"CHE la Corte d’Appello di Catania, esaminando domanda di equa riparazione per la irragionevole durata di un processo innanzi al Tribunale di Catania ed alla Corte di Appello di Caltanissetta, proposta da Z.M. (procedimento, avente ad oggetto l’esercizio di prelazione e riscatto agrario ex L. n. 590 del 1965, durato dal 3.11.1988 al 30.3.2005), con decreto 4.07.2006 ritenne irragionevole la durata per anni 9 e mesi 4, e, respinta la richiesta di ristoro del danno patrimoniale liquidò, avendo riguardo al modesto patema d’animo, la somma di Euro 500,00, ad anno e quindi in totale Euro 4.666,66;
CHE il decreto è ricorribile ed è stato impugnato con ricorso prima il 3.7.2007 (e non iscritto a ruolo: vd. RG 28753/07) e quindi notificato il 26.9.2007 al Ministero della Giustizia presso l’Avvocatura Generale dello Stato (che ha opposto difese con secondo controricorso 12.10.2007); CHE ad un ricorso per cassazione avverso provvedimento pubblicato, come nella specie, il 4.07.2006, devono essere applicate le disposizioni di cui al capo 1^ del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, (in vigore dal 2.3.2006) e, per quel che occupa, quella contenuta nell’art. 366 bis c.p.c., alla stregua della quale l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 1 – 2 – 3 – 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto; CHE il ricorso reca specifici e pertinenti quesiti; CHE il ricorso merita assoluta condivisione, con riguardo alle quattro censure proposte:
1. la Corte di merito ha infatti decurtato, sino alla metà e senza alcuna motivazione, alla stregua dell’applicabile standard CEDU, l’indennizzo normalmente a riconoscersi in somma non inferiore ad Euro 1.000,00 ad anno;
2. la Corte di Catania ha negato alcun ingresso alla pretesa di vedersi ristorare il danno patrimoniale (per la prolungata indisponibilità dell’immobile correlata alla irragionevole durata del processo) applicando il principio per il quale sono estranee al petitum indennitario dell’equa riparazione tutte le poste economiche che avrebbero potuto e dovuto essere dedotte nel giudizio della cui eccessiva durata ci si duole (Cass. 13466.06 – 23322.05 – 21391.05 – 1094.05) senza valutare – come in modo chiaro propone l’odierna ricorrente e ben sintetizza nei quesiti – la pretesa impossibilità di formulare domande risarcitorie verso il convenuto nel giudizio di riscatto agrario;
3. la Corte di merito ha del tutto omesso di riconoscere i chiesti interessi legali (dalla domanda) sull’indennizzo spettante;
4. la Corte di Catania non ha liquidato le spese prendendo le mosse dalla notula;
CHE, ove si condivida il testè formulato rilievo, il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio e accolto per manifesta fondatezza".
Preliminarmente il Collegio dispone la riunione dei due ricorsi sotto il n. RG. 25444/07 ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
Va quindi dichiarata l’improcedibilità del primo ricorso alla stregua delle esatte considerazioni formulate nella relazione del 4.7.2008.
Venendo all’esame del ricorso, debitamente notificato il 26.9.2007 ed iscritto a ruolo, osserva il Collegio che – in parziale dissenso da quanto osservato dal relatore – debbano essere accolte (e per le ragioni ben sintetizzate nella relazione) le censure di cui ai motivi 1, 3 e 4 ma che non possa trovare ingresso quella formulata nel secondo motivo.
Non fondata è invero la censura di cui al secondo motivo, posto che, diversamente da quanto prospettato dalla ricorrente con riguardo alla interpretazione della domanda di cui alla L. n. 590 del 1965, art. 8, ed in dissenso da quanto argomentato nella relazione (sulla debenza a carico dello Stato apparato dell’indennizzo, nel caso di ravvisata impossibilità di proporre domande indennitarie "da ritardo" nel giudizio di riscatto), difetta palesemente nella posizione sottoposta la necessaria dipendenza causale diretta ed immediata, quanto esclusiva, del danno prospettato dal ritardo addebitabile allo Stato apparato.
Sul punto non può che farsi richiamo al costante indirizzo di questa Corte (sentenze nn. 9909/08, 23756/07, 5213/97, 2250/07, 21020/06,1094/05) del quale non può che condividersi il principio fondamentale. E’ invero indiscutibile che il credito indennitario patrimoniale configurato dalla L. n. 89 del 2001, è correlato alle sole ipotesi nelle quali il processo – nella sua irragionevole durata – sia la fonte immediata e diretta del danno ricevuto dalla parte del processo stesso, escludendosi quindi dal ristoro, alla stregua della legge in discorso, tutti i danni patrimoniali correlati alla indebita resistenza in lite od alla indebita proposizione di domanda da parte dell’avversario nella lite stessa, trattandosi di voci di danno il cui ristoro può e deve essere richiesto, nello stesso giudizio od in altro autonomo, dal danneggiato alla parte che con la sua resistenza od azione tal danno abbia cagionato.
