1. Con ricorso del 6.07.1996 M.F., dipendente del Comune di Napoli, aveva adito al TAR della Campania per ottenere il riequilibrio fra anzianità economica e giuridica dei dipendenti degli enti locali.
Il TAR della Campania, con provvedimento depositato in data 22.10.2003, aveva dichiarato il ricorso inammissibile, con una durata del processo di complessivi 7 anni e 3 mesi.
M.F. proponeva quindi ricorso per equa riparazione alla Corte d’appello di Napoli, chiedendo la liquidazione del risarcimento per il danno subito in relazione alla dedotta eccessiva durata del processo, nell’importo di Euro 12.875,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria al saldo.
La Corte d’appello di Napoli, con decreto depositato in data 13.10.05, stimava il termine di ragionevole durata del processo in tre anni e condannava, quindi, la Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagare al M. la somma di Euro 4.250,00, (per il periodo eccedente di 4 anni e tre mesi), oltre alle spese processuali, liquidate in Euro 400,00, (280,00, per onorari, 81,00, per diritti, oltre rimborso forfetario delle spese generali ed accessori di legge).
La Corte riteneva che, tenuto conto della natura del diritto fatto valere in causa, la somma era da calcolarsi in base ad un importo annuo di Euro 1.000,00, alla stregua dei criteri di liquidazione adottati dalla CEDU. Avverso tale decisione il M. proponeva ricorso, notificato in data 09.10.06, deducendo 8 motivi di ricorso.
Come primo motivo di gravame veniva dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 1, Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e la violazione della L. n. 89 del 2001, per il rapporto tra normativa nazionale e sopranazionale.
Come secondo motivo di gravame il M. deduceva il diritto all’equo indennizzo nella misura di Euro 1.500,00, per ogni anno di durata e l’erronea e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, e la violazione art. 6 par. 1 CEDU, per contrasti con la normativa e la giurisprudenza europea. Censurava altresì la motivazione giudicandola incongrua e contrastante con gli indirizzi giurisprudenziali comunitari, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, artt. 112 e 132 c.p.c..
Come terzo motivo di ricorso deduceva l’erronea e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dei principi sanciti dalla giurisprudenza europea in materia di equa riparazione e sua quantificazione, la motivazione incongrua e contrastante con gli indirizzi giurisprudenziali comunitari, ex artt. 360 c.p.c., n. 5, artt. 112 e 132 c.p.c., in quanto il giudice doveva attenersi ai fini della quantificazione alla liquidazione della somma di Euro 1.000,00 – 1.500,00 per ogni anno di durata del processo.
Con il quarto motivo di censura deduceva la violazione e falsa applicazione di legge, con riferimento alla Conv. E.D.U., per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex art. 112 c.p.c..
Lamentava altresì l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia ed il mancato riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00, ratione materiae, espressamente richiesto da parte ricorrente e pacificamente ammesso dalla CEDU, immotivatamente disatteso dal Giudice di prime cure.
Il quinto e sesto motivo di ricorso denunciavano la violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 6 CEDU e 1 Prot.
agg. CEDU, nonchè l’omessa motivazione in ordine alla insufficiente liquidazione delle spese, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e art. 132 c.p.c..
Come settimo motivo di censura la difesa del M. deduceva la violazione e falsa applicazione (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 91, 92 c.p.c.) della normativa in materia di tariffe professionali e degli artt. 6 CEDU e 1 Prot. agg., nonchè ancora motivazione incongrua e/o mancante ex artt. 360 c.p.c., n. 5, artt. 112 e 132 c.p.c..
Infine, con l’ottavo motivo di censura, deduceva l’omessa e insufficiente motivazione del decreto della Corte d’appello, sottolineando che la durata effettiva del procedimento era stata di 87 mesi, anzichè 12 mesi, tempo giudicato congruo in relazione al tipo di processo de quo.
Chiedeva quindi il pagamento in suo favore di Euro 1.500,00, per anno di durata del processo, oltre al bonus di Euro 2.000,00.
Lamentava, inoltre, nuovamente la liquidazione delle spese sulla base della tariffa per la procedura camerale, anzichè sulla base di quella per il giudizio ordinario.
Chiedeva per le spese la somma di Euro 2.127,00, come da nota già depositata in appello.
Depositava memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., insistendo per l’illegittimità della liquidazione delle spese della fase di merito.
2. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione riteneva il ricorso manifestamente infondato e in parte inammissibile. Il ricorso era infondato nella parte in cui pretendeva l’attribuzione di un bonus ratione materiae, che non spettava, e nella parte in cui sembrava pretendere che le spese del giudizio venissero liquidate sulla base di tariffe diverse da quelle nazionali.
Era, invece, inammissibile, per difetto di autosufficienza, laddove sembrava lamentare l’inosservanza da parte della Corte d’appello delle tabelle vigenti.
3. I motivi di ricorso, disordinatamente articolati, privi di numerazione ed a volte riproponenti in diversi passaggi argomentativi le medesime questioni, possono essere divisi in due diversi gruppi:
un primo gruppo attinente alla quantificazione del risarcimento che si assume dovuto al M. (motivi dal primo al quarto, pagg.
3/8) ed un secondo gruppo riguardante la liquidazione delle spese (motivi dal quinto al settimo (pagg. 9/12). Infine, l’ottavo motivo deduce la carenza di motivazione (nonchè nuovamente la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 6 par 1 CEDU, ed il contrasto con la giurisprudenza CEDU e della Cassazione) con riferimento in parte agli aspetti riguardanti l’ammontare del risarcimento ed in parte alla liquidazione delle spese.
