La Corte d’appello di Catania, in relazione a domanda di equa riparazione formulata con riguardo a processo introdotto innanzi al TAR Sicilia dall’istante L.A. – attuale ricorrente – con ricorso del 29.10.1999 e definito con sentenza depositata il 28.7.2005, apprezzata in due anni ed otto mesi la durata eccedente il termine reputato congruo per la sua definizione indicato in tre anni, ha determinato la misura del danno non patrimoniale in Euro 1.333,28, sulla base di un importo annuo di Euro 500,00, escludendo il ristoro del danno biologico, la cui sussistenza era collegata, secondo la domanda del ricorrente, alla sindrome ansiosa depressiva da cui sarebbe stato affetto a causa del protrarsi della vicenda processuale oltre il suo termine fisiologico, mentre era invece risultata determinata, alla stregua della documentazione medica versta in atti, dal comportamento vessatorio di cui sarebbe stato vittima nell’ambiente di lavoro.
Il L. ha impugnato tale decreto con due motivi, non resistiti dalla P.D.C.M., con i quali ha denunziato violazione di legge – artt. 1, 6 e 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in relazione tanto al computo della durata ragionevole della vicenda giudiziaria presupposta, che alla misura del danno attribuitogli dalla Corte di merito.
Lamenta che il giudice siciliano, sebbene vincolato ai parametri di riferimento elaborati in sede europea cui avrebbe dovuto necessariamente aderire pena la violazione di legge sopranazionale, ha riconosciuto il danno non patrimoniale in relazione alla sola durata stimata irragionevole e non anche alla durata complessiva del processo, come invece affermato in sede CEDU. Diffondendosi nella trattazione della relativa questione di diritto, sollecita anche scrutinio sulla connessa subordinata questione di costituzionalità della L. n. 89 del 2001, anche mediante formulazione dei conseguenti quesiti di diritto nel senso se "la L. n. 89 del 2001, debba esser considerata solo istitutiva della via di ricorso interna per ottenere il riconoscimento di un "petitum" già precettivamente regolato dalla Convenzione EDU per come risulta dal ripetuto diritto vivente sopranazionale, ovvero se regoli specificamente la materia". Ove si accedesse a quest’ultima opzione, prospetta questione di costituzionalità della norma interna in relazione alla violazione dei principi costituzionali in materia di diritti inviolabili dell’uomo, di eguaglianza sostanziale e formale, d’integrità del diritto alla difesa, con riferimento agli obblighi costituzionali di adeguamento del diritto interno al diritto sopranazionale pattizio ex art. 10 Cost., comma 1 e art. 117 Cost..
Deduce inoltre divario irragionevole fra il parametro di liquidazione applicato ed i criteri elaborati in sede europea – Euro 1.000,00 – 1.500,00 per ogni anno di durata -, e chiede infine l’attribuzione del bonus forfetario di Euro 2.000,00.
Il relatore designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., in data 6.7.07 ha depositato relazione con la quale ha rilevato la manifesta fondatezza della denuncia; riguardante la misura del danno, essendosi la Corte territoriale discostata in maniera irragionevole dai criteri richiamati che pur la vincolavano senza offrire adeguata e specifica motivazione del consumato divario. Ha rilevato invece la manifesta infondatezza delle altre censure in ragione della previsione della legge interna regolante la fattispecie, coerente con le finalità perseguite in sede europea, nonchè l’inammissibilità della richiesta del bonus, in ragione della sua apparente novità.
Il ricorrente ha depositato memoria difensiva con cui ribadisce le denunce già esposte chiedendone l’accoglimento.
Il ricorso appare meritevole d’accoglimento nei sensi indicati nella relazione che precede.
1.- Come da orientamento di questa Corte ormai fermo e consolidato, l’indennizzo in discorso non deve essere correlato alla durata dell’intero processo, bensì solo al segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta che risulti in punto di fatto ingiustificato e dunque irragionevole, considerata la previsione, coerente con le finalità sottese all’ art. 6 della Convenzione EDU, della legge nazionale – L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3 – la cui "ratio" ispiratrice riscontra in sede applicativa il principio, interno al nostro ordinamento, enunciato nell’art. Ili della Costituzione che prevede che "il giusto processo" abbia comunque una sua durata connaturata alla sue caratteristiche concrete e peculiari, seppur contenuta entro il limite della ragionevolezza.
Il criterio sancito con riferimento al tempo ragionevole ed ordinario di durata non esclude la complessiva attitudine della legge interna a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come del resto già riconosciuto dalla stessa Corte europea nella sentenza 27.3.03 resa sul ricorso n. 36813/97 (cfr. Cass. n. 8603/2005).
Nè i precedenti citati nel ricorso esprimono enunciati di smentita di tale opzione; tanto meno sostengono l’obbligo del giudice nazionale di disapplicare la norma interna laddove ne ravvisi contrasto con l’interpretazione vivente della Convenzione europea.
