Con ricorso depositato il 16.9.2004, M.L. chiedeva che la Corte di Appello di Napoli, previo accertamento della violazione dell’ art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo, disponesse la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento dell’equa riparazione del danno subito in conseguenza del fatto che i due procedimenti in materia pensionistica instaurati con distinti ricorsi presentati, rispettivamente, il 30.10.1979 e l’11.11.1980 erano stati definiti, previa riunione, con sentenza della Corte dei Conti, Sezione Regionale della Campania, depositata l’11.3.2003.
Si costituiva in giudizio l’Amministrazione convenuta, resistendo alla pretesa avversaria.
Il Giudice adito, mediante decreto emesso l’11.1.2005, pubblicato il 10.2.2005, dichiarava improponibile la domanda, assumendo che quest’ultima risultasse intempestiva, in quanto esperita con ricorso depositato appunto il 16.9.2004, ovvero oltre il termine di sei mesi dalla data in cui la richiamata sentenza della Corte dei Conti era divenuta definitiva, tenuto conto del fatto che il termine per impugnare le decisioni di tale Giudice decorre dalla relativa notifica.
Avverso siffatto decreto, ricorre per cassazione il M., deducendo un solo, complesso motivo di gravame, al quale non resiste la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo in esame, lamenta il ricorrente:
a) che la Corte territoriale, ritenendo efficace, ai fini dell’impugnazione in appello della decisione del Giudice delle pensioni, la notificazione di questa effettuata direttamente all’Amministrazione interessata, ha, quindi, argomentato l’improponibilità della domanda di equa riparazione introdotta dallo stesso ricorrente, mediante ricorso depositato il 16.9.2004, desumendone la tardività sull’assunto del passaggio in giudicato di tale sentenza nel termine breve, anzichè in quello lungo, per il relativo gravame, laddove la notificazione in argomento aveva il solo scopo di mettere la medesima Amministrazione in condizioni di poter effettuare il pagamento delle somme conseguenti all’avvenuto accertamento del proprio diritto pensionistico, secondo quanto dichiarato nella decisione anzidetta;
b) che la notifica all’Amministrazione della sentenza resa dalla Corte dei Conti in sede pensionistica è stata, cioè, effettuata all’unico fine di consentire alla suindicata Amministrazione di adottare i provvedimenti idonei per l’adempimento spontaneo alla decisione del Giudice delle pensioni;
c) che, sotto altro profilo, una notifica efficace, agli effetti del decorso del termine breve per l’impugnazione della sentenza, sarebbe dovuta avvenire presso l’Avvocatura Generale dello Stato, non già, come accaduto nel caso di specie, addirittura presso l’Amministrazione direttamente, indipendentemente dal fatto che quest’ultima non sia stata difesa in primo grado dalla medesima Avvocatura, la quale, invece, ne ha ope legis la rappresentanza processuale ed è la sola legittimata a proporre l’eventuale appello presso le sezioni centrali di appello della Corte dei Conti;
d) che, nell’ipotesi in cui la Suprema Corte ritenesse di cassare senza rinvio l’impugnato provvedimento, il ricorrente chiede, in ordine al quantum debeatur, il riconoscimento della somma di Euro 2.000,00 per ogni anno di ritardo, secondo il diritto vivente risultante dall’interpretazione della Corte Europea.
Il motivo, segnatamente per quanto attiene ai primi tre profili di censura riportati sotto le lettere "a", "b" e "c" che precedono, non è fondato.
La Corte territoriale ha infatti:
a) rilevato che, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 6 (rectius, dell’art. 4), la domanda per equa riparazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento nel cui ambito si assume verificata la violazione è divenuta definitiva;
b) osservato (con apprezzamento di fatto di per sè incensurato) che, nel caso di specie, il procedimento di cui il ricorrente ha lamentato l’eccessiva durata è stato definito mediante sentenza della Corte dei Conti, Sezione Regionale della Campania, depositata l’11.3.2003 e notificata il 16.5.2003;
c) rilevato che, pertanto, la domanda risulta intempestiva, in quanto proposta con ricorso depositato il 16.9.2004 (sulla base, di nuovo, di un apprezzamento di fatto parimenti incensurato), ovvero oltre il prescritto termine di sei mesi dalla data in cui la citata sentenza è divenuta definitiva, atteso che, ai sensi del R.D. n. 1038 del 1933, art. 90, il termine per impugnare le decisioni della Corte dei Conti decorre dalla relativa notifica.