4. Esaminando i motivi che investono la statuizione sul risarcimento del danno si deve innanzitutto confermare la scelta attuata dal decreto impugnato di considerare, ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, il solo periodo eccedente il termine ragionevole di durata e non l’intero periodo di durata del processo presupposto. A tale riguardo non appare risolutivo il contrario orientamento manifestato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, poichè il giudice nazionale è tenuto ad applicare le norme dello Stato e, quindi, il disposto dell’art. 2, comma 3, lett. a) della citata legge; non può, infatti, ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dei criteri di determinazione della riparazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, attraverso una disapplicazione della norma nazionale, avendo la Corte Costituzionale chiarito, con le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti, essendo piuttosto configurabile come trattato internazionale multilaterale, da cui derivano obblighi per gli Stati contraenti, ma non l’incorporazione dell’ordinamento giuridico italiano in un sistema più vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, "omisso medio", per tutte le autorità interne (in tal senso, questa Corte, sez. 1^, sentenze n. 14 del 03/01/2008, rv. 601232; n. 1354 del 22/1/2008, rv. 601254; n. 23844 del 19.11.2007, rv. 601203).
Ciò premesso, questo Collegio ritiene che nella specie si debba condividere e confermare anche la valutazione del risarcimento fatta dalla Corte d’appello di Napoli. Innanzitutto, si deve considerare che nessun profilo di danno patrimoniale è stato dedotto dal ricorrente, che si è limitato a chiedere il risarcimento del danno morale in maggior misura per ciascun anno (oltre che, come si è detto, per un numero di anni superiore).
La sola voce di danno che può essere riconosciuta attiene quindi al c.d. danno non patrimoniale, da individuarsi in quelle sofferenze di tipo psichico che in via presuntiva può ritenersi derivino a chi, avendo proposto una domanda in giudizio, non veda in tempi ragionevoli intervenire una decisione sulle proprie istanze, positiva o negativa che sia.
Procedendo quindi alla verifica della liquidazione di tale danno, secondo le indicazioni di cui alla stessa L. n. 89, necessariamente in via equitativa, e facendo riferimento ai criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte Europea di Strasburgo per tale tipo di danno ed ai parametri utilizzati da questa Corte in casi analoghi, si ritiene che la somma liquidata in favore di M.F., nell’ammontare di Euro 1.000,00, per ciascun anno di ritardo (e così Euro 4.000,00, per quattro anni), con la ulteriore somma di Euro 250,00, per la frazione degli ulteriori tre mesi, sia pienamente congrua ed in linea con le indicazioni della già richiamata giurisprudenza.
Va altresì escluso che possa procedersi alla liquidazione del bonus, in aggiunta alla liquidazione del risarcimento del danno non patrimoniale per la semplice ragione che si tratti di causa in materia previdenziale, posto che ciò non costituisce fondamento per un’automatica dazione ulteriore che non trova alcun fondamento precipuo in un disagio maggiore per la durata del processo rispetto a quello connesso a simile situazione in altre fattispecie.
5. Deve invece ritenersi, almeno in parte, fondato il secondo gruppo dei motivi di ricorso, riguardante la liquidazione delle spese (motivi dal quinto al settimo e parte del motivo ottavo). Con gli indicati motivi è stato lamentato, infatti, in modo sufficientemente specifico (mentre per le altre censura già indicate in relazione alle spese processuali le doglianze appaiono del tutto generiche) che la Corte d’appello abbia applicato al procedimento de quo le tariffe di cui ai procedimenti camerali, anzichè quelle dei procedimenti contenziosi.
Il rilievo è fondato, dovendosi rilevare che la Corte ha liquidato le spese con espresso riferimento ai procedimenti speciali (voce 50, par. 7 tabella A e voce 75, par. 3 tab. B), per tali dovendo intendersi ai sensi della tariffa allegata al D.M. 8 aprile 2004, n. 127, art. 11, i procedimenti in camera di consiglio ed in genere i procedimenti non contenziosi. I rilievi svolti dalla difesa del ricorrente appaiono invece puntuali per indurre a ritenere che il procedimento in questione rappresenti un procedimento contenzioso. In ogni caso la Corte ha trascurato che il secondo comma del medesimo art. 11 prevede che nel caso che nei predetti procedimenti sorgano contestazioni si applichino comunque le voci di tariffa dei procedimenti contenziosi.
Nel caso di specie non può dirsi che davanti alla Corte d’appello non siano sorte contestazioni, dal momento che in quella fase la Presidenza del Consiglio dei Ministri si era costituita ed aveva resistito alla domanda del ricorrente, rilevandone la infondatezza e/o l’inammissibilità.
6. Deve, pertanto, essere cassato senza rinvio il provvedimento impugnato limitatamente alla liquidazione delle spese per il procedimento svoltosi davanti alla Corte d’appello di Napoli. Potendo provvedersi alla decisione sul merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., dette spese devono essere liquidate Euro 1.210,62, di cui Euro 385,00, per i diritti, Euro 790,00, per gli onorati, Euro 35,62, per esborsi (vedi nota spese allegata al ricorso), oltre a spese generali ed accessori come per legge.
L’accoglimento, sia pure parziale, del ricorso determina la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri anche al pagamento della spese processuali del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte:
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa senza rinvio il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del ricorrente delle spese processuali, che liquida per la fase di merito in complessive Euro 1.210,62, di cui Euro 385,00, per i diritti, Euro 790,00, per gli onorari, Euro 35,62, per esborsi; per la fase di legittimità in Euro 600,00, di cui Euro 500,00, per onorari, oltre spese generali ed accessori come per legge, con distrazione a favore dell’Avv. MARRA Alfonso Luigi antistatario.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2008