1. B.M.I. e D.S.L. con ricorso 17 giugno 2005 alla Corte di appello di Firenze, che si dichiarava incompetente, poi riassunto dinanzi alla Corte di appello di Genova in data 17 giugno 2005, esponevano di avere proposto, in data 22 febbraio 1996, un ricorso al TAR Toscana, relativo al computo dell’indennita’ di buonuscita. Il TAR, con sentenza del giugno 2003, aveva rigettato la domanda. Chiedevano la liquidazione dell’equo indennizzo, ai sensi della L. n. 89 del 2001, per l’eccessiva durata del processo. La Corte d’appello, con decreto depositato il 14 dicembre 2005, rigettava la domanda della B., senza nulla pronunciare relativamente a quella del D.S.. Gli attori, con separati ricorsi a questa Corte iscritti ai nn., 4172 e 4177/07, notificati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed al Ministero dell’Economia e delle Finanze, hanno proposto gravame dinanzi a questa Corte avverso il decreto.
I ricorsi sono stati fissati per l’esame in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c. e il pubblico ministero ha presentato conclusioni scritte chiedendo il loro accoglimento. Le parti hanno anche depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I ricorsi vanno riuniti per essere decisi unitariamente, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., riguardando tutti il medesimo provvedimento.
2. D.S., con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte di appello omesso di pronunciare sulla propria domanda. Con i successivi motivi, proposti anche dalla B., si denunciano la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e l’art. 6 della CEDU, e gli artt. 24 e 101 Cost. in relazione all’art. 96 c.p.c., nonche’ vizi motivazionali. I ricorrenti, con essi, lamentano l’erroneita’ del decreto impugnato in quanto, pur riconoscendosi l’eccessiva durata del processo, ha escluso il diritto all’indennizzo conseguente, ponendo sostanzialmente a carico degli attori l’onere della prova del danno, negandone la sussistenza nel caso di specie per essere l’azione promossa nel giudizio a quo un’azione collettiva, le cui possibilita’ di successo erano esigue, alla stregua della giurisprudenza formatasi dopo alcune incertezze.
Si lamenta la lesione delle norme su menzionate con riferimento alla giurisprudenza CEDU e di questa Corte.
3. I ricorsi vanno dichiarati inammissibili nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, passivamente non legittimato al giudizio – essendo la domanda anteriore all’entrata in vigore della L. n. 296 del 2006 che gli ha attribuito tale legittimazione – mentre sono fondati nei confronti della Presidenza del Consiglio.
4 – La Corte territoriale ha omesso di pronunciare sulla domanda del D.S., cosi’ violando l’art. 112 c.p.c.. Ha inoltre disatteso la domanda di equo indennizzo della B. senza negare l’eccessiva durata del processo intrapreso dinanzi al tribunale amministrativo, bensi’ unicamente sul rilievo della mancanza di danno, patrimoniale o non patrimoniale, conseguentemente sofferto dai ricorrenti. Con particolare riguardo al danno non patrimoniale, la Corte d’appello non ha negato il principio (ormai consolidato) secondo il quale tale specie di danno e’ da ritenersi conseguenza normale, ancorche’ non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, sicche’ – pur dovendo escludersi la configurabilita’ di un danno non patrimoniale in re ipsa – il giudice, una volta accertata e determinata la violazione relativa alla durata ragionevole del processo, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (in questo senso Cass., sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1339). Ha ritenuto, invece, che nel caso specifico detta presunzione di danno dovesse ritenersi superata, tenuto conto che le possibilita’ di accoglimento della domanda erano esigue, menzionando del tutto genericamente una giurisprudenza contraria al loro accoglimento formatasi dopo alcune incertezze.