Così argomentando, detto Giudice ha, di per sè, correttamente applicato i principi secondo i quali:
a) in tema di equa riparazione a seguito della violazione del termine di durata ragionevole del processo, secondo il dettato della L. 24 marzo 2001, n. 89, per "definitività" della decisione la quale conclude il procedimento nel cui ambito la violazione medesima si assume verificata e che segna il dies a quo del termine di decadenza di sei mesi per la proponibilità della domanda, deve intendersi la insuscettibilità di quella decisione di essere revocata, modificata o riformata dallo stesso giudice che l’ha emessa o da altro giudice chiamato a provvedere in grado successivo, onde, in relazione ai giudizi di cognizione, la domanda di equa riparazione può essere proposta entro il termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento della cui ragionevole durata si dubiti, nel senso esattamente che l’inizio della decorrenza del termine anzidetto, fissato dalla richiamata L. n. 89 del 2001, art. 4, nel momento in cui la decisione appunto "è divenuta definitiva", coincide, allorchè questa sia emanata a conclusione di una fase processuale intermedia, con la scadenza dei termini previsti per l’impugnazione della decisione sopraindicata, sicchè il procedimento va considerato pendente fino a quando la decisione medesima è suscettibile di gravame, risolvendosi la "definitività" del provvedimento nella preclusione all’esperimento dei mezzi di impugnazione previsti in via ordinaria avverso quel tipo di provvedimento (Cass. 26 maggio 2006, n. 12640; Cass. 7 giugno 2006, n. 13287);
b) nel processo in materia di pensioni dinanzi alla Corte dei Conti, regolato dal D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito nella L. 14 gennaio 1994, n. 19, nel testo modificato dal D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito nella L. 20 dicembre 1996, n. 639, e dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, avverso le decisioni rese in primo grado dalle sezioni giurisdizionali regionali è proponibile appello ("per soli motivi di diritto") alle sezioni giurisdizionali centrali, a norma del D.L. n. 453 del 1993, art. 1, entro sessanta giorni dalla notificazione o, comunque, entro un anno dalla pubblicazione, laddove la particolare conformazione dell’appello in tali giudizi (quale emerge anche dalla giurisprudenza delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti, nonchè dall’ordinanza della Corte Costituzionale n. 84 del 2003) non consente di negarne il carattere di impugnazione ordinaria, onde, per quel che attiene alle decisioni in materia di pensioni pronunciate in primo grado dalle sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti, impugnabili (come detto) con l’appello, il termine di sei mesi previsto dal già richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, per la proposizione della domanda di equa riparazione decorre dalla maturazione dei termini, rispettivamente, di sessanta giorni dalla notificazione (qualora, appunto, tali decisioni, come nella specie, siano state notificate) ovvero di un anno dalla pubblicazione (Cass. n. 12640/2006, cit.; Cass. 28 giugno 2006, n. 14987).
Per converso, le doglianze specificatamente dedotte, al riguardo, dall’odierno ricorrente non colgono nel segno, atteso che:
a) per un verso, la circostanza (di per sè incensurata) dell’avvenuta notificazione all’Amministrazione della sentenza resa dalla Corte dei Conti in sede di giurisdizione regionale determina necessariamente la decorrenza del termine breve per la proposizione dell’appello, senza che, in contrario, possa spiegare rilievo alcuno il fatto che la relazione corrispondente rechi (altresì) la specifica indicazione "si notifichi … affinchè ne abbiano piena e legale scienza a norma e per ogni effetto di legge e provvedano (Ministero della Difesa e Ministero dell’Economia e delle Finanze) al sollecito pagamento in favore del Sig. M.L. di tutte le somme consequenziali alla predetta sentenza … " e che possa, quindi, sostenersi che tale notificazione sia stata "effettuata al solo fine di consentire all’Amministrazione stessa di adottare i provvedimenti idonei per l’adempimento spontaneo alla decisione del Giudice pensionistico";
b) per altro verso, la circostanza (del pari incensurata) che "l’Amministrazione non sia stata difesa in primo grado dall’Avvocatura" lascia privo di fondamento l’assunto del ricorrente secondo cui "una notifica efficace ai fini del decorso del termine breve per l’impugnazione della sentenza sarebbe dovuta avvenire (comunque) presso l’Avvocatura Generale dello Stato e non già, come avvenuto nel caso di specie, addirittura presso l’Amministrazione direttamente", essendo da richiamare il principio, ripetutamele enunciato dalla stessa giurisprudenza della Corte dei Conti, in forza del quale, dal momento che l’Amministrazione può, nel giudizio pensionistico di primo grado, "farsi rappresentar e … da un proprio dirigente o da un funzionario appositamente delegato" (D.L. n. 453 del 1993, art. 6, comma 4), restando il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato meramente facoltativo, è da ammettere che la notificazione della relativa sentenza, dovendo essere effettuata presso il domicilio eletto nel giudizio anzidetto, venga ritualmente (e direttamente) eseguita presso la sede della medesima Amministrazione (e, segnatamente, dell’ufficio in cui sono incardinati il dirigente o il funzionario in questione) e che i termini per la proposizione dell’appello decorrano dalla data di siffatta notificazione, senza che possa invocarsi l’applicazione delle disposizioni ( R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11, comma 1, e L. 3 aprile 1979, n. 103, art. 9, comma 1), le quali prevedono la notificazione degli atti giudiziari all’Avvocatura dello Stato (Corte dei Conti 18 aprile 2001, n. 83; Corte dei Conti 23 settembre 2003, n. 317; Corte dei Conti 2 febbraio 2004, n. 35; Corte dei Conti 10 novembre 2005, n. 227).
Pertanto, restando evidentemente travolto il subordinato profilo, relativo alla determinazione del quantum debeatur, pure dedotto dal M., il ricorso deve essere rigettato.
Nulla è a pronunciare in ordine alla sorte delle spese del giudizio di cassazione, non avendo la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in questa sede, nè resistito nè, comunque, svolto attività difensiva alcuna.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2007