In data 7/4/2003 D.V.A. presentava domanda volta ad ottenere la riparazione sia per l’ingiusta detenzione che, a seguito di ordinanza cautelare n. 251/93 emessa dal GIP per il delitto di cui all’art. 317 c.p., aveva patito in carcere dal 3 maggio al 3 giugno 1993, quando la misura era stata revocata dal Tribunale del riesame per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 c.p.p., sia per l’ingiusta detenzione che, per effetto di un secondo provvedimento coercitivo n. 263/93 adottato per altra imputazione di concussione, aveva subito in carcere dal 10 al 15 maggio 1993 allorchè la misura era stata sostituita con gli arresti domiciliari, venendo poi revocata l’1/6/1993 dal medesimo Tribunale del riesame.
Il D.V. faceva presente, quanto al fatto oggetto della prima ordinanza coercitiva n. 251/93, che il Tribunale di Napoli in data 6/3/2001, previa derubricazione dell’originaria imputazione di concussione nel delitto di cui alla L. n. 195 del 1974, art. 7, aveva emesso sentenza di non doversi procedere per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.
Con riferimento, invece, reato oggetto dell’altro provvedimento coercitivo, dopo la condanna pronunciata dal Tribunale, era intervenuta il 12/1/2001 sentenza di assoluzione della Corte di Appello di Napoli, passata in giudicato il 12/4/2001.
La Corte di Appello di Napoli in data 25/11/2003, in accoglimento della domanda proposta, condannava il Ministero del Tesoro (rectius dell’Economia e delle Finanze), in persona del Ministro pro tempore, al pagamento in favore del D.V. della somma di Euro 2500,00, oltre interessi. A seguito di gravame proposto dal convenuto Ministero a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, la Corte di Cassazione con sentenza del 7/10/2004 annullava senza rinvio l’ordinanza impugnata e disponeva la trasmissione degli atti alla Corte di Appello di Napoli.
Rilevava il Supremo Collegio che, in violazione del principio affermato dalle Sezioni Unite Penali con la sentenza n. 35760 del 9/7/2003, la domanda del D.V. non era stata notificata a cura della cancelleria al Ministero dell’Economia e delle Finanze presso la competente sede distrettuale dell’Avvocatura dello Stato.
In data 9/6/2005 la Corte di Appello di Napoli, decidendo nuovamente sulla domanda, dichiarava inammissibile la stessa limitatamente alla carcerazione imposta con l’ordinanza n. 251/1993 e la rigettava nel resto. Rilevava il collegio che la istanza indennitaria nella parte relativa alla custodia in carcere ordinata dal GIP con provvedimento n. 251/93 era intempestiva. Essa era stata presentata oltre il termine perentorio stabilito dall’art. 315 c.p.p., perchè depositata il 7/4/03 mentre la revoca della misura era stata decisa dal Tribunale del riesame il 3/6/2003 ed era divenuta irrevocabile entro quell’anno per mancata impugnazione.
Per quanto riguardava poi la residua richiesta di riparazione, la corte di appello osservava che la sentenza irrevocabile di assoluzione dal reato oggetto dell’ordinanza di custodia cautelare n. 263/93, dopo avere evidenziato che, successivamente alla pronuncia di condanna emessa nei confronti del D.V. dal Tribunale, erano intervenute modifiche costituzionali e legislative e dopo avere richiamato i conseguenti mutati criteri di valutazione della prova penale, aveva dichiarato l’innocenza del prevenuto, senza però omettere di ricordare "precisamente, nettamente ed inequivocabilmente la piena correttezza giuridico processuale della condanna del D. V. in data 23/6/1997, basata su elementi che, valutati ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 4, erano più che bastevoli a legittimare il convincimento di colpevolezza, così convalidandosi la di lui trascorsa detenzione cautelare, del resto revocata a norma dell’art. 274 c.p.p.".
Proponeva ricorso per Cassazione il difensore del D.V. rilevando che per il primo periodo di ingiusta detenzione si era agito ex art. 314 c.p.p., comma 2 e che, in tale caso, il termine per la presentazione della domanda decorreva dalla definitiva conclusione del procedimento principale. Si osservava, poi, quanto alla seconda vicenda processuale, che il giudice della riparazione non poteva rivedere e riconsiderare le ragioni della decisione irrevocabile di assoluzione.
MOTIVI DELLA DECISIONE Il gravame è fondato e va accolto.
Erroneamente la corte di appello ha dichiarato inammissibile la domanda di riparazione riferita al periodo di custodia in carcere sofferto a seguito dell’ordinanza cautelare n. 251/1993.
I giudici hanno ritenuto intempestiva l’istanza perchè il provvedimento restrittivo era stato revocato dal Tribunale del riesame il 3/6/93 ed era divenuto irrevocabile per mancata impugnazione nello stesso anno. La domanda, invece, era stata presentata il 7/4/2003.
Per il collegio, quindi, nell’ipotesi contemplata dall’art. 314 c.p.p, comma 2, il termine di due anni previsto dall’art. 315 C.P.P. decorreva dalla data di definitività dell’ordinanza del Tribunale del riesame. Al contrario, deve ritenersi che quando, come nella specie, il diritto alla riparazione venga fatto valere da chi sia sottoposto a custodia cautelare ma ottenga l’accertamento con decisione irrevocabile che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità di cui all’art. 273 c.p.p., i due anni entro cui deve essere proposta la domanda di riparazione decorrono dal giorno in cui è divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento (21/10/2003).
Il legislatore, nell’indicare il momento di decorrenza dei due anni, non ha inteso fare alcuna distinzione sul punto tra l’ipotesi contemplata dal comma 1 e quella specificata dal dell’art. 314 c.p.p., comma 2. E’, pertanto, da escludere che, come sostenuto dalla corte territoriale, nel primo caso il termine decorra dal giorno in cui è divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento e nel secondo dal giorno in cui è divenuta irrevocabile la decisione adottata ex art. 309 c.p.p. di accertamento dell’emissione del provvedimento coercitivo senza che sussistessero i gravi indizi di colpevolezza. Ciò si desume chiaramente anche dal rilievo che nell’art. 315 c.p.p., si parla, oltre che di sentenza di proscioglimento (specificazione questa costituente un chiaro riferimento all’art. 314 c.p.p., comma 1), di sentenza di condanna, la qual cosa dimostra come vi sia un richiamo ed uno stretto collegamento con i casi indicati all’art. 314 c.p.p., comma 2. Anche tale disposizione, infatti, ed è la sola tra quelle in materia di riparazione per l’ingiusta detenzione, fa menzione del condannato.
Per quanto riguarda invece l’ulteriore periodo di privazione della libertà personale, la Corte di Appello, a fronte della sentenza irrevocabile di assoluzione per insussistenza del fatto del D. V., e quindi in presenza di domanda riconducibile alla previsione dell’art. 314 c.p.p., comma 1, avrebbe dovuto valutare, per escludere il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione del ricorrente, se costui avesse o meno dato o concorso a dare causa per dolo o per colpa grave alla custodia cautelare subita. Il collegio avrebbe dovuto fare riferito all’ordinanza coercitiva ed al suo contenuto per conciare se dalla stessa emergessero comportamenti tenuti dal ricorrente contraddenti da profili che attribuivano agli stessi connotazioni quantomeno di evidente imprudenza e di spiccata leggerezza, tali da legittimare l’errore in cui era incorsa l’autorità giudiziaria nel privare il D.V. della libertà personale e nel mantenere la custodia cautelare adottata.
L’impugnata ordinanza, pertanto, va annullata con rinvio alla Corte di Appello di Napoli.

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Napoli.
Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2008