Con ricorso depositato il 3.11.2004, D.B.M. chiedeva che la Corte di Appello di Trento, previo accertamento della violazione dell’ art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti, per brevità, denominata semplicemente Convenzione europea), sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo, disponesse la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 240.000,00 a titolo di equa riparazione del danno subito in conseguenza del fatto che la procedura concorsuale iniziata con la dichiarazione di fallimento pronunciata dal Tribunale di Treviso mediante sentenza del 12.7.1978 era durata oltre venticinque anni, essendo stata chiusa in forza del provvedimento in data 14.5.2004.
Si costituiva in giudizio l’Amministrazione convenuta, resistendo alla pretesa avversaria.
Il Giudice adito, con decreto in data 8/17.3.2005, respingeva il ricorso assumendo:
a) che il lungo protrarsi della procedura concorsuale fosse stato determinato, in modo assolutamente preponderante, dal contenzioso tributario attinente alla pretesa dell’Ufficio Finanziario di Treviso di incassare la somma di L. 127.084.000 per IVA non versata ed alla contrapposta pretesa della Curatela di ottenere la somma di L. 24.997.500 a titolo di rimborso della medesima imposta, il quale, per le tre fasi davanti alle Commissioni di primo e di secondo grado ed alla Commissione Centrale, era durato dal 1994 al 2000, là dove, poi, il pagamento concreto della somma riconosciuta in favore del Fallimento era materialmente avvenuto nel gennaio del 2002, consentendo solo da tale momento le operazioni di riparto e di chiusura della procedura; b) che non fossero ravvisabili ritardi suscettibili di ristoro ai sensi della L. n. 89 del 2001, occorrendo considerare, da un lato, la peculiarità della procedura fallimentare, finalizzata al soddisfacimento delle legittime pretese dei creditori ammessi al passivo mediante la più completa acquisizione delle poste attive, nonchè, dall’altro lato, l’estraneità dei giudizi in materia tributaria involgenti la potestà impositiva dello Stato (quale doveva reputarsi quello che aveva interessato il Fallimento in esame) rispetto all’ambito di operatività dell’ art. 6 della Convenzione europea e della stessa L. n. 89 del 2001; c) che la valutazione della ragionevolezza della durata del giudizio tributario non potesse, quindi, entrare a far parte della valutazione della procedura fallimentare, la quale, al di fuori del contenzioso anzidetto, non aveva presentato ingiustificate dilazioni, considerato che il Curatore aveva provveduto senza indugio alla vendita di beni mobili ed immobili nonchè alla vendita dell’impresa artigiana nel frattempo illegittimamente avviata dal fallito, mentre le carenze dell’operato dello stesso Curatore, evidenziate dalla difesa del ricorrente, non avevano in alcun modo inciso sulla durata della procedura. Avverso tale decreto, ricorre per cassazione il D.B., deducendo quattro motivi di gravame, ai quali resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve, innanzi tutto, essere riconosciuta l’ammissibilità del predetto controricorso, atteso che la nullità della notificazione del ricorso, eseguita, nei confronti dell’Amministrazione intimata, presso l’Avvocatura Distrettuale (di Trento) anzichè presso l’Avvocatura Generale dello Stato, è rimasta sanata, con effetto ex tunc, attraverso la costituzione in giudizio della medesima Avvocatura Generale in rappresentanza del Ministero della Giustizia (la quale ha, del resto, espressamente dichiarato di resistere al ricorso stesso "così sanando la nullità dell’atto introduttivo"), onde, in una simile ipotesi, il controricorso è appunto ammissibile anche se sia stato proposto, come nella specie, oltre il termine previsto dall’art. 370 c.p.c..
Tanto premesso, i primi tre motivi di impugnazione conviene che vengano esaminati congiuntamente, involgendo la trattazione di questioni strettamente connesse.
Con il primo, dunque, di tali motivi, lamenta il ricorrente violazione dell’art. 111 Cost., deducendo che la Corte territoriale, nell’affermare che la procedura fallimentare in esame "non ha presentato ingiustificate dilazioni", ha palesemente violato il disposto della norma costituzionale sopra citata, poichè una procedura fallimentare protrattasi per quasi ventisei anni (12.7.1978 – 14.5.2004) ha senza dubbio una durata irragionevole e risulta decisamente ingiusta.
