Ritenuto che S.M.A. ha proposto ricorso per cassazione il 19 luglio 2007 sulla base di quattro motivi avverso il decreto della Corte d’appello di Bari, depositato il 4 giugno 2007, con cui veniva respinta la richiesta di condanna del Ministero delle finanze al pagamento ex lege n. 89 del 2001 di un indennizzo per l’eccessivo protrarsi di un giudizio (di cognizione e di ottemperanza) svoltosi dinanzi alla Commissione tributaria, avente ad oggetto il rimborso parziale delle somme s trattenute a titolo di IRPEF sull’indennità di buonuscita;
che il Ministero ha resistito con controricorso;
che, essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata alle parti e comunicata al pubblico ministero;
che la parte ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che il relatore designato, nella relazione depositata il 3 febbraio 2009, ha formulato la seguente proposta di definizione:
"(…) Il primo motivo – con cui si pone il quesito se alle cause – tributarie riguardanti domande di rimborso di IRPEF trattenuta sulla buonuscita trovi applicazione la L. 24 marzo 2001, n. 89 – appare infondato. La disciplina dell’equa riparazione per mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, quale introdotta dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e ss., non è applicabile ai giudizi in materia tributaria involgenti la potestà impositiva dello Stato, in conformità delle indicazioni (delle quali occorre tener conto, attesa la coincidenza dell’area di operatività dell’equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, con quella delle garanzie assicurate dalla citata Convenzione) emergenti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che si muovono nel senso della non estensibilità del campo di applicazione del detto art. 6, della Convenzione alle controversie tra il cittadino ed il Fisco aventi ad oggetto provvedimenti impositivi, stante l’estraneità ed irriducibilità di tali vertenze al quadro di riferimento delle liti in materia civile, cui ha riguardo il già citato art. 6.
Nè osta a tale conclusione la previsione della L. n. 89 del 2001, art. 3, che include, tra i soggetti legittimati passivi rispetto all’azione volta ad ottenere l’equa riparazione, anche il Ministero delle finanze quando si tratti di procedimenti tributar, atteso che l’espressa menzione di un legittimato passivo con riguardo alla irragionevole durata dei procedimenti del giudice tributario postula che almeno alcuni di essi, ma non necessariamente tutti, siano inclusi nell’area tutelata, onde la norma va letta – in coerenza con il complessivo impianto sistematico della legge nazionale e della Convenzione – nel senso della sua riferibilità a quelle (ed esclusivamente a quelle) controversie di competenza del giudice tributario nelle quali non venga in evidenza l’esercizio, da parte dell’amministrazione, del potere di determinare il contenuto concreto dell’obbligo tributario (ex plurimis Cass. 20675/05).
Tra tali controversie questa Corte ha individuato quelle che siano riferibili: a) alla materia civile, in quanto riguardanti pretese del contribuente che non investano la determinazione del tributo ma solo aspetti a questa consequenziali, come nel caso, ad esempio, del giudizio di ottemperanza a un giudicato del giudice tributario D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 70 (Cass. n. 18208/2003), o in quello di giudizio vertente sull’individuazione del soggetto di un credito di imposta non contestato nella sua esistenza o di giudizio riguardante rimborsi di imposte non dovute (Cass. 21403/05); b) alla materia penale, intesa quest’ultima come comprensiva anche delle controversie relative alla applicazione di sanzioni tributarie, ove queste siano commutabili in misure detentive ovvero siano, per la loro gravità, assimilabili sul piano della afflittività ad una sanzione penale (Cass. 21404/05).
Nel caso di specie, si verte sul rimborso della maggiore IRPEF trattenuta in sede di liquidazione della buonuscita per cessazione del rapporto di lavoro. In relazione a tale fattispecie, occorre effettuare alcune precisazioni in riferimento alla dianzi citata giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto di natura civile e, quindi, rientrante nelle ipotesi della L. n. 89 del 2001, il giudizio riguardante il rimborso di imposte non dovute. Tale ipotesi appare infatti doversi restringere ai soli casi in cui non vi sia controversia circa il fatto che le somme trattenute o versate in più del dovuto debbano essere restituite. Nel caso in cui, come quello di specie, si controverta se il versamento o la trattenuta sia stato effettuato oltre il dovuto, la lite verte sulla base imponibile in rapporto al quale il tributo è stato pagato e quindi necessariamente coinvolge l’accertamento del potere impositivo dello Stato con esclusione quindi dell’applicabilità della L. n. 89 del 2001.
Tale situazione è infatti identica, seppure specularmente inversa, a quella in cui lo Stato agisca per recuperare un tributo non versato.
In entrambi i casi l’oggetto della controversia riguarda la debenza o meno del tributo e quindi coinvolge necessariamente la potestà impositiva dello Stato.
