessa, come di recente affermato dalle Sezioni unite con la sentenza n. 28507/06, alle cui argomentazioni sul punto direttamente si rinvia.
Mentre, per quanto attiene, alla domanda di equo indennizzo avanzata dall’erede "iure proprio" in relazione all’ulteriore decorso della medesima proceduta già irragionevolmente protrattasi nei confronti del suo dante causa, deve escludersi che egli ne abbia titolo ove non abbia formalmente, a sua volta, in quella assunto qualità di parte.
Solo, del resto, a partire dal momento dell’assunzione di una tale qualità potendo calcolarsi ex novo, nei confronti dell’erede/parte, l’eventuale maturazione di una ulteriore ed autonoma eccedenza di durata del processo stesso ai fini dell’indennizzo in parola, non essendo evidentemente sostenibile che l’erede – oltre che nel diritto patrimoniale già maturato dal de cuius – subentri anche nel patema d’animo o nell’ansia da aspettativa della decisione del medesimo, sicchè questa si perpetui e continui in lui (come sembra presupporre il P.) dal momento stesso della sua costituzione nel giudizio in questione.
In questi limiti risulta, quindi, invece, fondato il ricorso incidentale.
5. Il primo motivo della impugnazione principale, nel quale resta assorbito il successivo secondo e subordinato suo mezzo, è fondato.
In relazione ad analoghe fattispecie di giudizi indenni tari ex L. n. 89 del 2001, promossi da creditori ulteriori rispetto a quelli nei cui confronti fosse stata già riconosciuta dalla Corte europea l’irragionevole protrazione, oltre una certa data, della medesima procedura fallimentare (cfr. sent.za n. 8259/04 e sent.ze nn. 15475, 13181, 13175 relative allo stesso fallimento " M.", di cui qui trattasi), questa Corte ha avuto già, infatti, occasione di precisare che, se pur le sentenze della Corte di Strasburgo, in tema di interpretazione ed applicazione dell’ art. 6, P. 1, della CEDU, non hanno efficacia vincolante per il giudice italiano, ciò non di meno esse costituiscono la prima e più importante guida ermeneutica per tale giudice (così anche Cass., 19 novembre 2002, n. 16262; v. anche Cass., 26 luglio 2002, n. 11046, in motivazione, e Cass., sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1338, 1339, 1340), il quale dunque deve farsi carico del contenuto di quelle decisioni, eventualmente esponendo i motivi in base ai quali – e in relazione alle circostanze del caso concreto – ritiene di dover pervenire ad un risultato ermeneutico diverso.
E ciò a maggior ragione quando identiche siano – come nella specie – le premesse di fatto del precedente della Corte europea rispetto a quelle che sia chiamato a valutare il giudice nazionale; venendo, in tal caso, in ancor più peculiare rilievo il ruolo di giudice della verifica e della chiusura della adeguatezza della tutela nazionale da riconoscere alla Corte europea.
Ciò premesso, è pur vero che il decreto impugnato non ha formalmente ignorato il precedente della Corte di Strasburgo, invocato dal ricorrente, reso in relazione al medesimo fallimento " M.".
Ma, in motivazione del suddetto provvedimento, la Corte torinese non ha dato, in realtà, adeguatamente conto – come avrebbe viceversa dovuto – della radicale sua difformità di valutazione rispetto a quel precedente (sbrigativamente considerato come prescindente della concretezza del caso di specie), con ciò, appunto, sostanzialmente eludendo la (peculiare, per quanto detto) valenza ermeneutica della sentenza della Corte europea.
6. Il decreto impugnato va, pertanto, cassato in relazione ad entrambe le censure come sopra accolte con il conseguente rinvio della causa alla stessa Corte di Torino, anche per i provvedimenti in ordine alle spese di questo giudizio di Cassazione.

P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il primo motivo (con assorbimento del secondo) del ricorso principale e, per quanto di ragione, il ricorso incidentale; cassa il decreto impugnato, in relazione e nei limiti delle censure accolte, e rinvia, anche per le spese, alla stessa Corte di appello di Torino in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2006