M.A. adiva la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, in riferimento al giudizio promosso innanzi al T.a.r. per la Campania, avente ad oggetto il riconoscimento del diritto ad ottenere i contributi per l’assistenza prestata ad un familiare, proposto nel 1997, definito con sentenza del 16.3.2001.
La Corte d’appello, con decreto del 31.1.2006, fissata la durata ragionevole del giudizio in anni due, liquidava per il danno non patrimoniale, per il tempo eccedente detto termine (anni 1 e mesi 5), Euro 1.000,00, per ciascun anno di ritardo, quindi, complessivi Euro 1.416,00, oltre interessi legali dalla data del decreto, con il favore delle spese del giudizio.
Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso M.E., affidato a 15 motivi; non ha svolto attività difensiva la Presidenza del Consiglio dei ministri.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- La ricorrente, con i primi 8 motivi, denuncia violazione e falsa applicazione del art. 6, p. 1 CEDU, della L. n. 89 del 2001 e degli artt. 112 e 132 c.p.c., nonchè difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5); dopo avere richiamato una serie di sentenze della Corte di Strasburgo e di questa Corte, sulla premessa dell’efficacia vincolante per il giudice nazionale sia della CEDU, sia della giurisprudenza della Corte EDU, pone le seguenti questioni (riassunte nel primo motivo, ma sostanzialmente reiterate negli altri mezzi, anche in difformità rispetto alla sintesi datane nella rubrica degli stessi):
la liquidazione dell’equa riparazione andrebbe effettuata avendo riguardo all’intera durata del giudizio e, a tal fine, il giudice nazionale non potrebbe discostarsi dal parametro stabilito dal giudice europeo (Euro 1.500,00, per anno), mentre nelle cause concernenti controversie di lavoro e/o previdenziali dovrebbe riconoscere un bonus di Euro 2.000,00, e, se ciò non fa, incorrerebbe in omessa pronuncia e, comunque, in vizio di motivazione (motivi 2-7); la mancata presentazione o il ritardo nel deposito dell’istanza di prelievo può rilevare soltanto al fine della quantificazione dell’equa riparazione (motivo 8).
1.1.- Con i motivi 9-15, è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 6 CEDU e dell’art. 1 del protocollo addizionale, degli artt. 91 e 92 c.p.c., delle tariffe professionali ed omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.), nonchè difetto di motivazione nella parte in cui il decreto avrebbe quantificato in misura insufficiente le spese del giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, art. 132 c.p.c.), discostandosi dai criteri della Corte EDU e dalle liquidazioni operate da questa Corte, non applicando le voci della tariffa prevista per i giudizi contenziosi e riducendo senza motivazione gli importi asseritamente dovuti.
2.- Preliminarmente, va osservato che i quesiti di diritto sono inconferenti, poichè non sono applicabili, ratione temporis, le innovazioni del D.Lgs. n. 40 del 2006.
I motivi sintetizzati nel 1, da esaminare congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono manifestamente infondati.
Alle questioni poste con detti mezzi va data soluzione ribadendo i seguenti principi, più volti affermati da questa Corte:
il giudice italiano deve interpretare la L. n. 89 del 2001, in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della L. n. 89 del 2001; qualora ciò non sia possibile ed egli dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale "interposta", deve investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto all’art. 117 Cost., comma 1, restando escluso che possa procedere alla "non applicazione" della prima (Corte cost. n. 348 e n. 349 del 2007; in riferimento alla legge in esame Cass. S.U. n. 1338 del 2004);
la precettività, per il giudice nazionale, della giurisprudenza della Corte EDU non concerne il profilo relativo al moltiplicatore della base di calcolo per l’equa riparazione, essendo per il primo vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è rilevante soltanto il periodo eccedente il termine ragionevole, in virtù di una modalità di calcolo che non incide sulla complessiva attitudine di detta legge ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (per tutte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 11566 e n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007);
i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea, che ha fissato un parametro tendenziale di Euro 1.000,00, – Euro 1.500,00, per anno, non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali:
l’entità della "posta in gioco", apprezzata in comparazione con la situazione economico-patrimoniale della parte, che questa ha l’onere di allegare e dedurre; il "numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento"; il comportamento della parte istante, sicchè rileva anche il ritardo e/o la mancata presentazione della c.d. istanza di prelievo, la quale non incide sul termine di durata ragionevole, ma bene può essere assunto come sintomo di uno attenuato interesse per la controversia; per tutte, Cass. n. 4572 e n. 3515 del 2009; n. 1630 del 2006), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, a quelle da ultimo richiamate, aggiungi Cass. n. 6039 del 2009; n. 6898 del 2008);
In virtù della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano, elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale (costituiti appunto, tra gli altri, dal valore della controversia, dalla natura della medesima, da apprezzare in riferimento alla situazione economico-patrimoniale dell’istante, dalla durata del ritardo, dalle aspettative desumibili anche dalla probabilità di accoglimento della domanda), l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce delle quantificazioni operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, la quantificazione, deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno;
Le norme disciplinatrici della fattispecie non permettono di riconoscere una ulteriore somma arbitrariamente indicata in una data entità, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia, poichè il giudice europeo ha affermato che una somma più elevata rispetto al suindicato parametro va riconosciuta, qualora la controversia rivesta una certa importanza, facendo un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali, senza che ciò implichi alcun automatismo, significando soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 18012 del 2008); quindi, il giudice del merito può attribuire una somma maggiore, qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, restando escluso uno specifico obbligo di motivazione e/o di pronuncia sul punto, da ritenersi quest’ultima implicita nella liquidazione del danno, con la conseguenza che, se il giudice non si pronuncia sul c.d. bonus, ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (così, tra le altre, Cass. n. 7073, n. 6039 e n. 3515 del 2009; n. 18012 e n. 6898 del 2008).
