Che la signora N.R. ha proposto ricorso davanti alla Corte d’appello di Napoli, per la irragionevole durata del procedimento, presupposto rispetto a quello in esame, introdotto davanti al Tribunale di Nola, con ricorso dell’ottobre 1999, al fine di ottenere il riconoscimento e la liquidazione della differenza sul trattamento di disoccupazione involontaria, di bracciante agricola;
che tale procedimento è stato definito, in prime cure, negativamente per l’istante, con sentenza pubblicata il 4 novembre 2003;
che la ricorrente ha chiesto la liquidazione dell’equa riparazione per il solo giudizio di primo grado; che la Corte d’appello di Napoli, rilevato che il giudizio al quale si riferiva l’istanza aveva avuto una durata di circa quattro anni, eccedente di due la durata normale di una causa previdenziale, ha liquidato, per tale periodo di durata eccessiva del procedimento, la somma di Euro 1.200,00, oltre spese, in considerazione non solo del periodo temporale eccedente la misura normale ma anche per la natura degli interessi in gioco, riguardanti una indennità di tipo alimentare;
che avverso tale decisione la signora N.R. ha proposto impugnazione davanti a questa Corte, con ricorso affidato a una pluralità articolata di doglianze;
che, con le dette censure, la ricorrente, nell’ordine, lamenta: a) l’erronea fissazione del termine di ragionevole durata in due anni, anzichè in una inferiore a due, come avrebbe dovuto affermarsi in considerazione della natura del giudizio, relativo a materia previdenziale; b) l’erronea liquidazione della riparazione, in violazione dei criteri legali e giurisprudenziali (Legge Pinto n. 89 del 2001, art. 2 e artt. 1 e 6 CEDU); c) la necessità di liquidare il danno in rapporto a tutta la durata della controversia e non solo nella parte di essa eccedente il termine ragionevole; d) la liquidazione insufficiente ed arbitraria delle spese giudiziali; e) la mancata osservanza dei principi elaborati dalla Corte di Strasburgo;
che il Ministero della Giustizia non ha svolto difese in questa fase di legittimità;
che il PG, con la requisitoria scritta, ha chiesto la reiezione del ricorso perchè infondato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Che le articolate censure possono essere tra loro raggruppate in tre diverse questioni: 1) quale sia stata la parte del procedimento eccedente il termine ragionevole; 2) quali siano i criteri di liquidazione del danno subito dalla ricorrente; 3) se l’ammontare delle spese giudiziali liquidate alla parte vittoriosa sia rispettosa dei criteri dettati dalla legge;
che, in ordine alla prima, la qualificazione – come irragionevole – della parte eccedente la ordinaria durata di quel particolare procedimento in due anni, anzichè in meno di tanto, è manifestamente infondata poichè l’apprezzamento compiuto dal giudice di merito è sufficientemente motivato (imperniato com’è sui contenuti di ordinaria complessità della lite), non essendovi una regola rigida e categorica, che impone la suddivisione delle controversie – presupposto in base alla materia trattata, ma solo un obbligo, per il giudice della ragionevole durata, di compiere l’esame della singola e concreta vicenda oggetto di doglianza, con il che si entra, più propriamente, nell’esame del secondo problema;
che le critiche alla decisione in ordine al quantum sono anzitutto poste come contestazione dei criteri di liquidazione del danno da ritardo, chiedendosi il pagamento di una somma corrisposta in ragione dell’intera vertenza presupposto;
che tale tesi è manifestamente infondata alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale l’indennizzo non deve essere correlato alla durata dell’intero processo, bensì solo al segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole;
che un tale ristoro è comunque serio e non si pone, quindi, in contrasto con l’art. 6, par. 1, della Convezione europea dei diritti dell’uomo; che una volta così delimitata la parte corretta della decisione di merito, deve – tuttavia – accogliersi il ricorso nella parte in cui lamenta la quantificazione del danno nella misura di soli Euro 1.200,00, per i due anni di ritardo, atteso che la quantificazione, che tiene conto sia della durata del segmento del ritardo nella conclusione del procedimento, sia della natura della c.d. posta in gioco, non può essere ancorato a parametri di liquidazione troppo distanti da quelli stabiliti dalla giurisprudenza della Corte EDU (circa Euro 1.000,00, per anno di ritardo), tanto più quando, come nella specie, la sentenza abbia motivato in ordine alla non trascurabile rilevanza della detta posta in gioco; che, pertanto, la sentenza impugnata va riformata in parte qua previa il suo annullamento;
che, non essendo necessari altri accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con la liquidazione, per l’eccessiva durata della controversia, della somma di Euro 2.000,00;
che, in conseguenza di tale accoglimento vanno nuovamente regolate le spese del giudizio, anche di merito, con il conseguente assorbimento delle censure prospettate al riguardo;
che le spese dei due gradi di giudizio vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 2.000,00, oltre alle spese del giudizio che liquida, per la fase di merito, nella misura già determinata nella sentenza della Corte d’appello, e, per questa fase, in complessivi Euro 570,00, di cui Euro 70,00, per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima civile della Corte di Cassazione, il 24 settembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2008