che R.A. ricorre contro la ordinanza in epigrafe indicata con la quale è stata rigettata la richiesta di riesame del provvedimento cautelare del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ravenna il 20 settembre 2006;
che, ad avviso del Tribunale, il quadro indiziario emerso nell’attività d’indagine e nel corso delle intercettazioni telefoniche è tale da ritenere la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per i reati di riciclaggio commessi in concorso con altri e altri reati di corruzione attiva per atto contrario ai doversi d’ufficio;
che il ricorrente, con un primo motivo, deduce la carenza di motivazione e l’inosservanza delle disposizioni in tema di utilizzabilità delle intercettazioni, mancando ogni indicazione in merito ai gravi indizi di reato;
che, con un secondo motivo, deduce la carenza assoluta di motivazione in merito alla legittimità della durata e dei decreti di proroga delle intercettazioni telefoniche;
che, con un terzo motivo, il ricorrente deduce la mancanza di motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza per i reati di corruzione attiva;
che, con un quarto motivo, il ricorrente deduce la violazione di legge in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari;
che tale è la sintesi ex art. 173, disp. att. c.p.p., comma 1 delle questioni poste.

CONSIDERATO IN DIRITTO
che nei confronti di R.A. – come comunicato dell’ufficio g.i.p. del Tribunale di Ravenna con atto 12 aprile 2007, su richiesta della Cancelleria di questa Corte – l’ordinanza 20 settembre 2006 risulta revocata per scadenza termini in data 16 febbraio 2007 e con effetto dal 17 febbraio 2007 e ciò comporta la sopravvenuta carenza d’interesse al ricorso;
che, questa Corte si è espressa nel senso, condiviso dal Collegio, secondo cui in tema di impugnazioni riguardanti provvedimenti su misure cautelari personali, allorchè queste siano successivamente revocate nelle more del procedimento incidentale non è configurabile un interesse alla impugnazione in funzione del conseguimento della pronuncia della Cassazione sulla insussistenza degli indizi di colpevolezza ex art. 405 c.p.p., comma 1 bis in quanto il giudice di legittimità non si pronuncia sulla mancanza di indizi, bensì il suo sindacato riguarda di regola il difetto di motivazione sul fumus commissi delicti (Sez. 6^, 15 novembre 2006, dep. 8 marzo 2007, n. 9943);
che, pertanto, l’interesse dell’indagato a ottenere una pronunzia, in sede di riesame, di appello o di ricorso per cassazione, sulla legittimità dell’ordinanza che ha applicato o mantenuto la custodia cautelare, nel caso in cui quest’ultima sia stata revocata nelle more del procedimento, non può presumersi ma deve essere dedotto dall’indagato e il giudice ne deve valutare la concretezza ed attualità e, inoltre, anche l’eventuale interesse dell’indagato a precostituirsi il titolo in funzione della futura richiesta di equa riparazione per l’ingiusta detenzione ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 2 deve essere manifestato in termini positivi e univoci (Sez. 6^, 15 novembre 2006, cit.);
che nella concreta fattispecie non è stato rappresentato con i motivi di ricorso e con motivi aggiunti un interesse riconducibile a quello indicato e, pertanto, non è da revocare in dubbio la carenza d’interesse;
che la sopraggiunta carenza d’interesse, dovuta all’adozione di un provvedimento successivo alla presentazione dell’impugnazione, comporta l’insussistenza delle condizioni che possano giustificare l’applicazione della condanna alle spese del procedimento nonchè al pagamento di una somma alla Cassa delle ammende, non essendo configurabile un’ipotesi di soccombenza virtuale (Sez. Un., 9 ottobre 1996, dep. 6 dicembre 1996, n. 20).

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2007.
Depositato in Cancelleria il 12 luglio.