Tale obbligo, "melius" tale potere (deve si piuttosto ritenere insussistente, anche alla stregua dei recenti arresti del giudice delle leggi, seppur espressi in altra materia (cfr. nn. Cost. nn. 348 e 349/2007) con cui si è affermato che le norme della Convenzione, a differenza di quelle comunitarie, sono pur sempre norme internazionali patrizie, che vincolano lo Stato ma non producono effetti interni tali da imporre al giudice di darne applicazione, nel contempo disapplicando le norme interne in apparente contrasto.
Piuttosto esse vivono nell’interpretazione che ne ha dato la Corte europea, ma la loro completa operatività è condizionata alla compatibilità con il nostro ordinamento costituzionale, "che non può essere modificato da fonti esterne, specie se queste non derivano da organizzazioni internazionali rispetto alle quali siano state accettate con limitazioni di sovranità come quelle previste dall’art. Ut della Costituzione".
Per logico corollario, il giudice è vincolato al rispetto della L. n. 89 del 2001, art. 2, lett. a), siccome rappresenta norma idonea a garantire l’obiettivo posto dalla Convenzione per il serio ristoro collegato alla irragionevole durata del processo in coerenza con l’assetto del processo delineato nella nostra Costituzione, che non induce dunque dubbio alcuno sulla sua compatibilità con gli impegni internazionali e con il riconoscimento del canone di cui all’ art. 6 par. 1 della Convenzione, per il solo fatto di stabilire un diverso criterio di calcolo.
2. – La Corte di merito ha liquidato per il periodo di 2 anni ed 8 mesi eccedente la durata ragionevole del processo presupposto la somma complessiva dianzi indicata di Euro 1.333,28 palesemente discostandosi dai parametri elaborati in sede europea, richiamati dal ricorrente, che, come sostenuto da questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 1338 – 1339 – 1340 e 1341 del 26.1.2004 e n. 15093 del 5 agosto 2004), era tenuta ad adattare alla fattispecie esaminata in senso sostanziale uniformandosene, quanto meno in linea di massima. Ammesso il potere di divergere da tali criteri (cfr. per tutte Cass. nn. 8852/2005, 8600/05, 15093/2005), l’organo giudicante avrebbe dovuto dar conto delle ragioni del divario, consumato in termini non ragionevoli, con adeguata motivazione riferita alle peculiarità del caso concreto, che risulta invece del tutto omessa, non potendo tale divario trovare giustificazione nel mero riferimento al metro equitativo, in ragione della rilevanza attribuita alla natura della causa e dell’interesse dedotto in giudizio, che non appare idonea a rivestire incidenza esclusiva riduttiva.
In parte qua la decisione impugnata risulta pertanto errata e deve essere cassata.
3. – Devesi dichiarare manifestamente infondata la domanda di attribuzione del bonus forfetario di Euro 2.000,00, fondata su mero astratto richiamo alla sentenza CEDU Zullo-Italia del 10.11.2004, poichè, se è vero che la Corte di Strasburgo ha riconosciuto tale somma in relazione a determinate controversie di particolare importanza tra le quali ha inserito le cause previdenziali, ciò non può però voler dire che ogni causa di tale natura sia per ciò solo importante. Tale valutazione è rimessa all’apprezzamento dell’organo di merito, che essendogli concessa la facoltà discrezionale di adattare alla fattispecie i criteri indicativi di liquidazione, può comprendere nella determinazione della componente non patrimoniale anche il bonus in discussione ove ritenga la particolare incidenza della natura della causa sul patema denunciato. Nè ciò implica obbligo di specifica motivazione, che devesi ritenere implicita laddove il bonus non venga attribuito.
Ne discende accoglimento del ricorso nei sensi che precedono.
La questione di costituzionalità, alla luce delle anzidette premesse risulta del tutto irrilevante. La causa, non essendo necessarie ulteriori indagini istruttorie, può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., con riconoscimento all’istante di indennizzo complessivo pari ad Euro 2.000,00, sulla base annua di Euro 1.000,00 alla quale viene ridotto, ma in misura ragionevole, il parametro di riferimento europeo invocato dal ricorrente, senza interessi legali siccome la censura espressa sul punto non investe la loro omessa corresponsione in sede di merito, in assenza altresì quanto meno dell’allegazione, di cui era onerato detto istante, degli opposti motivi che possano giustificare l’applicazione del criterio di liquidazione pari al massimo dello standard richiamato. Le spese vengono poste a carico del soccombente e liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa il decreto impugnato e decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., condanna la P.D.C.M. a versare al ricorrente la somma di Euro 2.000,00 nonchè al pagamento delle spese di giudizio che liquida in relazione alla fase di merito in Euro 50,00 per esborsi, Euro 392,00 per diritti ed Euro 380,00 per onorari e per il presente giudizio di legittimità in Euro 770,00 di cui Euro 70,00 per esborso, oltre spese generali ed accessori di legge per entrambe le liquidazioni.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 novembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2008