CHE Z.M. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi avverso il provvedimento della Corte d’appello di Palermo depositato il 26.1.06 (con cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri veniva condannata ex L. n. 89 del 2001, al pagamento di un indennizzo di Euro 1.000,00 per l’eccessivo protrarsi di un processo svoltosi innanzi al Tar Sicilia e durato dal 26.1.89 fino alla conclusione in appello in data 28.1.98;
Che la PDCM non ha resistito con controricorso;
Che il PG ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

OSSERVA IN DIRITTO
Con il primo motivo il ricorrente lamenta in primo luogo che la Corte d’appello, a fronte di una durata del processo di anni nove, abbia riconosciuto soltanto una eccessiva durata di anni uno.
Con il secondo motivo si duole della insufficienza della liquidazione del danno non patrimoniale.
Con il terzo motivo lamenta che la liquidazione delle competenze sia avvenuta in violazione dei minimi tariffari.
Il primo motivo del ricorso è manifestamente fondato.
A fronte di un processo durato per due gradi di giudizio nove anni, la Corte d’appello ha ritenuto congruo il termine di cinque anni impiegato per il giudizio di primo grado in relazione alla complessità della controversia, ha reputato congrua la durata del processo di appello ad eccezione del tempo intercorso tra la decisione ed il deposito della sentenza (un anno) ed ha sottratto da tempo complessivo l’anno intercorso tra il deposito della sentenza di primo grado e la proposizione dell’appello. In sostanza quindi la Corte d’appello ha ritenuto che il processo abbia avuto una durata eccessiva di anni uno.
Invero la motivazione fornita dal decreto in ordine alla durata del processo di primo grado non appare adeguata.
Va premesso che la giurisprudenza della CEDU ha costantemente affermato che la durata normale del processo di primo grado è, di regola, di tre anni, da cui i giudici nazionali possono discostarsi in una certa limitata misura con adeguata motivazione. Nel caso di specie il giudizio presupposto aveva ad oggetto una controversia di lavoro, che, in linea di principio, dovrebbe avere un sollecito svolgimento.
Oltre a ciò, il processo amministrativo si risolve di regola con la tenuta di una sola udienza e con una attività istruttoria molto ridotta, limitata in genere alla richiesta di produzione documentale, come avvenuto nel caso di specie, il che rende difficilmente sostenibile che una complessa attività istruttoria possa giustificare il protrarsi di un siffatto tipo di processo per cinque anni. Anche la circostanza che nel processo erano confluiti diversi ricorsi appare di per so di scarso rilievo se i ricorsi, poi riuniti, avevano lo stesso oggetto.
In conclusione deve ritenersi che il discostamento dal paramento di durata ragionevole del processo stabilito in linea di massima dalla Corte di Strasburgo in anni tre appare nel caso di specie ingiustificato.
Corretta appare invece la determinazione della ragionevole durata del processo di appello in circa anni due, con esclusione del periodo intercorso tra la decisione ed il deposito della sentenza (un anno), da considerarsi quindi eccedente la ragionevolezza, così come corretta appare la sottrazione dalla durata del processo del periodo di anni uno atteso dalla parte per proporre appello ed imputabile alla parte stessa.
Il secondo motivo appare infondato poichè la liquidazione di Euro mille per un anno di ritardo del processo appare conforme ai noti parametri Cedu.
Il terzo motivo sulle spese risulta assorbito,dovendosi riliquidare all’esito del presente ricorso le spese dell’intero giudizio.
Pertanto il ricorso va accolto nei termini di cui in motivazione con conseguente cassazione del decreto impugnato in relazione alla censura accolta e, sussistendo i presupposti di cui all’art. 384 c.p.c., la causa può essere decisa nel merito con la condanna della PDCM al pagamento dell’equo indennizzo liquidato in Euro 3.000,00, dovendosi riconoscere, in base a quanto detto, una eccessiva durata del processo di anni tre sulla base dei noti alteri Cedu, oltre interessi legali dalla domanda al saldo nonchè al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo limitandosi la liquidazione alle spese del giudizio presupposto e di quello di cassazione, non avendo il ricorrente, in osservanza del principio di autosufficienza, riportato nel ricorso i provvedimenti relativi alle spese delle fasi di giudizio innanzi la Corte d’appello di Caltanissetta e del regolamento di competenza innanzi la Corte di Cassazione. Le spese del presente giudizio si compensano per la metà in ragione dei l’accoglimento parziale dei motivi.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato in ragione della censura accolta e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento della somma di Euro 3.000,00 in favore dei ricorrente oltre interessi legali dalla domanda al saldo nonchè al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate per l’intero in Euro 800,00 per onorari di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generati ed accessori di legge, compensate per la metà, nonchè al pagamento delle spese del giudizio di merito liquidate in Euro 900,00 di cui Euro 200,00 per competenze ed Euro 100,00 per spese oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 5 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2009