Tale argomento, tuttavia, non vale a sorreggere la conclusione cui la Corte di merito e’ pervenuta. Infatti, una volta che si ammetta – come deve farsi – che in caso di lesione del diritto alla ragionevole durata del giudizio il danno non patrimoniale e’ da presumersi sino a prova contraria, e che quindi nessuno specifico onere di allegazione puo’ essere addossato al ricorrente, e’ l’amministrazione resistente a dover fornire elementi idonei a far escludere la sussistenza di un tale danno in concreto. Infatti, la circostanza che il ricorso fosse stato proposto da una pluralita’ di attori e che non fossero specificati gli elementi costitutivi del danno non patrimoniale da ciascuno di essi lamentato, non poteva avere rilievo al fine di escludere l’indennizzabilita’ del pregiudizio, pur sempre presuntivamente sofferto dai ricorrenti. Mentre era ininfluente, a tale fine, il fatto che la causa avesse avuto un esito negativo e che tale esito fosse in qualche modo prevedibile, giacche’ l’esito favorevole della lite non condiziona il diritto alla ragionevole durata del processo, ne’ incide di per se’ sulla pretesa indennitaria della parte che abbia dovuto sopportare l’eccessiva durata della causa, salvo che essa si sia resa responsabile – e ne sia data la prova – di lite temeraria o, comunque, di un vero e proprio abuso del processo.
Circostanze riguardo alle quali nel decreto impugnato non vi e’ specifica ed esaustiva motivazione, necessaria al fine di escludere l’indennizzabilita’, non bastando ad escluderla il generico riferimento ad una non menzionata giurisprudenza contraria alle richieste del ricorrente, che parte convenuta avrebbe dovuto dimostrare specificamente pertinente alla domanda e gia’ consolidata, in guisa da rendere la lite temeraria. (Cass. 26 settembre 2008, n. 24269).
5. Imponendo il principio costituzionale di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) ed i vincoli derivanti in proposito all’ordinamento italiano dagli obblighi internazionali (art. 117 Cost.) di fare il piu’ ampio uso possibile del potere di decidere nel merito conferito a questa Corte dall’art. 384 c.p.c., comma 2, se ne ravvisano le condizioni nel caso di specie, rilevandosi che il processo del quale si lamenta l’eccessiva durata si e’ protratto dal febbraio 1996 al giugno 2003, e cioe’ sette anni e quattro mesi, cosicche’ l’eccessiva durata – considerata normale quella di tre anni – e’ di quattro anni e quattro mesi.
Per cio’ che concerne la misura dell’indennizzo, va rilevato che – considerata di mille euro la misura ordinaria dell’indennizzo – su di esso incidono riduttivamente vari criteri, quale, nel caso specifico, l’esito sfavorevole del giudizio (Cass. 5 maggio 2 006, n. 10383) in un contesto che, se non rendeva temeraria la domanda, la rendeva fortemente aleatoria, cosi’ da potersi ritenere congruo un indennizzo complessivo, per ciascun attore, di Euro tremilaseicento/00, con gl’interessi legali dalla domanda.
Conclusivamente, accolto il ricorso e cassato il decreto impugnato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri va condannata al pagamento, a ciascuno degli attori, di euro tremilaseicento, con gl’interessi legali dalla domanda giudiziale, nonche’ al pagamento delle spese dell’intero giudizio, che si liquidano in misura complessiva come in dispositivo, con distrazione, come richiesto, di quelle relative al giudizio dinanzi alla Corte di appello.

P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi nn. 4172 e 4177. Li dichiara inammissibili nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Li accoglie nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Cassa il decreto impugnato e decidendo nel merito condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento, in favore, rispettivamente, di B.M.I. e D.S.L. di Euro tremilaseicento/00, con gl’interessi legali dalla domanda giudiziale, nonche’, nei confronti dell’avv. Gabriele De Paola, di Euro ottocento/00 per onorari ed Euro trecentottantacinque/00 per diritti relativi al giudizio dinanzi alla Corte di appello, oltre ad Euro 50,00 per spese vive ed oltre alle spese generali e accessori, nonche’ nei confronti di B.M.I. e D.S.L., della somma complessiva di Euro novecento/00 per il giudizio di cassazione, di cui Euro 100,00 per spese vive, oltre alle spese generali e accessori come per legge. Manda alla cancelleria di compiere le comunicazioni di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 30 settembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2009