Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Bologna, in sede di riesame, ha confermato l’ordinanza emessa in data 12-2-2007 dal GIP presso il Tribunale di Forlì, con la quale è stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di G. G., P.A. e D.L.M., in relazione al reato di cui all’art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 e comma 1 bis, lett. a).
Il Tribunale ha dato atto della sussistenza, a carico degli indagati, di gravi indizi di colpevolezza, emergenti dal verbale di arresto in flagranza della S.M. della Questura di Forlì. Quanto alle esigenze cautelari, le stesse sono state ravvisate nel pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie, desunto dalle modalità e circostanze del fatto e dalla personalità degli indagati, e sono state ritenute non fronteggiabili con misure meno afflittive.
I tre indagati hanno proposto separati ricorsi avverso tale ordinanza, lamentando, limitatamente ai gravi indizi di colpevolezza, vizi di motivazione, inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità e violazione di norme penali.

DIRITTO
Dalle informazioni trasmesse dal DAP risulta che i tre indagati, in data successiva alla proposizione dei rispettivi ricorsi per cassazione, sono stati rimessi in libertà.
Secondo un principio consolidato in giurisprudenza, l’interesse dell’indagato ad ottenere una pronuncia in sede di impugnazione dell’ordinanza che impone la custodia cautelare permane anche nel caso in cui essa sia stata revocata nelle more del procedimento incidentale "de libertate", solo se la decisione di annullamento della misura possa costituire per l’interessato, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 2, presupposto del diritto ad un’equa riparazione per la custodia cautelare subita ingiustamente; il che può verificarsi esclusivamente nelle ipotesi in cui il provvedimento coercitivo sia stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p. (Cass. Sez. Un. 12-10-1993 n. 20; Cass. Sez. Un. 13-7-1998 n. 21).
E’ stato ulteriormente puntualizzato che, in caso di revoca, nelle more del giudizio di cassazione, della misura cautelare, il carattere dell’attualità e della concretezza dell’interesse ad impugnare può essere riconosciuto a condizione che la parte manifesti, in termini positivi ed univoci, la sua intenzione a servirsi della pronuncia richiesta in vista dell’azione di riparazione per l’ingiusta detenzione; intenzione che, naturalmente, nel giudizio in cassazione, può essere comunicata dal difensore direttamente in udienza ovvero attraverso memorie scritte (Cass. Sez. 15-11-2006 n. 9943; Cass. sez. 6, 16-10-2007 n. 38855).
Nella fattispecie in esame, in cui i motivi di impugnazione riguardano esclusivamente la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, non è stata manifestata una simile volontà, nè a mezzo dei difensori – non comparsi in udienza – nè mediante memorie scritte.
Di conseguenza, deve essere dichiarata l’inammissibilità dei ricorsi, per sopravvenuta carenza di interesse.
Poichè il venir meno dell’interesse, in epoca successiva alla proposizione del ricorso, non configura un’ipotesi di soccombenza, non vi è spazio per una condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e di una sanzione in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi per sopravvenuta carenza di interesse.
Così deciso in Roma, il 7 aprile 2008.
Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2008