Nè la peculiare posizione del retraente contraddice tale principio: è ben vero, come affermato da questa Corte nella pronunzia n. 7030 del 2001 invocata dalla ricorrente, che al soggetto che abbia esercitato il diritto di cui all’art. 8, citato non competono, a carico del retrattato, nè frutti nè utilità a compensazione del mancato godimento del fondo per tutta la durata del processo e sino alla acquisizione di irrevocabilità della sentenza che dispone il riscatto, posto che l’insorgenza del diritto di proprietà (e dei correlati poteri) è condizionata alla pronunzia costitutiva; ma è anche vero che, se il diritto insorge solo con l’irrevocabile statuizione sulla domanda, la indebita resistenza in lite del retrattato non sarà certamente circostanza neutra nella ipotesi di una durata irragionevole del giudizio, le volte in cui, come ben richiamato dalla sentenza di questa Corte del 2001, la resistenza in lite sia stata viziata da malafede o colpa grave, dato che tutti i danni correlati alla perdita di opportunità di utilizzazione del fondo medio tempore patiti potranno essere posti a carico del retrattato (art. 96 c.p.c.) che abbia inutilmente e consapevolmente ritardato la definizione del giudizio con una negatoria dell’altrui pretesa priva di fondamento alcuno.
Del pari non sfuggirà alla sanzione indennitaria, oggetto di domanda proponibile in diverso ed autonomo giudizio, l’alienante il fondo che abbia con la cessione violato il diritto di prelazione del proprietario – coltivatore diretto del fondo confinante.
E dalle premesse discende che anche la sanzione per la (irragionevolmente) tardiva acquisizione della proprietà in capo al retraente, le volte in cui essa sia cagionata dalla consapevole condotta processuale (di colpevole resistenza) del retrattato (come parrebbe essere avvenuto nella specie, alla stregua della stessa narrativa della vicenda processuale contenuta in ricorso), sfugge alla sanzione patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, posta a carico dello Stato trovando la sua esaustiva disciplina nel codice di rito che il ristoro dei relativi danni pone a carico della parte che li abbia direttamente e consapevolmente provocati. Ed in tali termini va confermata la giusta decisione della Corte di merito di rigettare la domanda, pur sottoponendo a correzione la relativa motivazione.
Fondate sono, come dianzi detto, le censure afferenti la indebita liquidazione di pecunia doloris al di sotto dei parametri indicati dalla Corte Europea (in non meno di Euro 1.000,00, ad anno) e attingenti la errata esclusione degli interessi legali, spettanti dalla domanda. Gli interessi, ma non la rivalutazione automatica, competono infatti alla stregua del recente orientamento maturato nelle decisioni della Prima Sezione civile (ex multis vd. ordd. N. 18177 e 16108 del 2008), pervero in continuità con quanto più volte considerato con riguardo alla natura degli interessi legali sulla somma liquidata per il ristoro ex lege che ci occupa (Cass. n. 7389 del 2005 e n. 6939 del 2004), orientamento in forza del quale deve essere affermato che gli interessi legali spettano automaticamente, e pur in difetto di specifica relativa domanda ma con decorrenza dalla domanda di indennizzo, sugli importi liquidati per equa riparazione.
Fondata infine è la doglianza relativa alla determinazione contra legem dei diritti ed onorari spettanti per il patrocinio nel giudizio di merito.
Non residuando accertamenti dei fatti nè valutazioni di merito, accolto il ricorso e cassato in parte qua il decreto si può adottare pronunzia ex art. 384 c.p.c., recante condanna al pagamento dell’indennizzo di Euro 1.000,00, ad anno per anni 9 e mesi 4 con interessi legali dalla domanda e con la refusione delle spese dei due gradi (determinate in dispositivo).

P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, dichiara improcedibile il ricorso notificato il 3.7.2007 ed accoglie i motivi primo, secondo e quarto del ricorso notificato il 26.9.2007, rigettato il secondo motivo; cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia a corrispondere a Z.M. la somma di Euro 9.400,00 oltre interessi legali dalla domanda al saldo nonchè le spese del giudizio che determina, per il giudizio di merito, in Euro 1.300,00, (di cui Euro 100,00, per esborsi, Euro 500,00, per diritti ed Euro 600,00, per onorari) oltre spese generali ed accessori di legge e, per il giudizio di legittimità, in Euro 1.200,00, (di cui Euro 1.100,00, per onorari) oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2009