In definitiva, deve escludersi che in relazione all’oggetto del processo a quo (involgente l’imposizione tributaria) fosse proponibile domanda di equa riparazione L. n. 89 del 2001, ex art. 2 in relazione alla durata dello stesso (negli stessi termini, Cass., Sez. 1, 8 novembre 2007, n. 23363).
Il rigetto del primo motivo assorbe l’esame del secondo motivo. Con esso, infatti, si censura la ratio concorrente (decorrenza del termine di decadenza di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4 rispetto alla decisione della controversia tributaria intervenuta il 2 maggio 2003) utilizzata dalla Corte d’appello per respingere la domanda di equa riparazione.
Il terzo ed il quarto motivo censurano la statuizione della Corte d’appello che ha escluso l’irragionevole durata del giudizio di ottemperanza. Essi non colgono nel segno.
E’ inesatto l’addebito mosso alla Corte territoriale di avere ignorato il reale svolgimento del giudizio di ottemperanza.
Innanzitutto non corrisponde al vero che la fase dell’ottemperanza inizi con il passaggio in giudicato della sentenza del giudice tributario. Correttamente la Corte d’appello ha ritenuto che il giudizio di ottemperanza è iniziato il 16 febbraio 2004 (con il ricorso del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 70).
Del resto la Corte d’appello – con motivazione priva di mende logiche e di vizi giuridici – ha evidenziato che dopo la decisione di ottemperanza (di data 2 luglio 2004) è intervenuta istanza di revocazione della Amministrazione finanziaria, in conseguenza della quale fu in un primo tempo sospesa l’esecuzione della decisione di ottemperanza, poi ripresa (e che ha avuto esecuzione il 21 marzo 2006). La Corte territoriale ha osservato che trattasi di sostanziale ulteriore grado di giudizio, la cui durata (del tutto in linea con il limite triennale emergente dalla giurisprudenza CEDU) non può dirsi irragionevole, vertendo sull’esame delle risultanze di procedimento penale.
E’ esatto quanto afferma la parte ricorrente, che cioè, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, comma 8 la commissione tributaria, dopo avere adottato con sentenza i provvedimenti indispensabili per l’ottemperanza, dichiara chiuso il procedimento con ordinanza, una volta che siano stati eseguiti detti provvedimenti. Sennonchè nella specie la Corte d’appello ha dato atto che l’attuazione della decisione di ottemperanza si è avuta il 21 marzo 2006, ed ha correttamente ritenuto rispettato il termine triennale con riferimento a detta data.
Non può tenersi conto del rilievo – contenuto nel terzo motivo – secondo cui per il giudizio di ottemperanza dovrebbero valere limiti diversi (ed inferiori) rispetto a quello (triennale) del giudizio di cognizione, giacchè detta doglianza non si è tradotta in un rituale quesito di diritto conclusivo del motivo.
In conclusione, ove si condividano i testè formulati rilievi, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, ricorrendo i requisiti di cui all’art. 375 cod. proc. civ.";
che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra;
che, in ordine ai rilievi critici sollevati con la memoria, si osserva:
– circa l’area di applicazione della disciplina del diritto all’equa riparazione per mancato rispetto del termine ragionevole, la norma impositiva è stata dichiarata costituzionalmente illegittima soltanto parzialmente con la sentenza n. 231 del 1991 (nella parte in cui non prevedeva una detrazione che tenesse adeguatamente conto del fatto che l’indennità era costituita anche da contributi degli aventi diritto), sicchè la controversia oggetto del giudizio a quo, svoltasi dinanzi alla commissione tributaria, investiva l’accertamento del potere impositivo dello Stato;
sul punto, le conclusioni della relazione sono conformi alla giurisprudenza di questa Corte, da ultimo ribadita da Cass., Sez. 5, 15 luglio 2008, n. 19367;
essendo infondato il primo motivo di ricorso, non interessa stabilire se il giudizio di ottemperanza costituisca o meno, rispetto al precedente giudizio di cognizione svoltosi dinanzi al giudice tributario, una fase di un unico iter procedimentale; i quesiti con cui si concludono il terzo ed il quarto motivo, concernenti il momento iniziale e finale della fase di ottemperanza, non sono idonei a scalfire la ratio decidenti alla base del decreto impugnato nè il motivato apprezzamento, in esso contenuto, sulla durata ragionevole della fase di ottemperanza, tenuto conto anche della successiva presentazione di istanza di revocazione;
che, quindi, il ricorso deve essere rigettato;
che si ravvisano giustificati motivi, dato il tenore delle questioni trattate, per disporre la compensazione tra le parti del giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 1^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2009