Ricorrono per il tramite dei rispettivi difensori D. F., R.G. e M.P. avverso ordinanza del Tribunale di Taranto in data 25.5.2007, che ha confermato in sede di riesame la misura cautelare degli arresti domiciliari loro applicata per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di truffe e di truffa aggravata e continuata. Con la stessa ordinanza veniva invece accolta la richiesta di riesame inoltrata dal coindagato R.M. e veniva annullata in conseguenza, per ritenuto difetto di esigenze cautelari, la analoga misura adottata nei suoi confronti. Era ascritto al D., al R. e al M. (rispettivamente legale responsabile nonchè direttore amministrativo di una casa di cura privata, direttore sanitario della stessa casa di cura e dirigente della locale a.s.l.
TA/1) di essersi tra loro associati per commettere una serie indeterminata di truffe in danno della predetta a.s.l. e di aver commesso in effetti diverse truffe facendo ottenere alla casa di cura di cui il D. era titolare una serie di rimborsi non dovuti perchè relativi a prestazioni non convenzionate. I ricorrenti deducono erronea applicazione degli artt. 416 e 640 c.p. nonchè vizio di motivazione in ordine sia ai gravi indizi di colpevolezza, sia alle esigenze cautelari.
Come risulta dalla nota agli atti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, nei confronti di tutti e tre gli indagati le misure sono state revocate nel luglio scorso per ritenuta cessazione o sostanziale attenuazione delle esigenze cautelari. I rilievi dei ricorrenti relativi a tali esigenze debbono pertanto essere ritenuti inammissibili per sopravvenuto difetto di interesse.
Alla stessa conclusione si deve pervenire anche relativamente ai rilievi in punto di gravi indizi di colpevolezza. Come già ritenuto da questa Corte (sez. 6, 15/11/2006 – 8.2.2007 n. 1956, Campodonico), sulla base di considerazioni da ritenersi del tutto condivisibili e da intendersi integralmente richiamate nella presente sede, il diritto previsto dall’art. 314 c.p.p., non può far ritenere automaticamente la persistenza dell’interesse al ricorso anche dopo la revoca o la perdita di efficacia della misura impositiva della custodia cautelare; ma occorre da parte dell’avente diritto una manifestazione di volontà, comunque espressa, che attesti l’esistenza di tale interesse indipendentemente dall’applicazione in atto della misura e "la sua intenzione a servirsi della pronuncia richiesta in vista dell’azione di riparazione per la ingiusta detenzione". Tale manifestazione di volontà non esiste, nel caso, per alcuno dei ricorrenti; per cui, anche sotto il profilo della verifica dei gravi indizi di colpevolezza, i ricorsi debbono ritenersi non più sorretti da un interesse concreto ed attuale.
D’altro canto, la circostanza che il difensore di uno dei ricorrenti abbia richiesto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata non vale a modificare i termini della questione neppure alla luce dell’art. 405 comma 1 bis, introdotto dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 3, comma 1, sia per la genericità della richiesta, sia perchè è stato già disposto il rinvio a giudizio del ricorrente. I ricorsi debbono pertanto essere dichiarati inammissibili, senza alcuna conseguenza pregiudizievole per i ricorrenti dipendendo l’inammissibilità da cause sopravvenute ed estranee alla valutazione del fondamento delle censure proposte.

P.Q.M.
La Corte:
Dichiara inammissibili i ricorsi per sopravvenuta carenza di interesse.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2007