1 C.F., con ricorso alla Corte di appello di Genova in data 22 settembre 2004, esponeva di avere proposto, nel dicembre 1994, un ricorso al TAR Toscana, relativo al computo nell’indennità di buonuscita dell’indennità di polizia. Il TAR, con sentenza del dicembre 2002, aveva rigettato la domanda. Chiedeva la liquidazione dell’equo indennizzo, ai sensi della L. n. 89 del 2001, per l’eccessiva durata del processo. La Corte d’appello, con decreto depositato il 30 dicembre 2004, rigettava la domanda. R. T., vedova del C., con atto notificato il 15 dicembre 2005 alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha proposto ricorso a questa Corte avverso il decreto. La Presidenza del Consiglio non ha depositato difese.
Il ricorso è stato fissato per l’esame in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c. e la R., con memoria, essendo coerede per un terzo, ha chiesto che le fosse riconosciuto, a tale titolo, un terzo dell’indennizzo totale e cioè Euro 2.000,00.
Questa Corte, con ordinanza 20 ottobre 2008, ha ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri coeredi, C.G. e C.A.. La R. vi ha provveduto, depositando anche due atti notori con i quali C.G. e C.A. hanno dichiarato di non avere nulla a pretendere in relazione alla causa in oggetto.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1 Con il ricorso si denunciano la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e l’art. 6 della CEDU, nonchè vizi motivazionali. La ricorrente lamenta l’erroneità del decreto impugnato in quanto, pur riconoscendo l’eccessiva durata del processo, ha escluso il diritto all’indennizzo conseguente, ponendo sostanzialmente a carico dell’attore l’onere della prova del danno, negandone la sussistenza per essere l’azione promossa nel giudizio a quo un’azione collettiva, le cui possibilità di successo, alla stregua della giurisprudenza già esistente, erano più che esigue. Si deduce il contrasto della decisione con la giurisprudenza CEDU e di questa Corte, contestandosi altresì che all’epoca del ricorso al TAR vi fosse un consolidato orientamento giurisprudenziale contrario all’accoglibilità della domanda.
2 Il ricorso è fondato.
La Corte territoriale ha disatteso la domanda di equo indennizzo non perchè abbia negato la fondatezza della doglianza proposta in ordine all’eccessiva durata del processo intrapreso dall’attore dinanzi al tribunale amministrativo, bensì unicamente sul rilievo della mancanza di danno, patrimoniale o non patrimoniale, conseguentemente sofferto dal ricorrente medesimo. Riguardo al danno non patrimoniale, la Corte d’appello non ha negato il principio (ormai consolidato) secondo il quale tale specie di danno è da ritenersi conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, sicchè, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione – il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (in questo senso Cass., sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1339).
La Corte d’appello ha tuttavia stimato che, nel caso specifico sottoposto al suo esame, detta presunzione di danno fosse superabile.
La motivazione dell’impugnato decreto si fonda sulla circostanza che il giudizio a quo" era stato proposto con un ricorso collettivo, in ordine al quale la presunzione di danno morale, secondo la Corte di appello, non poteva ritenersi esistente, stante l’infimo coinvolgimento morale della singola parte, e tenuto conto, inoltre, che le possibilità di accoglimento della domanda erano esigue, sulla base dell’orientamento della giurisprudenza.
Tali argomenti, tuttavia, non valgono a sorreggere la conclusione cui la Corte di merito è pervenuta. Infatti, una volta che si ammetta – come deve farsi – che in caso di lesione del diritto alla ragionevole durata del giudizio il danno non patrimoniale è da presumersi sino a prova contraria, nessuno specifico onere di allegazione può essere addossato al ricorrente, essendo semmai l’amministrazione resistente a dover fornire elementi idonei a far escludere la sussistenza di un tal danno in concreto. La circostanza che il ricorso fosse stato proposto da una pluralità di attori e che non fossero specificati gli elementi costitutivi del danno non patrimoniale da ciascuno di essi lamentato non poteva dunque avere alcun rilievo al fine di escludere l’indennizzabi1ita del pregiudizio, pur sempre presuntivamente sofferto dai ricorrenti. Del pari ininfluente, a tale fine, è il fatto che la causa avesse avuto un esito non positivo e che tale esito fosse in qualche modo prevedibile, giacchè l’esito favorevole della lite non condiziona il diritto alla ragionevole durata del processo, nè dunque di per sè incide sulla pretesa indennitaria della parte che abbia dovuto sopportare l’eccessiva durata della causa, salvo che essa si sia resa responsabile – e ne sia data la prova – di lite temeraria o, comunque, di un vero e proprio abuso del processo: circostanze contestate con il ricorso e riguardo alle quali nel decreto impugnato non vi è specifica ed esaustiva motivazione, necessaria al fine di escludere l’indennizzabilità (da ultimo Cass. 26 settembre 2008, n. 24269).
Il ricorso deve, pertanto, essere accolto e il decreto deve essere cassato.
Sussistono le condizioni per la decisione nella causa nel merito.
Risultando che il processo dinanzi al TAR è durato otto anni, l’eccessiva durata va quantificata in cinque anni e l’indennizzo risulta dovuto, non sussistendo prova della temerarietà della domanda al momento della sua proposizione. Tale indennizzo, secondo i criteri generali applicabili alla fattispecie, era complessivamente dovuto al "de cuius" nella misura di euro cinquemila. Ne deriva che alla R. – erede per un terzo – va liquidato, come da lei richiesto nella memoria 15 settembre 2008, un terzo di tale indennizzo e cioè Euro 1667,00, con gl’interessi legali dalla domanda.
La parte soccombente va condannata in favore della R. ad un terzo delle spese del giudizio dinanzi alla Corte di appello – compensandosene i due terzi – nonchè per intero a quelle del giudizio dinanzi a questa Corte.

P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e decidendo nel merito liquida in favore di R.T. Euro 1667,00 con gli interessi legali dal 22 settembre 2004, compensa per due terzi le spese del giudizio di merito e condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento del residuo terzo, che liquida in Euro 350,00 per onorari e diritti ed Euro 50,00 per spese vive, oltre spese generali e accessori, nonchè al pagamento per l’intero delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate i Euro 800,00, di cui Euro 100,00 per spese vive, oltre spese generali e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 18 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2009