In applicazione di detti principi, le censure in esame sono manifestamente infondate, poichè essi sono stati osservati dal decreto, che ha stabilito l’equa riparazione in Euro 1.000,00, per ogni anno di ritardo, conformandosi al parametro della Corte EDU, ciò che vale ad escludere il denunciato vizio di violazione di legge ed a rendere congrua e sufficiente la motivazione sul punto.
Le doglianze della parte si risolvono nella prospettazione di argomenti stereotipati e standardizzati che in nessun modo danno conto degli elementi concreti, già sottoposti al giudice del merito, in grado di evidenziare la particolare rilevanza del giudizio e sono, dunque, inidonei a dimostrare vizi della motivazione censurabili in questa sede.
3.- I motivi sintetizzati nel 1.1., da esaminare congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono manifestamente fondati entro i termini e nei limiti di seguito precisati.
In relazione alla liquidazione delle spese del giudizio di equa riparazione, va data continuità all’orientamento di questa Corte, secondo il quale:
La L. n. 89 del 2001, non reca nessuna specifica norma in ordine al regime delle spese all’esito dello svolgimento del processo camerale di cui all’art. 3, comma 4 e, in virtù del richiamo ivi effettuato, si applicano sul punto le norme del codice di rito, avendo anche il legislatore dimostrato attenzione a questo profilo, esonerando il ricorrente dal contributo unificato (L. n. 89 del 2001, art. 5 – bis, e, successivamente, D.Lgs. n. 115 del 2002, artt. 10 e 265) (Cass. n. 23789 del 2004);
le disposizioni degli artt. 91 c.p.c. e segg., in tema di spese processuali trovano applicazione, in linea generale, nel procedimento camerale nel caso in cui questo statuisca su posizioni soggettive in contrasto, come accade nella specie, senza che nessun ostacolo all’applicazione di detta normativa provenga dalla Convenzione CEDU, ovvero dal Protocollo aggiuntivo (Cass. n. 12021 del 2004), restando esclusa l’applicazione analogica delle disposizioni sulle spese vigenti per i procedimenti innanzi alla Corte di Strasburgo (Cass. n. 3812 e n. 3810 del 2009; n. 1078 del 2003);
dalla CEDU non discende un obbligo, a carico del legislatore nazionale, di conformare il processo per l’equa riparazione da irragionevole durata negli stessi termini previsti, quanto alle spese, per il procedimento dinanzi agli organi istituiti in attuazione della Convenzione, dovendosi escludere che l’assoggettamento del procedimento alle regole generali nazionali, e quindi al principio della soccombenza, possa integrare un’attività dello Stato che "miri alla distruzione dei diritti o delle libertà" riconosciuti dalla Convenzione o ad "imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla stessa Convenzione" (Cass. n. 18204 del 2003);
la configurazione del procedimento disciplinato dalla L. n. 89 del 2001 quale procedimento contenzioso comporta l’applicabilità della Tab. A-4 e della Tab.B-1.
Siffatti principi sono stati violati dal decreto, poichè la Corte d’appello ha liquidato le spese del giudizio in Euro 300,00 per onorario ed Euro 101,00, per diritti, quindi facendo implicito, ma chiaro, riferimento alla tariffa, nella parte concernente i procedimenti camerali.
In relazione alle censure accolte, il decreto deve essere cassato limitatamente a capo concernente la liquidazione delle spese del giudizio e la causa può essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, mediante condanna dell’amministrazione a pagare le spese del giudizio di primo grado, nell’importo indicato in dispositivo.
Le spese della presente fase, seguono la soccombenza, limitatamente ad 1/3 dell’intero, dovendo essere dichiarata compensata tra le parti la residua quota, sussistendo giusti motivi, in considerazione del parziale accoglimento del ricorso.
Le spese del giudizio di entrambe le fasi vanno distratte in favore del difensore, per dichiarazione di anticipo.

P.Q.M.
La Corte rigetta i primi otto motivi del ricorso ed accoglie i restanti motivi, per quanto di ragione, nei termini precisati in motivazione, cassa il decreto impugnato limitatamente al capo concernente le spese del giudizio e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei ministri a corrispondere alla ricorrente le spese processuali, per 1/3, quanto alla presente fase, compensandosi la restante parte – distratte in favore dell’avv. MARRA Alfonso Luigi e liquidate, quanto al giudizio di merito, in Euro 905,00, (di cui Euro 385,00, per diritti ed Euro 420,00, per onorari) e, quanto al giudizio di legittimità, per 1/3, in Euro 450,00, di cui Euro 50,00, per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 30 settembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2009