Con il secondo motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente falsa applicazione del R.D. n. 267 del 1942 e violazione dell’art. 111 Cost., deducendo che la Corte territoriale ha esasperato la ratio della procedura fallimentare, nel senso che questa, se da un lato deve mirare alla tutela dei diritti patrimoniali dei creditori, dall’altro non può di certo protrarre l’annichilimento dei diritti personali del fallito per un tempo esageratamente lungo, onde i due diritti vanno contemperati alla luce della ragionevolezza, laddove ventisei anni di totale privazione di tali diritti non sono un termine equilibrato e non trovano la giustificazione invocata dalla Corte territoriale.
Con il terzo motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente violazione della L. n. 89 del 2001artt. 1 e 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, deducendo:
a) che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che la lungaggine della procedura concorsuale sia rimasta scriminata dall’incidente tributario occorso nello spazio della sua durata, pur in riferimento all’irragionevole durata di quest’ultimo;
b) che la non estensibilità, cioè, del campo di applicazione dell’art. 6 della Convenzione europea alle controversie tributarie, stante l’irriducibilità di tali vertenze al quadro di riferimento delle liti in materia civile, ha indotto, a torto, il Giudice del merito a ritenere legittima la durata della procedura concorsuale e, comunque, sfornita di tutela la pretesa indennitaria del ricorrente;
c) che l’interpretazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, in riferimento al citato art. 6 della suddetta Convenzione, è solo nel senso di escludere la tutela ai giudizi diretti contribuente-fisco;
d) che il procedimento concorsuale è ontologicamente separato dagli eventuali subprocedimenti correlati, sia a cognizione ordinaria sia a cognizione amministrativa o tributaria;
e) che, ogni qual volta ci si trova dinanzi ad una lungaggine determinata dalla combinazione di una procedura principale dalla durata eccessiva e di una questione tributaria incidentale altrettanto esageratamente lunga, l’impostazione qui censurata rischia di pregiudicare un diritto fondamentale dell’individuo costituzionalmente garantito (ex art. 111 Cost.), sulla base della negazione del principio dell’uguaglianza e della ragionevolezza nell’applicazione della legge.
I tre motivi sono fondati.
Giova, al riguardo, premettere che la disciplina dell’equa riparazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89 trova applicazione anche con riferimento alla procedura fallimentare, rispetto alla quale, tuttavia, poichè la fase prefallimentare (volta alla dichiarazione del fallimento) e la fase fallimentare (volta alla realizzazione dell’esecuzione concorsuale) si differenziano sotto più profili, la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo va accertata distintamente con riguardo alla prima ed alla seconda, là dove, perè, è ammissibile il riferimento della domanda, ai sensi della citata L. n. 89 del 2001, ad una sola di esse, onde, qualora la denuncia del ritardo irragionevole attenga, come nella specie, alla (sola) fase fallimentare, il cui dies a quo coincide con la data della sentenza di fallimento ed il dies ad quem con il momento in cui diviene definitivo il decreto di chiusura della procedura concorsuale, ovvero con il termine di improponibilità del reclamo ex art. 119 L. Fall., comma 2, deve poi escludersi che la valutazione circa la violazione del termine di ragionevole durata del processo vada effettuata con esclusivo riferimento al tempo impegnato nella distribuzione dell’attivo ai creditori, senza tenere conto di quello oggettivamente trascorso nella definizione dei procedimenti incidentali o, comunque, connessi, riguardanti l’accertamento del passivo o l’acquisizione delle attività alla massa, nel senso esattamente che le lunghe e complesse fasi contenziose di tal genere possono trovare adeguata considerazione, da parte del giudice dell’equa riparazione, nell’ambito della valutazione della "complessità del caso" di cui alla citata L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, ferme restando, poi, vuoi la necessità di estendere il sindacato anche alla durata di dette cause avuto riguardo alla loro obiettiva difficoltà ed alla mole dei relativi incombenti, vuoi la contrapposta addebitabilità all’esclusiva insufficienza dello Stato – apparato, ridondando in termini di irragionevolezza dei tempi corrispondenti, di errori, inerzie o ritardi della curatela nel promuovere o nel proseguire le azioni in questione (Cass. 16 aprile 2004, n. 7258; Cass. 8 ottobre 2004, n. 20086; Cass. 10 febbraio 2005, n. 2727; Cass. 21 febbraio 2005, n. 3494; Cass. 9 settembre 2005, n. 17998; Cass. 23 settembre 2005, n. 18686 e n. 18687; Cass. 3 ottobre 2005, n. 19285; Cass. 20 ottobre 2005, n. 20275).
Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto di escludere "che siano ravvisabili ritardi suscettibili di ristoro ai sensi della L. n. 89 del 2001", sui rilievi: a) che "l’indiscutibile lungo protrarsi della procedura concorsuale è stato determinato in modo assolutamente preponderante dal contenzioso tributario attinente alla pretesa dell’Ufficio finanziario di Treviso di incassare la somma di L. 127.084.000 per IVA non versata e dalla contrapposta pretesa della Curatela di ottenere la somma di L. 24.997.500 per rimborso della medesima imposta, contenzioso che, per le tre fasi davanti alla Commissione di 1^ grado, davanti alla Commissione di 2^ grado e davanti alla Commissione Centrale è andato avanti dal 1984 al 2000", dovendo, peraltro, aggiungersi che "il pagamento concreto della somma riconosciuta in favore del Fallimento è stata materialmente corrisposta nel gennaio 2002, consentendo solo da tale momento le operazioni di riparto e di chiusura della procedura, rese complesse dalla difficoltà di reperire i creditori a causa del tempo trascorso dal momento della loro ammissione al passivo";
b) che, "in tale contesto e considerato inoltre che il curatore ha provveduto senza dilazioni alla vendita dei beni mobili ed immobili con esperimento di varie aste, nonchè alla vendita dell’impresa artigiana nel frattempo illegittimamente avviata dal fallito, …
(la) procedura fallimentare, … al di fuori del contenzioso tributario, non ha presentato ingiustificate dilazioni"; c) che, tuttavia, "i giudizi in materia tributaria involgenti la potestà impositiva dello Stato (quale deve considerarsi quello che ha interessato il Fallimento in esame) esulano dall’ambito di operatività dell’arto della Convenzione europea e della L. n. 89 del 2001 (onde) la valutazione della ragionevolezza della durata del giudizio tributario non può entrare a far parte della valutazione della procedura fallimentare".
Orbene, quest’ultimo apprezzamento (indipendentemente dalla valutazione della procedura fallimentare "al di fuori del contenzioso tributario", di cui al quarto motivo di impugnazione) non può essere condiviso.
Giova, al riguardo, premettere che la giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha ritenuto che l’arto, paragrafo 1, della Convenzione europea non si applichi alle controversie tra il cittadino ed il Fisco aventi ad oggetto provvedimenti impositivi.
Nella sentenza del 12 luglio 2001 (in causa Ferrazzini contro Italia), la Grande Chambre della Corte, dopo avere osservato che non è la natura pecuniaria delle obbligazioni a rendere sempre e comunque applicabile il richiamato art. 6 della Convenzione anzidetta, ma solo il carattere civile delle stesse, ha rilevato che a queste si contrappongono le "obbligazioni di natura pubblicistica", le quali derivino dalla applicazione di tributi o traggano in ogni caso origine da doveri pubblici, onde la conclusione secondo cui, rientrando la materia fiscale "ancora nel nocciolo duro delle prerogative attinenti alla sovranità statale ed (essendo) sotto questo profilo tuttora dominante la qualifica pubblicistica del rapporto obbligatorio di imposta tra Stato sovrano e contribuente", il contenzioso tributario non rientra nell’ambito dei diritti e delle obbligazioni di carattere civile, malgrado gli effetti patrimoniali che esso necessariamente produce nei confronti dei contribuenti.
Peraltro, la stessa Corte europea, come si ricava altresì dalla più recente sentenza del 23 luglio 2002 (in causa Janosevic contro Svezia), nonchè da quella, recentissima, del 23 novembre 2006 (in causa Jussila contro Finlandia) ha precisato che la garanzia del termine di durata ragionevole del processo trova applicazione in alcune tipologie di controversie in materia fiscale, come in quelle connesse all’irrogazione di sanzioni amministrative tributarie, là dove queste, per la loro natura o per il loro grado di severità, siano assimilabili ad una sanzione penale, così da rientrare nella previsione di cui alla seconda parte dell’ art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea.
