Il 28 maggio 2007, T.G. ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di L’Aquila in data 3 maggio 2007 con la quale è stata confermata l’ordinanza del Gip di Sulmona, in data 16 aprile 2007, applicativa, nei suoi confronti, della misura cautelare della custodia in carcere in relazione alle contestazioni ex art. 416 c.p., truffa, falso, e indebito utilizzo di carte di credito.
Nelle more della procedura del riesame, l’indagato era stato posto agli arresti domiciliari.
Con ordinanza depositata il 30 maggio 2007, poi, il Gip ne ha disposto la scarcerazione.
Con il ricorso si deduce:
– il vizio di motivazione sulle ritenute esigenze cautelari, non essendosi tenuto conto della incensuratezza di esso ricorrente e del fatto che l’azione criminosa si è svolta in una unica soluzione;
– il vizio di motivazione sui gravi indizi di colpevolezza riguardanti, tra l’altro, la configurabilità del reato associativo e la rilevanza del danno cagionato.
Il ricorso è inammissibile sotto un duplice profilo.
Il primo è quello della carenza di un comprovato ed attuale interesse a coltivare la impugnazione.
Questa è stata proposta quando il T. si trovava ancora in custodia, seppure domiciliare, condizione che è stata eliminata per effetto del provvedimento di scarcerazione depositato dal Gip due giorni dopo.
Il Collegio ritiene di fare, al riguardo, applicazione del principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’interesse dell’indagato ad ottenere una pronunzia, in sede di riesame, di appello o di ricorso per cassazione, sulla legittimità dell’ordinanza che ha applicato o mantenuto la custodia cautelare, nel caso in cui quest’ultima sia stata revocata nelle more del procedimento, non può presumersi ma deve essere dedotto dall’indagato e il giudice ne deve valutare la concretezza ed attualità. Anche l’eventuale interesse dell’indagato a precostituirsi il titolo in funzione della futura richiesta di equa riparazione per l’ingiusta detenzione ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 2, deve essere manifestato in termini positivi ed univoci (235886).
Nella specie, il ricorrente, ormai libero, nulla ha reso noto, al pari del difensore che all’udienza non era presente.
Tale situazione comporta che l’inammissibilità del ricorso, ancorata ad una carenza di interesse sopravvenuta alla proposizione del ricorso e dovuta a ragioni indipendenti dalla condotta dell’indagato, non è seguita dalla condanna al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di somme in favore della cassa delle ammende, in mancanza di soccombenza (SS.UU Chiappetta, rv. 208166).
Va comunque dato atto che si trattava, contrariamente a quanto consentito dalle norme di rito, di censura, formulata sulla base di contestazioni in fatto, della decisione riguardante le ritenute esigenze cautelari e i gravi indizi di colpevolezza.
Il ricorrente ha richiesto infatti, a questa Corte di legittimità, un rivisitazione degli elementi valorizzati dal Gip e/o ricavabili dal carteggio procedimentale al fine di ottenere una "decisione" diversa rispetto a quella adottata dal Tribunale del riesame e alternativa ad essa.
Si tratta di un sindacato che è sottratto alla Cassazione, la quale è giudice della legittimità del provvedimento ed in particolare della tenuta logica e completezza della motivazione.
Nella specie, la motivazione sulle esigenze cautelari è stata resa tenendo conto dei parametri previsti dalla legge e dando conto di una apprezzata gravità dei fatti che, secondo un ragionamento del tutto logico, è ritenuta prevalente anche sul dato favorevole al ricorrente, costituito dalla sua incensuratezza.
Quanto agli indizi di colpevolezza, le censure del ricorrente, oltre ad essere del tutto generiche, non evidenziano illogicità manifeste o mancanze meritevoli di intervento da parte di questa Corte.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.
Così deciso in Roma, il 24 settembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2007