Con decreto emesso il 7 Novembre 2005 la Corte d’appello di Palermo rigettava la domanda di equa riparazione ex art. 6, p. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, proposta da F. P.C. nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per la violazione del termine ragionevole del processo promosso dinanzi alla Corte dei conti il 30 Aprile 1980 dal padre F.M., deceduto il (OMISSIS), per il conseguimento del trattamento pensionistico privilegiato: processo conclusosi con sentenza di rigetto 1^ Ottobre 2004.
Motivava che il diritto all’equo indennizzo non poteva ritenersi acquisito da chi non era più in vita alla data di entrata in vigore della L. 24 Marzo 2001, n. 89, introduttiva del rimedio giurisdizionale specifico, e di conseguenza non rientrava nell’asse ereditario trasmesso al successore F.P.C.. Questi non poteva neppure pretenderlo jure proprio perchè restato estraneo alla fase processuale successiva al decesso del padre.
Avverso il decreto proponeva ricorso per cassazione il F., deducendo la violazione dell’art. 6, p. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, perchè il diritto all’equa riparazione preesisteva nell’ordinamento giuridico italiano all’entrata in vigore della L. n. 89 del 2001, – risalendo, temporalmente, alla ratifica della Convenzione con L. n. 848 del 1955, – e doveva essere riconosciuto, nella specie, per tutta la durata eccedente il termine ragionevole, a prescindere dalla sua diretta partecipazione, in qualità di erede, al processo presupposto.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato nei limiti di cui appresso.
Il diritto all’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo spetta agli eredi della parte che lo ha introdotto prima dell’entrata in vigore della L. n. 89 del 2001, purchè la domanda non sia stata già proposta dinanzi alla Corte europea di Strasburgo ed ivi abbia trovato accoglimento. In linea di principio, la fonte normativa del suo riconoscimento non deve essere ravvisata, infatti, nella suddetta legge nazionale, bensì nella disposizione di cui all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ratificata e resa esecutiva con L. 4 Agosto 1955, n. 848 (Cass. sez. 1^, 23 Dicembre 2005, n. 28.507; Cass. sez. 1^, 1 Marzo 2007, n. 4842; Cass. sez. 1^, 30 Novembre 2006, n. 25526). Questa, peraltro, non ha dato ingresso immediato all’azione di riparazione, che era condizionata all’accettazione di una clausola opzionale consistente nel riconoscimento da parte detto Stato contraente della competenza della Commissione (più tardi, Corte europea dei diritti dell’uomo) in tale materia: dichiarazione sopravvenuta, per l’Italia, l’I Agosto 1973.
Ne consegue che è da tale ultima data che si è introdotta una tutela internazionale, recepita, poi, con effetto retroattivo dalla L. 24 Marzo 2001, n. 89, che ha prestato in favore della vittima di un ritardo processuale la tutela interna individuale (Cass. sez. 1^, 20 Giugno 2006, n. 14286).
Appare quindi erronea la decisione della Corte d’appello di Palermo che ha negato rilievo alla durata del processo presupposto a partire dalla proposizione della domanda fino al decesso dell’attore originario, F.M..
Non può invece essere cumulato il periodo di pendenza successivo, caratterizzato dalla mancanza di una parte processuale attiva, danneggiata dalla violazione del termine ragionevole del processo. E’ stato infatti accertato dalla corte territoriale, con statuizione non impugnata in questa sede, che il ricorrente F.P. C., erede dell’originario attore, non s’è mai costituito nel processo in corso dinanzi alla Corte dei conti.
Ne consegue che, in assenza della necessità di ulteriori accertamenti di fatto, si può procedere alla decisione nel merito e, valutato in anni tre il termine ragionevole del processo presupposto, in assenza di alcuna allegazione di una sua particolare semplicità, si determina in anni tre e mesi nove il ritardo rilevante ai fini riparatori. Per l’effetto, l’equo indennizzo va liquidato in Euro 3700,00, con gli interessi legali dalla domanda.
Le spese dei due gradi di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, sulla base del valore ritenuto in sentenza e del numero e complessità delle questioni svolte.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento della somma di Euro 3.700,00, con gli interessi legali dalla domanda;
Condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri alla rifusione delle spese del primo grado di giudizio, liquidate in complessivi Euro 925,00, di cui Euro 100,00, per spese ed Euro 385,00, per diritti, e del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 600,00, per onorari; oltre le spese generali e gli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 20 aprile 2009.
Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2009