Su tale falsariga, si è, quindi, mossa la giurisprudenza di questa Corte, la quale, sul presupposto che, ai fini dell’individuazione dell’area di applicazione della disciplina del diritto all’equa riparazione per mancato rispetto del termine di ragionevole durata del processo, previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, occorre tenere conto delle indicazioni emergenti dalla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo, alle quali il giudice interno deve conformarsi, attesa la coincidenza dell’area di operatività dell’equa riparazione ai sensi della citata L. n. 89 del 2001 con l’area delle garanzie assicurate dalla Convenzione europea, ha, quindi, osservato che la Corte di Strasburgo considera meritevoli di tale speciale tutela i diritti ed i doveri di "carattere civile" di ogni persona, non già le obbligazioni di natura pubblicistica, onde non è estensibile il campo di applicazione dell’ art. 6 della medesima Convenzione alle controversie tra il cittadino ed il Fisco aventi ad oggetto provvedimenti impositivi (stanti l’estraneità ed irriducibilità di tali vertenze al quadro di riferimento delle liti appunto in materia civile), laddove, però, non può affermarsi in assoluto che tutte le controversie portate all’attenzione del giudice tributario rimangono estranee alla possibile applicazione della tutela di cui alla già richiamata L. n. 89 del 2001, restando la relativa esclusione circoscritta a quelle (e soltanto a quelle) controversie di competenza del giudice tributario nelle quali venga in evidenza l’esercizio, da parte dell’Amministrazione, del potere di determinare il contenuto concreto dell’obbligo tributario e potendo, invece, siffatta applicazione comprendere le richieste di rimborso di somme rifluenti nella sfera delle obbligazioni privatistiche, nonchè le pretese tributarie della medesima Amministrazione che risultino connesse a sanzioni assimilabili, per la loro natura e gravità, ad una sanzione penale e che siano, quindi, suscettibili di rientrare nella seconda parte del paragrafo 1 dell’art. 6 della Convenzione europea (Cass. 25 ottobre 2005, n. 20675; Cass. 4 novembre 2005, n. 21403).
Nella specie, pertanto, l’impugnato decreto soggiace a censura là dove la Corte territoriale ha ritenuto di dover considerare come "giudizio in materia tributaria involgente la potestà impositiva dello Stato (estraneo, perciò, all’ambito di operatività dell’ art. 6 della Convenzione anzidetta e della L. n. 89 del 2001) quello che ha interessato il Fallimento in esame", trascurando, così, di apprezzare che, sulla base dei riferiti accertamenti di fatto, il contenzioso tributario in questione ha riguardato, per un verso, la "pretesa dell’Ufficio finanziario di Treviso di incassare la somma di L. 127.084.000 per IVA non versata", ovvero una pretesa che, per la sua stessa genericità, è (astrattamente) idonea a comprendere anche il profilo "sanzionatorio" (sopra ipotizzato) niente affatto valutato (in concreto) dal Giudice di merito, nonchè, per altro verso, la "contrapposta pretesa della Curatela di ottenere la somma di L. 24.997.500 per rimborso della medesima imposta", ovvero una pretesa di restituzione di somme rifluente nell’area delle obbligazioni privatistiche o, comunque, non riferibile a quelle nelle quali venga in evidenza l’esercizio, da parte dell’Amministrazione, del potere di determinare il contenuto concreto dell’obbligo tributario.
Pertanto, i primi tre motivi del ricorso meritano accoglimento, onde, restando assorbito l’ultimo, il quale attiene ad un profilo (relativo alla valutazione della durata della procedura concorsuale per quel che riguarda i periodi "anteriore" e "posteriore" rispetto al subprocesso tributario) che dipende dall’esito del giudizio di rinvio, il decreto impugnato deve essere cassato in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche ai fini delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Trento in diversa composizione, affinchè tale Giudice provveda a decidere la controversia demandata alla sua cognizione facendo applicazione dei principi sopra enunciati.

P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso, dichiara assorbito il quarto, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche ai fini delle spese del giudizio di Cassazione, alla Corte di Appello di Trento in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2007