La Corte d’appello di Roma – adita da E.U. al fine di conseguire l’equa riparazione per la lamentata irragionevole durata di un processo pendente dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata in funzione di giudice del lavoro (avente ad oggetto la richiesta di corresponsione di interessi e rivalutazione sulle prestazioni previdenziali corrisposte in ritardo) – con decreto del 20 ottobre 2005 ha rigettato la domanda proposta contro il Ministero della Giustizia, condannando il ricorrente al rimborso delle spese processuali.
La Corte di merito, in particolare, ha ritenuto non superato il termine ragionevole di durata del procedimento, pari a due anni e mezzo al momento del deposito del ricorso L. n. 89 del 2001, ex art. 2, considerato, altresì, il limitatissimo significato economico della controversia che faceva ritenere insussistente il pregiudizio lamentato. Per la cassazione di tale decreto E.U. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi.
Il Ministero intimato non ha resistito con controricorso.
Il ricorso, acquisite le conclusioni scritte del P.G., il quale ne ha chiesto il rigetto, viene deciso ai sensi dell’art. 375 c.p.c..
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE
p. 2. – Con i primi quattro motivi di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001 e Convenzione europea per i diritti dell’uomo, come interpretata dalla Corte europea) e relativo vizio di motivazione, lamentando, in estrema sintesi, che la Corte di appello:
a) non ha ritenuto direttamente applicabile la C.E.D.U., sia erroneamente applicando la normativa italiana in contrasto con la C.E.D.U., dimenticando che la L. n. 89 del 2001, costituisce diretta applicazione della C.E.D.U. – specie art. 6 -, sia disattendendo la giurisprudenza europea e l’interpretazione, i parametri dalla stessa enunciati e la relativa elaborazione ermeneutica;
b) non si è attenuta ai parametri sanciti dalla giurisprudenza di Strasburgo in tema di determinazione della durata ragionevole del processo del lavoro, indicato dalla CEDU in due anni mentre, nella concreta fattispecie, al momento del deposito del ricorso, il processo si era protratto per 31 mesi;
c) non ha tenuto conto che, una volta accertata la irragionevole durata, deve essere riconosciuto l’equo indennizzo per essere il danno non patrimoniale di regola in re ipsa;
d) erroneamente ha ritenuto la controversia di modesto valore, posto che le condizioni economiche del ricorrente sono tali che anche una controversia di modesto valore gli procura patema d’animo. Richiama la giurisprudenza delle Sezioni unite secondo la quale l’entità della posta in gioco non può giustificare il mancato riconoscimento del danno una volta accertata la durata irragionevole del processo;
Con l’ultimo motivo il ricorrente denuncia e) vizio di motivazione lamentando la condanna alle spese senza alcuna giustificazione e nonostante secondo la giurisprudenza della CEDU il ricorrente soccombente non vada condannato alle spese.
p. 3.- Osserva la Corte che tutti i motivi di ricorso – là dove non sono inammissibili per genericità – sono manifestamente infondati.
Infatti, quanto alle censure sub a), b), c) e d), va rilevato che la Corte territoriale ha evidenziato che la lamentata violazione del termine ragionevole di durata del processo concerne la controversia introdotta con ricorso al Tribunale di Torre Annunziata, sezione lavoro, in data 18/11/2002, con il quale è stata chiesta la condanna dell’INPS al pagamento, in favore del ricorrente, "della complessiva somma di Euro 197,63, a titolo di interessi legali sugli arretrati di indennità di accompagnamento, corrisposta solo a partire dal 30/07/2002, sebbene riconosciutagli con decorrenza dal 10/01/2001";
controversia non definita alla data del 31/1/2005 di deposito del ricorso introduttivo del presente procedimento.
Con congrua e logica motivazione, poi, il giudice del merito ha ritenuto che, nella fattispecie, il termine del giudizio presupposto potesse considerarsi ragionevole, atteso che la durata del processo di primo grado non era superiore ai due anni e mezzo alla data del deposito del ricorso per equa riparazione e che il termine suddetto "deve ritenersi adeguato per giudizi di primo grado di palese semplicità quale è quello presupposto dal ricorrente, a nulla rilevando la durata dei rinvii tra un’udienza e l’altra, dovendo il tempo del procedimento essere considerato unitariamente".
La Corte di appello ha poi evidenziato "che il ricorrente non ha subito un disagio ed un disturbo apprezzabile nel non vedere soddisfatta la sua domanda di giustizia, in quanto tale tensione psicologica, in considerazione della veramente minima entità del caso almeno alla luce delle risultanze processuali (risulta, invero, richiesta una somma soli Euro 197,63, a titolo di meri interessi legali, come si è detto), non sembra abbia inciso in misura significativa su beni essenziali dell’istante, il quale ha comunque fruito dell’indennità di accompagnamento".
Alla luce di tale motivazione appare evidente che la Corte di appello, pur avendo escluso anche la sussistenza di un danno non patrimoniale, ha implicitamente tenuto conto dell’entità della posta in gioco non per escludere il diritto all’indennizzo bensì proprio per ritenere ragionevole la durata del processo e, conformemente alla giurisprudenza della CEDU (cfr., per tutte, Corte europea dir. uomo, 18 febbraio 1999, Laino c. Italia) ha applicato il criterio relativo alla "entità del caso".
Invero, di tale fondamentale parametro, ossia la rilevanza della "posta in gioco", la Corte di Strasburgo ha sempre tenuto conto al fine della determinazione del termine ragionevole.
Talchè è palesemente infondata la censura che pretende di applicare alla controversia promossa dal ricorrente i parametri di durata utilizzati per le controversie di lavoro in senso proprio.
Infine, quanto alla censura sub e), va ricordato che "in tema di spese processuali e con riferimento al processo camerale per l’equa riparazione del diritto alla ragionevole durata del processo, non ricorre un generale esonero dall’onere delle spese a carico del soccombente, in quanto, in virtù del richiamo operato dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 4, si applicano le norme del codice di rito. Dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali non discende infatti un obbligo a carico del legislatore nazionale di conformare il processo per equa riparazione da irragionevole durata negli stessi termini previsti, quanto alle spese, per il procedimento dinanzi agli organi istituiti in attuazione della Convenzione medesima, e si deve altresì escludere che l’assoggettamento del procedimento alle regole generali nazionali, e quindi al principio della soccombenza, possa integrare un’attività dello Stato che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti dalla Convenzione o ad imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla stessa Convenzione" (Sez. 1^, Sentenza n. 14053 del 18/06/2007).
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Non va emessa alcuna pronuncia sulle spese, in mancanza di attività difensiva da parte del Ministero intimato.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2009.
Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2009